Lo sfascio della ricerca: corso di comunicazione for Dummies
Caro Sergio, mi sono imbattuto per caso nel tuo blog. […] preso dai pensieri dominanti di questi giorni, mi sono chiesto: ma e’ possibile che non ci sia neanche una riga sugli effetti della legge 133/08 sull’universita’ e la ricerca? Poi, ho letto il finale dell’articolo sui professori “ingrilliti” e ho capito…Pero’, ho pensato, forse potrebbe essere utile avere suggerimenti su come noi universitari italiani, diretti interessati dai prossimi tagli di fondi e persone, possiamo comunicare all’esterno dell’universita’ le nostre difficolta’ presenti e future.In questi giorni lo stiamo facendo un po’ tutti, improvvisandoci comunicatori: hai forse qualche consiglio da darci ? Attendo con fiducia, e nel frattempo tornero’ a trovarti sul tuo blog. […]Alessandro, ricercatore (Università di Firenze)
Caro Alessandro, ti ringrazio per la fiducia e dello spunto che mi offri.
Il tema è stimolante e di grande importanza, specialmente in un periodo come quello che stiamo attraversando: come fare a trasmettere in modo efficace le proprie istanze di ricercatori al pubblico perché le comprenda e -se è il caso- le appoggi?
Facendo come al solito l’avvocato del diavolo, un pezzo di risposta la trovo nelle tue parole. Per quanto sia legittima, la tua domanda: “come possiamo comunicare all’esterno dell’universita’ le nostre difficolta’ presenti e future?” è -secondo me- sintomatica di un errore di fondo da parte dei ricercatori. Siamo sicuri infatti che la chiave giusta per parlare al pubblico sia quella di comunicare continuamente le proprie difficoltà?
L’importanza del messaggio
Non sto naturalmente sottovalutando le difficoltà della ricerca (che ben conosco) ma la comunicazione è un processo strategico che non lascia spazio all’autocommiserazione, giustificata o meno. Se ci mettiamo nella testa di un italiano medio, alle prese con inevitabili difficoltà quotidiane (compresa quella di arrivare a fine mese, trovare l’asilo per il bambino o l’angoscia per il proprio conto corrente) in quale posizione di priorità finiranno le difficoltà di un “altro” (il ricercatore) alle prese con i PROPRI problemi di lavoro, salario o quant’altro? Mi pare che nello sforzo (legittimo) di tutelare la propria categoria, i ricercatori e molte loro associazioni abbiano trasformato i tagli alla ricerca in un problema sindacale di posti di lavoro, come se il fatto riguardasse la sorte di qualche migliaio di addetti ai lavori. Questo almeno è il messaggio che il pubblico rischia di percepire se mi baso sulle rassegne stampa che leggo quotidianamente.Al contrario, bisognerebbe fare molto di più per trasmettere CONCRETAMENTE un idea diversa: la ricerca è un bene di tutti.Una campagna efficace ad esempio, dovrebbe far capire al pubblico l’importanza concreta della ricerca per lo sviluppo economico, il benessere di ciascuno, la formazione dei propri figli. Questo significa spostare l’attenzione dai problemi dei ricercatori alle opportunità che ciascun cittadino rischia di perdere.Il primo consiglio che posso dare (umilmente) è perciò quello di resistere alla tentazione di vedere pubblicata sui giornali la propria triste storia di ricercatori con pochi fondi e assillati dalle baronie, puntando invece su messaggi diversi e più efficaci.
Il servizio pubblico della lamma riporta ad esempio questa frase:
Si avvisa che a seguito dello stato di agitazione del personale del CNR contro i tagli di finanziamento della ricerca pubblica potrebbero verificarsi alcuni disservizi
Volontario o meno, è un messaggio concreto che tutti possono capire: la ricerca non è solo un hobby per pochi eletti ma il motore dell’innovazione che tutti, prima o poi, useremo. Quanti sono i servizi che, oggi, dipendono anche solo in parte dal lavoro dei ricercatori e che rischiano di fermarsi?
Recuperare la credibilità
“Differentiate or Die” è un motto del marketing, oltre che il titolo di un bel libro di Jack Trout. Il succo è che se non si vuole morire (commercialmente parlando) bisogna fare di tutto per differenziare il proprio marchio e la propria voce da quelle che risultano troppo simili, far risaltare agli occhi del pubblico le proprie caratteristiche distintive e positive e far leva su di esse. Nel caso dei ricercatori italiani, questa regola implica una priorità: quella di differenziarsi da chi parla a vanvera (o peggio ancora in malafede) così da recuperare la necessaria credibilità agli occhi del pubblico.
Possiamo porre il problema in questi termini: quanti di quelli che oggi protestano contro i tagli alla ricerca hanno veramente la credibilità per farlo? L’immagine che molti si sono fatti della ricerca italiana attraverso i media è quella di un sistema marcio, governato da baroni e popolato da mediocri fannulloni. Direi che non è un’immagine falsa, ma neanche del tutto vera. Una parte del pubblico, quella più attenta, sa infatti che in questo sistema coesistono scienziati bravissimi e coraggiosi a cui va il merito di una produttività eccellente, dimostrata dai dati internazionali. Tuttavia, in assenza di un sistema di selezione meritocratico, e senza una chiara distinzione comunicativa, baroni, mediocri e scienziati eccellenti saranno tutti nello stesso calderone agli occhi del pubblico. Considerando che più ardenti oppositori dei tagli alla ricerca sono spesso gli appartenenti alle prime due specie, come fa il pubblico a sapere chi sta ascoltando? Come fa a dare fiducia ad una categoria che nel complesso è screditata?
Per i ricercatori seri, direbbe Jack Trout, la priorità è quella di differenziarsi da baroni e fannnulloni. Per questo, i ricercatori che hanno a cuore il futuro della ricerca, precari o meno, dovrebbero creare una categoria, un’associazione, un gruppo di pressione, che parli con una voce unica e che non sia la stessa delle CUN, delle CRUI e delle tante termiti che hanno contribuito a portare l’università alla sfacio.
Dovrebbero battersi strenuamente perchè al taglio dei finanziamenti-se ci sarà- corrisponda un sistema serio e meritocratico di distribuzione dei fondi, accettando il rischio di non ricevere nulla quando non risultano competitivi. Qualunque sia la strategia comunicativa, i ricercatori di valore dovrebbero cominciare ad uscire dal calderone e distinguersi in modo più chiaro da baroni e fannulloni, portando messaggi e proposte positive. Esistono iniziative interessanti in tal senso, ma piuttosto parziali e quasi mai frutto di uno sforzo unitario.
Non posso che rispondere in modo parziale e incompleto alla tua domanda, caro Alessandro, ma spero sia l’inizio di una discussione fruttuosa su questo blog. © Sergio Pistoi 2008