Esami di Maturità e clonazione: Sergio Pistoi ai microfoni di Radio 3 Scienza
Lo spread spiegato a mio figlio deficiente
Hai prestato mille euro al tuo vicino Giovannino. Avete un contratto, il Giovannino-Bond, per cui lui ti restituirà i tuoi mille euro più l’1% di interesse fra un anno. Giovannino è una brava persona ma tutti sanno che è un po’ spendaccione. Anzi, a dire il vero è indebitato di brutto. Più precisamente, per ogni 100euro che produce, è indebitato per 130.
Giovannino è generoso, mantiene molti anziani e bisognosi in casa sua ma pare anche che alberghi svariati individui che mangiano a sbafo e non fanno quasi niente. Poi c’è un tot di soldi che non si sa dove finiscano, perché, diciamolo, Giovannino non è bravissimo a tenere i conti a posto.
Il dubbio se Giovannino pagherà o no ce l’hai, eccome. Ma finora lui ha sempre onorato i debiti, al limite ha venduto qualche mobile e messo moglie e figli a stecchetto perché sa che altrimenti i soldi non glieli presterebbe più nessuno.
Certo, all’isolato accanto ci sarebbe Franz. Lui sì che tiene i conti in ordine, ha molti meno debiti rispetto a quello che guadagna, è considerato superaffidabile e morigerato. Ma proprio perché tutti vogliono prestare i soldi a lui, l’interesse che offre è bassissimo, vicino allo zero. Franz ispira talmente fiducia che nei tempi più rischiosi la gente del quartiere gli affida i soldi solo per tenerli al sicuro in cambio di un interesse negativo, cioè pagandolo per il suo servizio!
Tu dici, OK, ma io voglio ricavare qualcosa dai miei mille euro e in fondo Giovannino ha sempre pagato. Chi non risica non rosica, giusto? Giusto.
Poi un giorno vieni a sapere che da Giovannino si prevede una nuova amministrazione e questi nuovi amministratori dicono in giro che il debito è una cosa buona, anzi bisogna farne di più! Addirittura un paio di quegli amministratori hanno già detto che vogliono cambiare moneta e stamparne una tutta loro per pagare i debiti!
Insomma, tu gli hai dato gli euro, che li puoi usare dove vuoi, e loro potrebbero restituirti in tuoi soldi in Giovannino-Valuta, che puoi spendere solo a casa di Giovannino. Quanto varranno in euro i soldi di Giovannino? Chi li accetterà? Cos’ha lui in casa che posso comprare, e a quanto? Ma con tutti sti debiti ce la farà Giovannino? Boh.
Appena si sparge la voce, ovviamente nessuno vuole più prestare i soldi a Giovannino all’1 per cento di interesse. Piuttosto li prestano a Franz, guadagnano poco ma sono al sicuro. Oppure li danno a Jaqueline, che sta lì vicino, non è affidabile come Franz ma neanche messa male come Giovannino e offre un interesse che è una via di mezzo fra i due. Da Jaqueline almeno si sa chi comanda, e nessuno ha mai detto che cambierà moneta.
Quando vedono che in giro c’è agitazione, gli amministratori di Giovannino cambiano versione sulla storia della moneta ma alla fine nessuno è davvero convinto. Ancora più agitato dei suoi prestatori, Giovannino licenzia i nuovi amministratori prima ancora che abbiano iniziato. Ora non si capisce neanche più chi comanda, a casa di Giovannino. Cosa faranno?
Giovannino, che è sempre in cerca di quattrini, non ha altra scelta se non quella di aumentare l’interesse dei suoi Bond, così da renderli più appetibili a chi è più propenso a rischiare, ovviamente a fronte di un maggior guadagno. Fa un giro del quartiere e capisce che per attirare abbastanza prestatori ora deve dare il 3 per cento di interesse, non l’uno per cento come prima.
