Skip to content

OGM, TEA e Ecopirla: quando le reti da pollaio non bastano

La ricerca applicata deve dotarsi di persone che sappiano leggere e gestire il mondo reale, non solo di brillanti scienziati

 

Immagine WhatsApp 2025 02 13 ore 16 41 39 855df16a

Un post del genere non può che iniziare con l’indignazione incondizionata per l’ennesima distruzione vandalica nottetempo di un campo sperimentale di vitigni TEA  e mi adeguo. Quindi premetto: amici ricercatori, consideratevi solidarizzati, compatiti e co-indignati dal sottoscritto. Sull’idiozia di questi gesti e di chi li compie c’è poco da discutere. Sui presupposti animaleschi di attaccare una qualunque tecnologia e non -eventualmente – una sua specifica applicazione, ho già scritto ampiamente da queste parti.

Detto questo, l’idiozia di quegli  ecopirla  è pari solo alla ingenuità  di chi ha messo a dimora quelle piantine con tanto di cerimonia pubblica e giornalisti e proteggendole con  qualche rete da pollaio (quelle che si vedono nelle immagini, che dalle mie parti non terrebbero lontano neanche i cinghiali) e (a quanto si legge) con qualche telecamera atta a immortalare il folle gesto. Come se le minacce non fossero state chiare, come se il campo non fosse geolocalizzato obbligatoriamente per una legge punitiva verso la sperimentazione, come se gli ecopirla non avessero già sistematicamente e impunemente distrutto per anni tutto quello che è già stato piantato e non è di loro gradimento. A giugno scorso la comunità scientifica aveva già pianto e lanciato petizioni per la vandalizzazione di un campo sperimentale TEA di riso. 

Cosa faceva pensare che stavolta sarebbe stato diverso?

Non voglio colpevolizzare le vittime, che poi siamo soprattutto noi contribuenti e futuri beneficiari di queste tecnologie, ma il debriefing dopo questi fatti dovrebbe essere un atto dovuto e una  misura strategica essenziale per evitare di ripetere gli errori. La domanda pertanto è d’obbligo: quante volte ancora vogliamo rimettere a dimora piantine indifese per poi piangere e scrivere petizioni in lacrime?

Da persona abituata a ragionare strategicamente, maniaco dell’analisi  SWOT, non riesco a immaginare una pianificazione in cui non si prenda in considerazione la “T” di “threats”. Non riesco a capire come in un progetto del genere  non si sia prevista la possibilità, o meglio la certezza di un attacco, e la necessità di misure di prevenzione adeguate. Cosa che evidentemente non è stata fatta. 

Posto che la geolocalizzazione è obbligatoria, perché non adottare misure di sicurezza più solide?

Considerata la posta in gioco di cui è giustamente investita questa tecnologia (il futuro dell’agricoltura, dell’economia e per traslato la possibilità futura di mettere del cibo sotto i denti) non sarebbe stato il caso di valutare meglio il posizionamento, le misure di sicurezza, anche solo prevedere un budget  per un servizio di vigilanza, tipo quelli che controllano attività ben meno vitali come le autorimesse o i negozi? Chiedo da contribuente prima ancora che da commentatore. Chi ha rivisto, approvato e finanziato questo progetto ha valutato questi aspetti essenziali e ha dato loro il giusto peso?

Posso solo dire che se un dossier del genere fosse passato sulla mia scrivania (non succederà mai) non avrei mai approvato il funding di un progetto del genere senza  un budget e misure di sicurezza adeguate, per il chiaro e prevedibile  rischio di distruzione e spreco. Mi pare chiaro che questi aspetti siano stati presi alla leggera e mi spiace che siano assenti  dal dibattito ex ante ed ex post di questi eventi. 

In questo atteggiamento si percepisce  la distanza tra una certa classe di ricercatori, il mondo reale e il senso pratico Se  non sei in grado neanche di contrastare le mosse prevedibilissime di due minus sabens che saltano una rete come puoi ambire ad incidere sulla società e sul dibattito pubblico?

Se la ricerca vuole davvero incidere sulla società e il futuro deve dotarsi al suo interno anche di persone che sappiano leggere e gestire il mondo reale, di professionisti con mentalità e approccio strategico nel campo del project management e della comunicazione e non solo di brillanti scienziati, passacarte e istrioni da festival. Lo scrivo ormai da 25 anni e non mi sono stancato (un po’ si ma non ditelo in giro).

La ricerca applicata che risolve i problemi reali deve scrollarsi di dosso l’odiosa patina di superiorità morale ed intellettuale per cui “il mondo prima o poi dovrà capire e nel frattempo insistiamo” e sporcarsi le mani con le storture del mondo, perché tanto esistono ed esisteranno sempre.

Facilities di ricerca più facilmente difendibili, una più attenta valutazione di quello che succede fuori dalle mura degli atenei sono un investimento migliore di molti discorsi e piagnistei. Altrimenti si può sempre restare a fare ricerca di base in laboratorio, che va benissimo, e lasciare ad altri le applicazioni.

Amici ricercatori, siamo dalla stessa parte ma vi dò una notizia: Il mondo là fuori è vario e pieno di gente stupida, cattiva, polarizzata, violenta e pronta a sganciare il napalm sulle piantine che avete messo a dimora con tanto amore, sui vostri cellule, sui vostri modelli animali. Lo sapete benissimo perché lo hanno sempre fatto. Mentre cercate di cambiare la percezione pubblica (e anche lì avrei parecchio da dire sui risultati) provate anche a difendere materialmente il vostro perimetro. E’  brutto, avete ragione, ma è il mondo che non è simpatico.

Amici, promettetemi che con le prossime piantine proverete a dare del filo da torcere agli eco-pirla. Se non per voi, fatelo almeno per loro, che ormai saranno perfino imbarazzati a tornare vittoriosi nei loro covi pirleschi senza neanche un po’ di fatica.

Leggi anche