L’inchiesta di Firenze potrebbe scoperchiare un pentolone di scandali. Come sopravviverai al popolo indignato che grida “Baroni, Baroni!”?
Differentiate or die di Jack Trout è uno dei pochi libri di marketing che mi hanno ispirato. D’accordo, lo ammetto, è uno dei pochi libri di marketing che ho letto e forse è anche datato.
Comunque sia, Differentiate or Die! è quello che ripeto sempre più disperatamente, da anni, agli amici che lavorano nelle università e che magari si lamentano per gli scarsi finanziamenti o la considerazione sociale sempre meno lusinghiera che l’ambiente accademico riscuote.
Come rispondere al popolo indignato che grida “baroni, baroni!” e far capire che non è tutto così?
Alla luce degli ultimi scandali sulla corruzione nelle università leggo e sento molti bravi scienziati accademici che si pongono sinceramente questa domanda.
La risposta è: differenziandosi. Voglio dire, davvero. Non solo a parole.
Il succo di Differentiate or Die, scrivevo una volta nel mio blog è che se non si vuole morire (commercialmente e comunicativamente ) bisogna fare di tutto per differenziare il proprio marchio e la propria voce da quelle che risultano troppo simili, far risaltare agli occhi del pubblico le proprie caratteristiche distintive e positive e far leva su di esse.
Lamentarsi perchè gli altri fanno di tutta l’erba un fascio non serve.
Specialmente nel mezzo di uno scandalo, i media e l’opinione pubblica fanno sempre di tutta l’erba un fascio. Se in mezzo a quell’erba ci sei anche tu, devi fare capire chiaramente che sei una pianta buona e non gramigna, o verrai trattato come quest’ultima. Differentiate or die.
Differenziarsi non si fa solo quando la merda raggiunge il ventilatore, come succede in questi giorni. Si fa quotidianamente, con le parole e le azioni.
Bada bene, amico accademico: non ti sto facendo un pippone morale, ti sto dando un consiglio tecnico gratuito.
Non basta sapere nel tuo intimo che sei diverso dai cattivi, o che il sistema è marcio e provi a fare del tuo meglio. Bisogna che gli altri lo capiscano. Altrimenti prima o poi sei nei guai.
I cattivi maestri
Quello che proprio non dovresti fare — rimango sempre sul piano tecnico e non morale- è accodarti ai tanti opinion leader accademici che in questi giorni, come sempre, fanno quadrato, minimizzano, usano il solito argomento delle mele marce o peggio ancora si lanciano nell’antico e nobile sport dell’arrampicata sugli specchi.
Il prof. Fabio Sabatini su Strade Online arriva perfino a sostenere che:
Il settore scientifico-disciplinare oggetto delle indagini, “Diritto tributario”, è un piccolo feudo governato da dinamiche che nulla hanno a che fare con la ricerca scientifica e profondamente avulso dal resto dell’università.
(Capito? I feudi accademici sono lì, ben nascosti nelle aule di diritto tributario. Come un tumore in situ. Esci dal firewall e trovi il paradiso. Chiunque abbia notato che anche altrove la trasparenza non sia proprio di casa, per esempio nelle facoltà scientifiche che ho frequentato io e che magari frequentate anche voi, è un ladro bugiardo complottaro e pure spia).
Nulla di nuovo sotto il sole. E’ la classica reazione corporativa, che il pubblico istintivamente riconosce e che potremmo riassumere in: 1) cerco di minimizzare 2) cerco di operare un distinguo 3) aspetto che passi la tempesta e continuo come prima.
Questo schema magari funziona nel breve termine ma produce un danno cronico di immagine che si aggrava nel tempo. Se sei un accademico, devi capire che il tuo status, l’indubbia bravura e onestà tua e/o di molti tuoi colleghi etc.. non ti metterà al riparo dal processo di erosione della fiducia e credibilità che la tua categoria — e quindi tu come individuo, subirete se non fai qualcosa.
Il problema non sono gli scandali, ma quello che succede dopo.
Io penso che l’università italiana sia meglio di quello che tanti immaginano dal di fuori e peggio di quello che raccontano i professori (pubblicamente, perché in privato ne dicono peste e corna).
Ma chiunque sia entrato anche per sbaglio in una facoltà italiana ha ben chiaro che certi metodi baronali non sono il risultato di qualche collega che sbaglia, come sostengono autorevoli commentatori accademici, ma di un sistema anti-meritocratico che da sempre, anche nel mio piccolo blog, mi sforzo di denunciare.
I giudici faranno il loro lavoro, come si dice, ma chiunque conosca l’accademia italiana sa bene che quello che stanno scoprendo a Firenze è assolutamente rappresentativo di ciò che succede quotidianamente in molti atenei: scambi di favori, concorsi e assegnazioni predeterminate, baronie, candidati che vengono dissuasi a presentarsi e invitati ad attendere il loro “turno”, scarsissima trasparenza nella gestione e nei conti.
Sono abbastanza d’accordo con chi dice che è quasi sempre il sistema accademico, con le sue regole assurde, che ti fa comportare da barone anche se non vorresti. Mettiamo che tu, come tanti bravissimi ricercatori che conosco, critichi il sistema ma ci convivi, ti adegui per fare comunque qualcosa di buono. Io ti capisco e non ti giudico.
Questo però non cambierà di molto la percezione pubblica della tua categoria e del tuo lavoro. Se fai parte di un sistema sbagliato, lo capisci e lo accetti, è normale che la gente faccia di tutta l’erba un fascio e ti ci metta dentro. E’ perfino giusto, se ci pensi. Differentiate or die.
L’elefante nella stanza
Quello che dovresti fare, se vuoi davvero differenziarti, è isolare chiaramente chi opera certi comportamenti, e non accettare di stare nel mucchio della gramigna.
Temo che per un accademico italiano oggi questa cosa equivalga ad avere tre opzioni: contribuire a cambiare radicalmente il sistema, andarsene, oppure essere percepito come parte di esso e alla lunga, morire con esso. Non ci sono vie di mezzo. Differentiate or die.
Il prestigio del sistema accademico è in caduta libera, e non certo per colpa della stampa o della gente.
Se il letto del fiume non viene ripulito dalla gramigna, se gli argini delle buone pratiche non sono mantenuti, se non si punta sulla trasparenza, ogni notizia negativa è un pezzo di credibilità che se ne va per sempre, finché non rimane niente.
Bisogna ammettere chiaramente, dichiarare, urlare che l’accademia italiana ha un problema enorme di trasparenza. E di controllo di gestione.
Forse addirittura superiore a quello, già grave, di altri settori pubblici.
Ignorare questo elefante nella stanza è un errore fatale. Soprattutto se a farlo sono i ricercatori onesti e produttivi. Che per fortuna sono tanti.
PS: sto aspettando invano da quasi due mesi che l’Università della Sapienza, il più grande ateneo italiano ed europeo, mi fornisca chiarimenti riguardo a fondi (pubblici) di un suo dipartimento di chimica che sarebbero stati usati per finanziare un corso di naturopatia e omeopatia. Alla faccia della trasparenza e dei finanziamenti che scarseggiano. Ed è solo un piccolo esempio.