Contemporaneamente, anche i detentori dei Giovannino-Bond già in circolazione, come il tuo, cominciano ad agitarsi. Molti, a ragione o a torto, decidono che è meglio perderci qualcosa subito che rischiare di perdere tutto fra un pò. Allora decidono di vendere i G-Bond ad altri più propensi al rischio, ovviamente per meno del loro valore nominale, cioè ad un prezzo minore di quanto li hanno pagati loro, altrimenti chi vuoi che glieli compri, visto che le stime sull’affidabilità di Giovannino sono peggiorate.
Il tuo Giovannino-Bond annuale da mille euro ora sul mercato ne vale 980 – più o meno quello che otterresti prestando i soldi a Giovannino al nuovo tasso di interesse. D’altra parte nel quartiere non sono fessi e i conti li sanno fare. Chi compra, sa di rischiare ma spera di guadagnare di più al momento del rimborso.
Se tutto va bene, i compratori alla scadenza avranno indietro mille euro + gli interessi dell’ 1% che c’era nel tuo contratto, ma avranno pagato solo 980 euro, quindi si metteranno in saccoccia altri 20 euro (quindi il 2% in più di te). Totale, 3 per cento di guadagno, come si diceva prima.
Il rendimento del G-Bond – che dipende dall’interesse che offre ma anche ovviamente da quanto l’hai pagato- è aumentato.
Se invece va male i compratori rischiano di perdere tutto l’investimento. Può succedere. C’est la vie, e loro lo sanno.
Giovannino invece si lamenta, dice che tutti ce l’hanno con lui e lo vogliono fallito. Grida al complotto, vorrebbe che per amicizia o per stima tutti (anche tu) gli prestassero i soldi senza chiedere interessi alti. Mostra le cose belle che ha in casa e che dovrebbero garantire il prestito. I familiari che fanno il tifo per il debito di Giacomino non hanno neanche capito bene che le loro cose, i soldi nel cassetto, i vestiti, le suppellettili di casa, sono a rischio di esproprio da un giorno all’altro. Ma ormai la gente non si fida comunque.
Giovannino urla che gli altri non possono imporgli cosa fare a casa sua, dimenticando che finché hai debiti, troppi debiti, non sei mai davvero padrone.
E’ vero che in giro c’è anche chi approfitta dell’incertezza e del panico. Per esempio, c’è chi ha interesse a spargere voci allarmistiche e far calare il prezzo dei Giovannino-Bond per comprarli a poco e poi magari rivenderli se e quando risalgono. C’è anche un giro di scommesse parallele per cui c’è chi ha puntato contro Giovannino e i suoi Bond. Se questi perdono di valore, loro guadagnano e quindi gufano contro.
Magari tutto ciò non sarà simpatico nei confronti di Giovannino. Ma è chiaro che il problema è quello che succede a casa di Giovannino, non le scommesse che si fanno fuori.
Tra i fighi del quartiere la differenza tra il rendimento di Franz e quello di Giovannino si chiama spread, in inglese. Ma anche senza essere i precisini della situazione, tutti capiscono che la differenza fra il tasso di interesse di Franz e quello di Giovannino, aka lo spread, si allarga perché a prestare i soldi a Giovannino si rischia di più. Oppure perché la gente pensa, magari a torto, di rischiare di più, che in termini di investimento è la stessa cosa.
Certo, c’è anche gente che ci marcia. Ma su Franz e Jaqueline, ad esempio, non c’è modo di speculare al ribasso, perché sono più affidabili. Anche se qualche furbone spargesse voci allarmistiche su di loro, dicendo che potrebbero non pagare, nessuno ci crederebbe. Infine, contrariamente alle accuse di Giovannino, alla maggior parte del quartiere non gliene frega niente di comandare a casa del nostro amico. Quello che vogliono è recuperare i loro soldi e guadagnarci. Il che nei mercati e in generale fra persone sane di mente, è normale.
Troppa trama? Caro figliolo, questa storia contiene concetti di livello quarta elementare, gli unici che io e te possiamo afferrare. Se non sei riuscito a seguire fino a qui, ti voglio bene lo stesso. Magari però evita di andare in giro a parlare di economia.
