Scienziati? Ceto debole. Lo dice il Censis.
Quanto potere hanno gli scienziati nell’immaginario collettivo? Secondo un interessante sondaggio pubblicato questa settimana, <a href='Download file ‘>Oligarchie e ceti deboli, tecnici e "grandi esperti" sono indicati soltanto da un trascurabile 2% degli intervistati fra le categorie di coloro che detengono il potere in Italia. A prevalere nella graduatoria sono, c’era da aspettarselo, le élite economico-finanziarie (38,7%) e le èlite partitiche (35%).
Quello che mi ha colpito è che il rapporto del Censis classifica gli scienziati fra i “ceti deboli”:
più precisamente, gruppi che operano in“mercati” aperti, ad alta contendibilità di “quote” di risorse e di potere […] che esprimono la loro scarsa forza di influenza per difetto di capacità aggregativa e di rappresentanza […]; o per scarsità di rappresentazione anche mediatica (il ceto accademico, intellettuale e artistico); o per
pochezza di risorse a disposizione (i “cervelli” della ricerca scientifica con
una spesa per ricerca e sviluppo in Italia dell’1,1% del Pil, pari alla metà di
quella francese, tedesca, statunitense).
I dati del Censis sono interessanti ma fanno di tutta l’erba un fascio. Il messaggio rischia di suonare come la solita litania "poveri-scienziati-derelitti-e-afflitti-dalla-mancanza-di-fondi- e-ultimi-nella-classifica-di-chi-conta". Ma gli uomini di scienza sono davvero così lontani e distinti dalle elite politica? Bisognerebbe vedere. E’ vero che molti ricercatori che lottano per la sopravivvenza sono classificabili a tutti gli effetti fra i ceti deboli (privi come sono di influenza politica e lontani dai "network", che contano). Ma cosa dire dei tanti baroni-termiti del nostro sistema accademico? Non rappresentano forse parte dell’ elite, non di rado ben collegata al potere economico e politico? E’ difficile sostenere che gli accemidi di potere siano personaggi privi di influenza e connessioni che contano. Pistuà.