La perversione dei Nobel
Tempo fa avevo parlato della Sindrome del Nobel, quello strano e pernicioso fenomeno legato al conferimento del prestigioso premio, che a volte trasforma valentissimi e prudenti scienziati in tuttologi a cui tutti danno ascolto e credito, anche quando le loro esternazioni rasentano il ridicolo. In sintesi, la questione era: cosa fare per evitare che il premio Nobel crei dei mostri?
La mia visione vagamente inconoclasta riguardo al Nobel si è rafforzata di recente, dopo che ho assistito, a Torino, dove ero di passaggio ad una delle note performace del Nobel per la chimica Kary Mullis. Premiato come inventore della tecnica rivoluzionaria della PCR (ma la paternità dell’invenzione è sempre stata controversa), Mullis è generalmente catalogato dai media, a seconda dei casi, come scienziato “controverso” “anticonformista”, “eterodosso”. Tutti aggettivi che sembrano nati per suscitare l’interesse più o meno morboso del pubblico. La sala del museo di Scienze Naturali era infatti abbastanza affollata, nonostante l’ora serale e il prezzo del biglietto di ingresso per l’evento, fissato a 12 euro.
Il Nobel statunitense non ha deluso le aspettative di chi era venuto per lo spettacolo. Dopo aver liquidato in poche battute il racconto sui suoi contributi scientifici, ha ricordato le sue tre grandi passioni: le donne, il surf e l’LSD. Poi arrivano le vere chicche: vengono letti brani dal libro di Mulllis, dove si racconta di suo incontro mistico-sessuale con una donna appena sbarcata da un viaggio siderale – poi misteriosamente ripartita. A seguire, una storia ancora più divertente di conversazioni notturne con un procione dalla testa fosforescente davanti alla sua porta di casa. Qualcuno della platea sorride. Ma Mullis non scherza.
Un po’ di gelo si crea quando il Nobel decreta che la spiegazione più semplice di tutti questi strani fenomeni è l’esistenza di alieni. Lui stesso, dice, è stato più volte vittima di alien adductions, di rapimenti da parte degli alieni.
Seduto non lontano da me c’è un collega bravo e piuttosto noto, una vecchia volpe torinese del giornalismo scientifico. Con grande professionalità, ascolta senza battere ciglio i deliri lisergici del Nobel. Solo una rapida smorfia tradisce, per un attimo, il suo disappunto. Il resto del pubblico ascolta in religioso silenzio.
Chi conosce Mullis e suoi libri non si sorprende delle sue sparate. E’ piuttosto sconcertante, invece, il silenzio che regna quando arriva il fatidico momento delle domande del pubblico. Possibile che una audience come quella, non proprio digiuna di scienza, si beva tranquillamente la storia dei rapimenti alieni del Nobel?
Possibile. Invece di una doverosa fila di domande stringenti, dal pubblico arrivano solo commenti accondiscenti, con il risultato che Mullis ha addirittura l’occasione di rincarare la sua dose di ragionamenti bislacchi.
Alla fine non reggo più e in una sala praticamente ammutolita mi alzo per fare una domanda al Nobel.
Non ha pensato -chiedo a Mullis- che le sue strane esperienze si spieghino più semplicemente e razionalmente come allucinazioni -peraltro probabili, considerato il suo uso dichiarato e abituale di allucinogeni- invece che come manifestazioni di intelligenze galattiche?
Mullis mi guarda tranquillo mentre il traduttore gli sussura in un orecchio il mio domandone scettico. Con altrettanta tranquillità mi risponde. No, nessun dubbio, non potevano essere allucinazioni. Non è giusto, dice, che ogni volta che qualcuno sperimenta qualcosa di insolito si parli di allucinazioni. I nostri sensi, l’universo, sono molto più complessi della nostra conoscenza razionale. E poi, aggiunge, è molto più bello pensare che ci sia qualcosa che vada al di là delle aride regole della scienza.
Non replico, sperando di aver lanciato il sasso nello stagno. In fondo, qualcuno doveva pur rompere il ghiaccio. Ora il pubblico reagirà. In effetti, quando torno al mio posto, ricevo segni di approvazione da parte dei miei vicini, e commenti tipo: bravo, ben detto. Nessun altro però prende la parola.
Confesso che non mi aspettavo un atteggiamento così passivo da parte del pubblico, visto il luogo e il contesto, che davano all’evento una parvenza di legittimità scientifica. Ma poi ho capito dove la mia previsione sbagliava: non avevo tenuto conto del potere dirompente del Nobel, un titolo di fronte al quale anche lo spirito più critico e razionale rischia di arenarsi. Mi sono reso conto ancor ancora una volta che il rapporto che il pubblico e i media hanno con il Nobel è di sudditanza assoluta, tale da risultare quasi perversa.
Nella storia umana è difficile trovare un titolo più assoluto e irrevocabile del premio Nobel. Quello che di per sé non è altro che un riconoscimento assegnato da una giuria di esperti per un lavoro eccellente, come nel cinema avviene per gli Oscar o il la Palma D’ Oro, negli anni è diventato, anche grazie ad un lungo ed accurato lavoro di marketing, una patente assoluta e perenne di genialità, senza possibilità di revoca. Di fronte ad un premio Nobel non possiamo che sentirci minuscoli e impreparati. Se una cosa l’ha detta un Nobel, un fondo di verità ci dovrà essere.
Mullis da l’impressione di conoscere bene il potere che deriva dal titolo che gli è stato assegnato, e sembra deciso a sfruttarlo fino in fondo. A modo suo, anche lui ha un rapporto piuttosto perverso con il Nobel. Intascando il prezioso titolo, Mullis ha in fondo implicitamente accettato le regole della scienza, basate sull’osservazione, sulla verifica e sulla razionalità delle ipotesi, e si dovrebbe fare carico anche delle responsabilità morali che inevitabilmente accompagnano un riconoscimento del genere. E invece, come un figlio degenere, se ne va in giro a sputare sul metodo scientifico, spacciando banali aneddoti come prove di fenomeni paranormali. Sfrutta i vantaggi di un riconoscimento scientifico importantissimo, ma disconosce i principi della scienza.
L’ Accademia delle Scienze svedese dovrebbe chiedere a Mullis, e ad altri, di restituire il premio Nobel, almeno simbolicamente. Ma non mi risulta che sia previsto alcun modo per rinunciare a questo riconoscimento quasi sacro. Perfino il diritto nobiliare prevede la revoca dei titoli, in casi gravissimi. Un Nobel invece è per sempre, come i diamanti.
Anche di fronte ad un Nobel non dobbiamo perdere il senso della realtà: fuori dal proprio ristretto campo di competenza, l’opinione di un premio Nobel non è necessariamente più autorevole di quella di qualunque persona intelligente e discretamente informata. Per questo dobbiamo smetterla di dare credito incondizionato ai premi Nobel, amanti o meno dell’LSD, quando parlano di cose che non sanno.