Ho appena visto due serie diverse e potenzialmente ottime accomunate da un finale da buttare.
Godless (Netflix) è western del 2017 che ho visto solo ora. Girato molto bene (e io amo il western di qualità), trama intrigante, ambientazione realistica e sceneggiatura che hanno attirato la mia attenzione e Jeff Daniels che offre un’interpretazione notevole.
The Consultant (Amazon) non potevo non guardarlo considerata la mia occupazione (se sei idraulico e ti propongono la serie “The Plumber” che fai, non la guardi?), e l’high concept originale e attraente. Ambientazione contemporanea e ironica, bei dialoghi, inizio al fulmicotone e un Christoph Waltz sempre al top, anche se il personaggio sembra una versione riciclate dalle sue altre interpretazioni.
Due serie (corte) che ho divorato in pochi giorni ma che si sono entrambe disintegrate a livello di scrittura e stile nell’episodio finale.
In Godless un finale insensato con sparatoria irrealistica e senza senso. Un jumping the shark che poteva essere scritta dal cugino povero di Tarantino in forte sedazione seguito da un’infilata dolorosa di tutti i cliché che gli autori sembravano avere evitato fino a quel momento – compresa (spoiler) cavalcata di addio al tramonto. O all’alba, boh.
In The Consultant un finale tirato via, che non chiude, non spiega e prepara infantilmente ad una nuova, telefonata stagione come se la prima fosse solo un trailer.
I finali deludenti via, i mancati orgasmi da storytelling interruptus sono ormai un rischio costante della produzione di film e serie. Una ragione sta nel manico dello storytelling contemporaneo: il modello di business delle piattaforme che prediligono l’apertura rispetto alla chiusura,e forse anche nelle abitudini del pubblico. Nel mercato globale delle piattaforme ( che propongono anche cose davvero eccellenti) le produzioni più impegnative vengono scelte e finanziate in base soprattutto all’high concept -quello che in italiano chiameremmo il soggetto.
Se vuoi vendere la stessa storia in italia e in Qatar e rifarti delle spese devi infatti raccontare temi universali e avere un high concept molto forte e universale che parli ad un determinato segmento di pubblico a prescindere (il più possibile) da dove si trova. In buona parte della produzione contemporanea, la selezione darwiniana del click e del passaparola si opera sull’inizio delle storie, non sulla chiusura. Che a volte addirittura non c’è proprio, come succede con le serie (non poche) che non vengono rinnovate dopo la prima stagione.
Il risultato è una quantità di serie e film eccellenti sul piano dell’high concept e dello sviluppo iniziale ma dove ci si pone poco o nulla il problema del finale. Anche perché nella scrittura, almeno per come la vivo io, un buon finale è spesso la parte creativa più ardua. Puoi avere molte idee originali di storie e ambientazioni ma svilupparle e chiuderle in modo altrettanto originale è difficile.
Ci sono naturalmente notevoli eccezioni: serie come Breaking Bad, Better Call Saul, the Ozark e molte altre hanno chiusure ottime ma si tratta di prodotti di pura eccellenza e diretta da showrunners geniali e che impongono fortemente la loro visione e creano un rapporto forte con la audience. Quando guardi queste serie non sai come andrà a finire ma sei sicuro che gli autori hanno le idee chiare al riguardo.
Per molte altre, come per svariate forme di racconto, il rischio di storytelling interruptus è sempre dietro l’angolo
“L’ultima cosa che si scopre scrivendo un libro è come cominciare,” diceva Blaise Pascal. E’ chiaro che i produttori di oggi dissentono fortemente. Fregarsene degli spoiler e guardare subito l’ultimo episodio? Soluzione drastica ma risolutiva. Forse meglio della delusione di un finale squagliato.
Intanto un pedante ma gratuito reminder per chi di voi si trovi a fare comunicazione, anche solo per un talk o una presentazione: la tensione narrativa va mantenuta fino alla fine. Altrimenti è come mettersi a letto insieme, spogliarsi e poi restare a parlare del tempo.