Le Scienze
Gemelli identici fungono da cavie per testare i nuovi farmaci per la calvizie.
I gemelli Terry e Perry Carlile non hanno in comune solo lo stesso DNA, una moglie che si chiama Pamela ( non la stessa, ci tengono a precisare!) e un eccezionale senso dell’umorismo. Ad accomunarli c’è anche il fatto di aver cominciato a perdere i capelli già prima dei trent’anni. O meglio, così era prima che Terry e Perry diventassero la prova vivente dei progressi nello studio e la cura della calvizie comune, o alopecia androgenica, che colpisce il 20 per cento degli uomini sotto i trent’anni, e affliggere oltre la metà degli ultracinquantenni.
Insieme ad altre otto coppie di gemelli affetti dallo stesso disturbo, i fratelli statunitensi hanno infatti partecipato ad uno studio clinico in “doppio cieco” durato un anno, durante il quale un fratello di ogni coppia ha assunto un farmaco, la finasteride, e l’altro un placebo. I risultati della sperimentazione, pubblicati a Gennaio sulla rivista European Journal of Dermatology, sono stati presentati lo scorso Febbraio a Siviglia durante un seminario internazionale sull’alopecia androgenica, insieme ad alcune delle “cavie” coinvolte. E oggi Perry, che ha assunto il farmaco, ha una “chierica” più piccola del suo gemello, e ha smesso di vedere i suoi capelli cadere come foglie morte sul cuscino. “I gemelli identici forniscono un modello ideale per lo studio di malattie come l’alopecia androgenica, che hanno una forte base genetica “-spiega Dow Stough, principale autore della ricerca. Dal punto di vista visivo i risultati dell’esperimento non sono eclatanti – in alcune coppie le differenze sono appena visibili- ma hanno il pregio di essere supportati da dati scientifici oggettivi come la conta fotografica dei capelli, e parametri soggettivi, come l’autovalutazione dei pazienti. Inoltre, un altro studio su 1200 pazienti (non gemelli), durato 5 anni e pubblicato sulla stessa rivista di dermatologia conferma che nel 90% degli uomini trattati la perdita dei capelli si è arrestata, mentre è proseguita senza pietà in tutti quelli che hanno preso il placebo. Il trattamento, insomma, non promette di far ricrescere i capelli, ma sembra in grado se non altro di fermarne la perdita a chi ancora ne ha.
Rari -secondo gli autori- gli effetti indesiderati: una diminuzione della libido si osserva in circa l’1 per cento dei casi ma l’effetto tende a scomparire negli anni, ed è comunque reversibile se si interrompe la cura. Bisogna però dire che entrambi gli studi provengono dai laboratori della stessa industria farmaceutica che produce la finasteride; vedremo perciò se questi risultati verranno confermati da studi indipendenti. Dopo essere stata per secoli appannaggio esclusivo di imbonitori da fiera e oggetto di innumerevoli rimedi di dubbia efficacia, molti dei quali tuttora abbondano, lo studio della calvizie è oggi un campo su cui la ricerca farmaceutica investe importanti risorse, attirata dall’enorme mercato offerto dalle molecole anti-caduta.
Si è così scoperto che il maggiore colpevole dell’alopecia androgenica è un ormone maschile chiamato di-idrotestosterone (DHT), che ha origine dalla trasformazione del più noto testosterone effettuata da un enzima chiamato 5-alfa reduttasi [si veda l’articolo: Capelli, perché crescono perché cadono, di R. Rusting, Le Scienze 396, Agosto 2001].
Durante la vita embrionale il DHT è fondamentale per determinare la differenziazione degli organi genitali maschili, ma dopo la nascita lo stesso composto, oltre a non avere più nessuna funzione nota costituisce un fastidioso “prodotto di scarto”. In persone geneticamente predisposte, il DHT ha l’effetto di atrofizzare i follicoli piliferi, causando la progressiva perdita dei capelli, e può agire sulla prostata, causandone l’ipertrofia (ingrossamento) dopo i 40 anni. Inizialmente sviluppata per la cura dell’ipertrofia prostatica, la finasteride è stata poi “riciclata” a basse dosi per il trattamento dell’alopecia androgenica, ed è attualmente uno dei due soli farmaci ufficialmente autorizzati per il trattamento di questo disturbo. Grazie alla sua struttura chimica, che imita quella del testosterone, la finasteride è in grado di tenere occupato l’alfa reduttasi, bloccando così la produzione di DHT.
C’è anche una buona notizia per i capelloni: la scienza sfata la leggenda metropolitana secondo cui i calvi sarebbero sessualmente più “vigorosi” perché più ricchi di testosterone. La tendenza alla alopecia non ha infatti alcun rapporto con la quantità di testosterone nel sangue, ma probabilmente dipende dalla diversa attività dell’alfa reduttasi, e da una diversa sensibilità genetica all’azione del DHT
© Sergio Pistoi 2002