Creare un blog scientifico per il vostro istituto
Con i blog ormai diventati uno strumento affermato di comunicazione, l’idea di crearne uno per la propria istituzione di ricerca, grande o piccola, è allettante. Parliamo in questo caso di un corporate blog, cioè un blog istituzionale, per distinguerlo dai blog individuali. Non è una mera distinzione semantica: mentre un blog individuale ha lo scopo principale di far circolare le proprie idee, un corporate blog (così come tutta la comunicazione istituzionale) ha come obiettivo quello di servire da voce e per gli scopi di un’ organizzazione. Come vedremo, questo ha delle conseguenze pratiche da non sottovalutare.
Poniamo che lavoriate per un centro di ricerca, una fondazione, un istituto, dove esiste già un sito internet. Poniamo che siate un ricercatore con il pallino della divulgazione, oppure qualcuno a cui è stato affidato il compito di gestire il sito. Siamo tutti d’accordo che un blog, magari inglobato in un più classico sito istituzionale, può dare quel tocco di interattività in più, creando un link più diretto ed immediato con i lettori. Un blog può aiutare a coinvolgere il pubblico avvicinandolo al vostro lavoro (se siete un istituto o un laboratorio) e alla vostra causa (se ad esempio siete una charity impegnata in ricerca) e perchè no, ad aumentare la raccolta fondi.
Il linea di principio, quindi, un blog è una buona idea, e rappresenta una buona carta comunicativa, se giocata bene. Ma prima di lanciarsi a capofitto nell’impresa di creare un corporate blog scientifico, è importante valutare alcuni aspetti, per evitare di trasformare una promettente idea si trasformi in una Caporetto mediatica.
Un blog non è come un libro che si scrive ed è finita lì: ogni volta bisogna trovare nuovi argomenti, fornire nuovi stimoli e bisogna raccogliere il feedback dei lettori. Provate a farlo fra un esperimento e l’altro. Ma un blog è come un tamagoci: dimenticalo per un pò e si metterà a frignare; trascuralo ancora di più e esalerà l’ultimo respiro.Come lo spazio intorno alla terra, pieno di pezzi di satellite, il web è ingombro di detriti di blog messi in piedi troppo in fretta e in fretta dimenticati, non aggiornati, non letti, non commentati. Questi rottami non sono soltanto brutti da vedere, ma rischiano di fare perdere credibilità al resto del vostro sito. L’ esempio che segue forse chiarirà quello che intendo.
Mi è capitato di seguire da vicino la parabola del blog (anzi, dei blogs) di una organizzazione piuttosto importante: si trattava di blogs gestiti direttamente da ricercatori, con l’intento di raccontare la scienza “in diretta”, coinvolgere il pubblico, creare un link diretto con i lettori. L’iniziativa ( far parlare scienziati e pubblico) era lodevole, ma non aveva fatto i conti con alcune realtà dolorose.
La prima è molto semplice: i ricercatori hanno troppo da fare per riuscire a seguire un blog come si deve. Dopo i primi entusiastici post, i ricercatori-blogger si sono dovuti dedicare al loro core business: fare ricerca. Come risultato, i loro blog tacciono da mesi. Nessun nuovo post dai laboratori, nessun commento. Altri rottami nel cimitero dei blog abbandonati.
Questo case study, che ho voluto tenere anonimo (l’importante in questo caso è il peccato, non il peccatore) ci fa riflettere su una questione importante, da prendere seriamente in considerazione:
1) E’ una buona idea chiedere ad un ricercatore di diventare blogger per il nostro sito istituzionale?
Da una parte, i ricercatori rappresentano il profilo ideale di blogger: persone interessanti, curiose, che fanno un lavoro tutto da raccontare, alle prese con sfide quotidiane nelle quali coninvolgere i lettori. La scienza raccontata giorno per giorno, da chi la fa, potrebbe fornire materiale per un blog di grande impatto, e con enormi potenzialità.
Di contro, ci sono alcuni problemi pratici. Mettetevi nei panni di uno scienziato alle prese con esperimenti lunghissimi, con gli studenti, con congressi, domande di finanziamento con le beghe burocratiche e i grattacapi della accademia e poi ditemi dove piazzereste un blog nella vostra lista delle priorità. I ricercatori non dicono quasi mai di no. Quando chiederete loro di scrivere un blog aspettatevi la loro entusiastica adesione. Ma non aspettatevi che continuino a seguirlo regolarmente per più di qualche settimana.
