Uno dei nuovi memi tossici che girano- a giudicare dai tanti commenti social e domande spaesate che mi arrivano- è l’idea che i tamponi RT-PCR siano inutili perché tecnicamente sballati, non specifici, e che i referti stessi dati ai pazienti siano basati su una tecnologia fallace. Questi messaggi a volte sono accompagnati da confuse spiegazioni pseudotecniche (inventate di sana pianta, come può capire qualunque biologo molecolare) che però fanno presa anche su un pubblico non necessariamente illetterato.
Dal mio piccolo osservatorio social ne vedo di tutte.Mi è capitato ad esempio di leggere in questi giorni il commento di un sedicente chimico che mi dava dell’incompetente, sostenendo che la RT-PCR è una cavolata inutile.
E’ ovvio che in tali contesti qualunque discussione seria è inutile, e siete liberi di credermi o meno sulla parola perché non sono qui per fare debunking: queste cose che girano sui tamponi sono delle idiozie. Mi interessa invece un’altra riflessione, più importante e generale.
Il punto è che queste teorie non sono sicuramente opera di ragazzini o boomers complottisti attaccati ad una tastiera. Sono l’evoluzione di quello che ormai impropriamente chiamiamo “negazionismo” ma che in realtà dovremmo definire caos doloso, nichilismo programmato, destabilizzazione a fini geopolitici. Come molta della fuffa che riguarda il COVID, anche queste nuove teorie puzzano di disinformazione organizzata.
Quando parliamo di disinformazione e COVID non dobbiamo più pensare semplicemente a persone che organicamente fabbricano e si passano informazioni bislacche o false, ma a una strategia di disinformazione pilotata, eterodiretta, fomentata attraverso l’utilizzo di bot e di schiere di addetti umani con messaggi costruiti a tavolino per adattarsi rapidamente alla realtà che via via smentisce le balle precedenti.Si tratta di instillare gradualmente il dubbio e il sospetto su tutto, anche sulle realtà ovvie finora condivise per sfibrare a poco a poco le risorse che aiutano a tenere insieme il tessuto sociale.
Come gli ospedali, da mostrare non non più come risorsa collettiva di cura e assistenza ma come fucina di falsità, di allarme ingiustificato mentre i letti sono vuoti. O i vaccini (già cavallo di battaglia di tanti fuffaroli ante-covid) che da presidio preventivo diventano mezzo di oppressione e controllo. O lo stesso virus, non più nemico comune da combattere ma la cui esistenza diventa oggetto di opinione personale e politica.
Si tratta di creare un esercito di sapientoni sul web costringendo le persone davvero competenti a passare quantità inaccettabili di tempo a spiegare, sfatare, dettagliare realtà che dovrebbero essere evidenti o, peggio ancora, procedure tecniche che sono, per definizione, fuori dalla portata dei non addetti ai lavori.
Si tratta di mettere intere classi di tecnici continuamente sulla graticola, non già per l’utile scrutinio pubblico sui risultati e la competenza ma sulla base di quotidiani sospetti, congetture, richieste pressanti di confutare teorie deliranti, alimentando la sfiducia e minando il morale della popolazione.
Messaggi come quello ” del covid che non c’è” e “il covid non uccide” tuttavia, tendono a perdere efficacia in un momento in cui quasi tutti hanno esperienza più o meno diretta e drammatica con la malattia.Ed ecco che si affacciano nuove generazioni di fake che mirano a creare caos e disorientamento riguardo ai pilastri finora condivisi della diagnosi e della prevenzione, in maniera sempre più granulare.
E così si instillano sospetti sui test: non più strumento oggettivo di contrasto alle malattie, ma strumento repressivo e fallace di cui dubitare. Se non possiamo fidarci del gold standard per trovare i contagiosi, di cosa possiamo fidarci? Non sarà un altro trucco per tenerci segregati in casa, per distruggere la nostra economia? Ma certo.
Nulla impedisce a seminatori malevoli di fake di attaccare con precisione guerresca qualunque figura o strumento oggi condiviso. Ci si attaccherà con nuove e più perfezionate teorie sui vaccini, quando faranno la loro comparsa. E perché non dubitare dell’ossigeno che diamo ai nostri malati? Da dove arriva? Chi lo produce? Cosa contiene? E la pronazione, cosa nasconde?
Le tracce di moltissime fake, ce lo mostrano le evidenze finora raccolte da una mole crescente di indagini e fonti ufficiali comunitarie e non, convergono verso una ridente federazione di stati dove si scrive in cirillico, dove si spendono miliardi (letteralmente: miliardi) di euro in propaganda media e social e dove sappiamo che migliaia di addetti si occupano a tempo pieno di costruire fake news multilingua ad uso e consumo della brava gente al di qua e al di là del confine. La UE ha creato perfino una task force apposita e un sito internet con il preciso scopo di “better forecast, address, and respond to the Federation’s ongoing disinformation campaigns affecting the European Union, its Member States, and countries in the shared neighbourhood.”
Quella ridente federazione è in questo momento il posto al mondo dove si consuma la più grande abbuffata interna di fake (i loro media nazionali sono una distopia anche per chi, come noi, è abituato alla spazzatura) e contemporaneamente il più grande esportatore delle medesime.L’interesse geopolitico di quella ridente federazione nel destabilizzare i paesi europei (e non solo ) puntando sul caos e sulla spinta devastante del populismo è evidente e direi piuttosto documentata.
Questa spazzatura, lungi dall’essere il prodotto organico di bias o di ignoranza, va quindi considerata alla stregua di un bombardamento intelligente, di un atto bellico dove il debunking, esercizio già alquanto inutile prima (lo dimostrano valanghe di studi), risulta futile quanto spalare montagne di sabbia con un cucchiaino*
Alla guerra, seppure a colpi di fake, bisogna purtroppo rispondere con altrettanta energia, e armati di strumenti di difesa e offesa ai più alti livelli. Non certo con un esercito di sbufalatori, per quanto bene intenzionati.Cominciare a chiamare le cose con il loro nome sarebbe un buon inizio.
*una famosa dottrina sulle fake parla di montagne di m… non di sabbia, ma non volevo sembrare volgare.