PS: non ho figli, ma se ne avessi sarebbero quasi sicuramente deficienti per mere questioni genetiche. Comunque nel titolo funzionava.
Omeopatia Day. L’esperimento definitivo.
Non so chi abbia decretato il 10 Aprile come giornata mondiale dell’omeopatia. E’ comunque un’ottima occasione per provare con mano tutti i benefici che la scienza non riesce a spiegare.
Un incerto 2018 per il premio Galileo
Su ScienzainRete leggo che il Premio Galileo per la divulgazione scientifica, uno dei riconoscimenti più ambiti nel campo della comunicazione scientifica italiana, è destinato da quest’anno a cambiare radicalmente, e in peggio. Il Comune di Padova, che ha avuto il merito di inaugurare e portare avanti per undici anni il premio, avrebbe infatti intenzione di modificare il meccanismo che lo rende speciale, riducendolo di fatto ad un premio locale come tanti.
Nel 2013 ho avuto il privilegio di vincere il premio letterario Galileo. Per questo mi sento titolato in qualche modo a parlare di questa iniziativa, avendola vissuta in prima persona. Alcune personalità ed ex giurati del premio hanno scritto una lettera aperta invitando a ripensare questa decisione. Condivido la loro preoccupazione e cercherò di riassumere perché:
- Chiariamo subito: se non sei uno che scrive o legge libri di divulgazione (cioè se statisticamente fai parte della maggioranza degli italiani) ti chiederai perché il mondo dovrebbe interessarsi alle sorti di un premio letterario dedicato al settore. Ottima osservazione: infatti, dovrebbe fregartene davvero poco. Perfino a me che ci lavoro interessa marginalmente un premio letterario dove gli autori se la suonano e se la cantano. Il fatto – e questa è la cosa più importante che voglio dire – che il Galileo è molto più di questo. Rappresenta infatti un’occasione unica di incontro fra ragazzi, il mondo della scuole, insegnanti e autori intorno a contenuti interessanti. E’ un cocktail benefico a lento rilascio, un’esperienza che anche ad anni di distanza lascia segni positivi sui partecipanti. Un’alchimia che si è creata non solo grazie al lavoro di chi la organizza, ma anche per la sua formula che lo rende un evento speciale.
- Il premio, modellato sul più famoso Campiello, prevede la selezione di una cinquina di libri finalisti da parte di una giuria tecnica di esperti. I libri della cinquina (ingrediente fondamentale) vengono poi letti e votati da una giuria di studenti delle superiori, una classe per ciascuna provincia italiana, che decretano il vincitore.
- Girando per le scuole italiane (negli ultimi 4 anni ho incontrato quasi 18mila studenti) mi sono reso conto di quanto il Galileo sia stimato e conosciuto nel mondo della scuola superiore. E’ anche difficile capire, senza averlo vissuto, quanto sia speciale per i ragazzi e i loro insegnanti partecipare a questa iniziativa. Quattro anni dopo la finale del Galileo, vengo ancora chiamato da insegnanti che hanno fatto parte della giuria con le loro classi e sono in contatto con studenti, oggi all’università, che hanno letto e votato i libri finalisti. La giornata finale, con il centro di Padova gioiosamente invaso da centinaia di studenti di tutta Italia, è un evento per il quale esistono pochi analoghi nel mondo, e che aveva lasciato di stucco anche due dei miei co-finalisti che venivano dall’estero. Ho avuto la piacevole sensazione di partecipare ad una competizione dove l’obbiettivo principale non era premiare gli autori (che pure sono contenti di vincere come in tutte le gare che contano) ma coinvolgere e responsabilizzare i ragazzi nella scelta critica. Pochi premi letterari hanno un tale potenziale di coinvolgimento nel lungo termine, e questo si deve al meccanismo attuale del premio e alla sua valenza nazionale.