La seconda questione riguarda soprattutto istituti e organizzazioni medio-grandi e non è necessariamente legata al coinvolgimento dei ricercatori, ma è ugualmente importante:
2) Quello che viene scritto nel blog sarà coerente con la politica comunicativa dell’organizzazione?
In questi tutti i corporate blog, prima o poi, si pone il problema di bilanciare le idee personali con le posizioni dell’organizzazione di cui il blog fa parte. In fondo, la possibilità di un dialogo senza filtri è uno dei motivi per cui i blog sono apprezzati dal pubblico. Ma non va dimenticato che un blog istituzionale diventa, che vi piaccia o no, la voce di un organizzazione. Potrete aggiungere al vostro blog tutti i disclaimer che volete, potrete sostenere all’infinito che ognuno è responsabile di quello che scrive, ma questo non cambierà le cose. Il blog ha il vostro logo e il vostro marchio, è un pezzo della vostra comunicazione istituzionale. Non è un caso che la storia recente pulluli di corporate blog -anche molto seguiti- chiusi in fretta e furia perchè ritenuti non appropriati alla policy dell’organizzazione. Per questo, è norma comune per tutte le organizzazioni creare delle linee guida per i propri blogger. Guardate ad esempio la policy elaborata da Feedster per i propri impiegati.
Mi spiego meglio con un esempio in campo scientifico. Poniamo che nel nostro blog istituzionale, gestito da un ricercatore, appaia un commento animalista, che critica l’uso degli animali da laboratorio. Oppure un commento che solleciti a dire la propria su argomenti scottanti (l’uso di cellule staminali embrionali, l’energia atomica, gli OGM, la trasparenza dei concorsi, l’ultimo provvedimento del ministro tal di tale, il rapporto fra scienza e religione etc…). Commenti del genere sono quasi inevitabili. Come reagirà il nostro blogger? Il blogger è a conoscenza della policy comunicativa adottata dall’organizzazione? Sosterrà le proprie idee sul blog, anche se queste contrastano con la policy dell’organizzazione? E’ in grado di misurare i rischi comunicativi di una propria frase , apparentemente innocente, riguardo a temi sensibili? Non è un problema da poco: un post avventato potrebbe annullare in un attimo mesi di attento e duro lavoro di un intero ufficio stampa.
Andando sul pratico, se volete reclutare come blogger ricercatori (o soggetti esterni), dovreste anche reclutare un coordinatore – qualcuno relativamente ferrato in comunicazione- che, se non altro, sia continuamente aggiornato sulla linea comunicativa dell’organizzazione e la condivida con i bloggers, e che possa monitorare regolarmente i contenuti dei blogs. Nella maggior parte dei casi, non si tratta di censurare, ma di evitare derive di cui gli stessi autori potrebbero non valutare la portata.
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Il mio consiglio
In definitiva, aprire un blog scientifico istituzionale è una buona idea, che va però valutata attentamente. La strada più sicura, a mio parere, è quella di coinvolgere i ricercatori non come autori principali del blog, bensì come co-autori, ad esempio chiedendo loro di commentare o approfondire alcuni argomenti, utilizzandoli per interviste o come soggetti di materiale audio o video. In questo modo avrete da loro la massima collaborazione e otterrete contenuti interessanti, senza procurare a loro e al vostro blog penose settimane di silenzio e senza esporvi al rischio di boomerang comunicativi.
La figura di autore principale, e di coordinatore dei blogs, dovrebbe essere affidata ad un professionista che abbia tempo e competenza da dedicare al progetto. Se c’è già un ufficio stampa o un ufficio comunicazione, è possibile identificare qualcuno al suo interno che se ne occupi. Altrimenti, si può ricorrere alla collaborazione esterna di un comunicatore, meglio se ferrato nella materia da trattare (che ci crediate o meno, non lo dico per fare pubblicità occulta alla mia attività, ma perchè alla prova dei fatti questa risulta la soluzione migliore).
Chiudo portandovi un bel esempio di questa strategia: Science Cafè, il blog della UCSF, curato dall’amico e divulgatore Jeff Miller.