Scienza, olimpiadi e libertà made in china
“Quello che è successo con le Olimpiadi può succedere anche nel campo della scienza. Vent'anni fa, a Los Angeles, la Cina prese pochissime medaglie. Ma ad Atene, abbiamo vinto 32 ori […]. Quello che è vero per lo sport è vero anche in laboratorio”.
E' la previsione di Zihe Rao, direttore del centro di biofisica dell'Accademia Cinese delle Scienze, citata in un interessante rapporto di Demos, una think tank inglese. Il paragone sportivo è poco credibile, e la dice lunga sulla retorica che ancora regna sulle scienze del paese asiatico. Ma le cifre parlano chiaro: la Cina è destinata a diventare, se non la prima, almeno una delle superpotente mondiali anche nel campo della ricerca. E ovviamente c'è poco da essere sorpresi.
Gli investimenti in ricerca cinesi crescono del 20% ogni anno (i nostri sono praticamente fermi da anni) ma rimangono molte incognite sul futuro della scienza del dragone. uno di questi, sottolinea il rapporto, è l'autonomia e la libertà di pensiero degli scienziati. In un clima eccessivamente rigido, alla lunga le nuove idee fanno fatica ad emergere, e la Cina dovrà darsi da fare per migliorare la situazione (ovviamente sorvoliamo sullo stato pietoso dei diritti umani nel più grande paese del mondo).
Mi viene in mente che l'estate scorsa,a Monaco, intervistai una ricercatrice cinese di spicco. Ad una mia domanda sulla libertà accademica rispose candidamente: “abbiamo tutta la libertà che vogliamo, basta chiedere al direttore dell'istituto”. Era questa era la sua idea di libertà accademica. Pistuà
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