- Ho scritto “nazionale” ma dovrei dire: “internazionale”. Pur essendo il Galileo un premio per opere edite in italiano, molti autori sono stranieri, e di ottima levatura. In finale con me c’erano bestselling authors come Sam Kean e Frank Close, che sono venuti a Padova. Il fatto che un autore di divulgazione relativamente sconosciuto (come il sottoscritto) possa competere con grandi autori stranieri, anche se in traduzione, è raro nel panorama italiano. Ridurre un premio del genere all’ambito locale significa senza mezzi termini ucciderlo.
- Per quanto possa sembrare un dettaglio noioso, la selezione a cui ho assistito è di rara semplicità e trasparenza, e mette al centro i ragazzi, i loro gusti e senso critico come poche competizioni a mio parere sono riuscite a fare. L’intera discussione e votazione della giuria tecnica è ripresa in streaming, e tutti possono seguirla da Internet. Fino all’ultimo voto che arriva dalla giuria popolare, nessuno conosce il nome dei vincitori. Meglio, molto meglio di Sanremo, per dire.
- Il cambiamento annunciato, a quanto pare, ridurrebbe drasticamente il numero di studenti in giuria limitandoli alle scuole intorno a Padova. Introdurrebbe anche, (ma perché poi?) una giuria di 200 ricercatori dell’ateneo padovano che di fatto diluirebbe l’ingrediente più importante del premio: l’opinione dei ragazzi che nel meccanismo attuale li rende i veri protagonisti dell’iniziativa. Anche se fatto in perfetta buona fede, il nuovo meccanismo non potrà mai essere altrettanto chiaro e trasparente di quello attuale. Ma poi, davvero, perché mai far votare 200 ricercatori universitari per un premio letterario finora rivolto ai ragazzi?
- Come tutti, spero anch’io che il comune di Padova ci ripensi e trovi le risorse, magari grazie ad nuovo sponsor. La scelta di cambiare sistema è dettata da difficoltà economiche che non sono una novità. Già nel 2013 gli organizzatori mi dissero che non vedevano un futuro roseo: i conti fino a quel momento erano tornati grazie al generoso supporto di sponsor industriali della zona ma che la crisi stava assottigliando i contributi privati. Le edizioni più recenti hanno visto la riduzione degli studenti invitati a Padova (un tempo erano oltre 800 e tutti spesati con i loro insegnanti).
- Dobbiamo essere realistici: non è facile chiedere a un’amministrazione locale, di questi tempi, di dirottare soldi e tempo su un evento che va soprattutto a beneficio di ragazzi e scuole nel resto d’Italia quando, magari, ci sono poche risorse per le scuole dietro casa. Per una città come Padova è anche difficile capitalizzare economicamente su un evento che richiama allegre scolaresche, invece che – per dire- su un festival che attiri gente famosa, sponsor con lustrini e ricche combriccole.
- Difficile ma non impossibile. Senza stare col piattino in mano, se si riconosce che il Galileo è un evento di richiamo a livello nazionale, forse vale la pena di tirare fuori il miglior spirito manageriale e trovare una formula che convinca università, imprese, cittadini, attività commerciali a contribuire anche economicamente alla sua crescita senza trasformarla in un premietto locale che andrà a morire nel tempo. Ci vuole insomma la lungimiranza di capire che se un evento come il Galileo non ci sarà più, alla lunga sarà anche la città ospitante a rimetterci.
Omeopatia accademica: le bufale le paghi tu
L’università di Bologna ha capito dove va il futuro dell’agricoltura: nell’ agro-omeopatia. Sì, avete capito bene: omeopatia applicata alle piante. Un amico mi segnala infatti che l’ateneo bolognese vanta un intero laboratorio dedicato all’argomento (il nome del suddetto laboratorio peraltro non lascia dubbi in proposito).
Bologna non è l’unico ateneo a fare gomitino con le pseudoscience. Anche l’università La Sapienza risulta coinvolta, attraverso un suo dipartimento di Chimica, in corsi di formazione su naturopatia e omeopatia. Da mesi attendo invano che il suddetto Ateneo chiarisca i dettagli, anche economici, della vicenda.
