L’università di Bologna ha capito dove va il futuro dell’agricoltura: nell’ agro-omeopatia. Sì, avete capito bene: omeopatia applicata alle piante. Un amico mi segnala infatti che l’ateneo bolognese vanta un intero laboratorio dedicato all’argomento (il nome del suddetto laboratorio peraltro non lascia dubbi in proposito).
Bologna non è l’unico ateneo a fare gomitino con le pseudoscience. Anche l’università La Sapienza risulta coinvolta, attraverso un suo dipartimento di Chimica, in corsi di formazione su naturopatia e omeopatia. Da mesi attendo invano che il suddetto Ateneo chiarisca i dettagli, anche economici, della vicenda.
Vi ho appena raccontato due casi inquietantissimi di una ricerca pubblica che da una parte inveisce contro le fake news, le fuffe mediatiche e la disinformazione scientifica, e dall’altra le sostiene e finanzia, attingendo peraltro dagli scarsi fondi pubblici. Proprio mentre l’accademia scatena l’ennesima piagnucolante offensiva mediatica per chiedere più denari.
Il fatto che abbia scovato questi due esempi per caso, nel tempo libero e senza neanche cercarli, mi fa pensare che non siano affatto isolati.
Quante sono le università e i centri pubblici che finanziano e sostengono le pseudoscienze?
Com’è possibile che nelle nostre facoltà ci siano professori, presidi e rettori che vanno in buona fede a parlare contro le pseudoscienze ad un convegno e poi ignorano che magari nei loro Atenei albergano interi laboratori dediti allo studio dell’omeopatia?
Sono domande a cui l’accademia dovrebbe rispondere, subito. Perché se chi racconta baggianate pseudoscientifiche lo fa con il timbro di una grande università, oltre che con i nostri soldi, è un problema serio.
Ne va della credibilità degli atenei (anche se questi ultimi non sembrano particolarmente interessati a mantenere una reputazione, con le conseguenze che vediamo quotidianamente).
Ne va della fiducia dei cittadini verso la ricerca: cosa deve pensare il contribuente a cui viene chiesto di finanziare la ricerca pubblica? Con che faccia un rettore può chiedere uno sforzo economico allo stato se non è in grado di garantire che fondi e stipendi verranno spesi in vera scienza e non in matasse di fuffa pseudoscientifica?
Infine, ne va della credibilità di tutti i ricercatori. Tutti. Anche di quelli bravi che sono tanti e che però stanno zitti.
Ma perché, vi chiederete, gli amici che ho dentro le facoltà mi segnalano privatamente certi casi ma non lo fanno mai pubblicamente, neanche nelle loro sedi? Perché l’università italiana piange miseria – di denari e di dignità- ma resta opaca e omertosa come una famiglia mafiosa.
I ricercatori e professori universitari pubblicamente e genericamente si lamentano, ma diventano dei conigli se si tratta di fare nomi e cognomi, o di esporre situazioni imbarazzanti.
Il coraggio dello scienziato, la libertà accademica da sempre vessillo delle università pubbliche nei confronti di chi fa ricerca privata si fermano alla porta del proprio laboratorio: di quello che succede intorno non vedo,non sento e soprattutto non parlo.
L’università non cambierà per merito di riforme politiche o di scandali. Cambierà soltanto se i ricercatori seri ed eccellenti, che ripeto sono tanti, si faranno avanti per rifiutare e denunciare pubblicamente gli abusi della pubblica credulità e dei pubblici denari da parte dei loro colleghi, dei loro direttori, dei loro presidi.
L’università dovrà ritornare Università, con la maiuscola. Oppure morire.