Vi ho appena raccontato due casi inquietantissimi di una ricerca pubblica che da una parte inveisce contro le fake news, le fuffe mediatiche e la disinformazione scientifica, e dall’altra le sostiene e finanzia, attingendo peraltro dagli scarsi fondi pubblici. Proprio mentre l’accademia scatena l’ennesima piagnucolante offensiva mediatica per chiedere più denari.
Il fatto che abbia scovato questi due esempi per caso, nel tempo libero e senza neanche cercarli, mi fa pensare che non siano affatto isolati.
Quante sono le università e i centri pubblici che finanziano e sostengono le pseudoscienze?
Com’è possibile che nelle nostre facoltà ci siano professori, presidi e rettori che vanno in buona fede a parlare contro le pseudoscienze ad un convegno e poi ignorano che magari nei loro Atenei albergano interi laboratori dediti allo studio dell’omeopatia?
Sono domande a cui l’accademia dovrebbe rispondere, subito. Perché se chi racconta baggianate pseudoscientifiche lo fa con il timbro di una grande università, oltre che con i nostri soldi, è un problema serio.
Ne va della credibilità degli atenei (anche se questi ultimi non sembrano particolarmente interessati a mantenere una reputazione, con le conseguenze che vediamo quotidianamente).
Ne va della fiducia dei cittadini verso la ricerca: cosa deve pensare il contribuente a cui viene chiesto di finanziare la ricerca pubblica? Con che faccia un rettore può chiedere uno sforzo economico allo stato se non è in grado di garantire che fondi e stipendi verranno spesi in vera scienza e non in matasse di fuffa pseudoscientifica?
Infine, ne va della credibilità di tutti i ricercatori. Tutti. Anche di quelli bravi che sono tanti e che però stanno zitti.
Ma perché, vi chiederete, gli amici che ho dentro le facoltà mi segnalano privatamente certi casi ma non lo fanno mai pubblicamente, neanche nelle loro sedi? Perché l’università italiana piange miseria – di denari e di dignità- ma resta opaca e omertosa come una famiglia mafiosa.
I ricercatori e professori universitari pubblicamente e genericamente si lamentano, ma diventano dei conigli se si tratta di fare nomi e cognomi, o di esporre situazioni imbarazzanti.
Il coraggio dello scienziato, la libertà accademica da sempre vessillo delle università pubbliche nei confronti di chi fa ricerca privata si fermano alla porta del proprio laboratorio: di quello che succede intorno non vedo,non sento e soprattutto non parlo.
L’università non cambierà per merito di riforme politiche o di scandali. Cambierà soltanto se i ricercatori seri ed eccellenti, che ripeto sono tanti, si faranno avanti per rifiutare e denunciare pubblicamente gli abusi della pubblica credulità e dei pubblici denari da parte dei loro colleghi, dei loro direttori, dei loro presidi.
L’università dovrà ritornare Università, con la maiuscola. Oppure morire.
Il DNA Incontra Facebook su Report
Quando hanno proposto di intervistarmi, con il mio solito tatto da portuale labronico ho confessato all’autore Giorgio Mottola miei forti dubbi su quello che avevo visto in precedenza su Report a proposito di salute e tecnologie. Mi ha assicurato che questo servizio sarebbe stato diverso e ho apprezzato il suo lavoro davvero molto accurato per documentarsi, ma restavo un pò dubbioso.
Alla fine devo dire che ho trovato il pezzo informativo e relativamente equilibrato, almeno per gli standard a cui quella e altre trasmissioni ci hanno ormai abituati. Si può non essere d’accordo sul taglio vagamente complottista (vedi “multinazionale cattiva che vuole fare affari col tuo DNA vs Stati Buoni che lo vogliono salvaguardare”): io infatti non sono così d’accordo, anche perchè finora sono stati proprio gli stati a spiare i loro cittadini e inoltre la faccenda del business genomico è più articolata e meno opaca di quanto appaia dal pezzo.
E’ però innegabile che la privacy sia una questione centrale per la genomica di consumo ed è giusto parlare di tecnologie genetiche associandole ai loro aspetti positivi ma anche ai rischi. Molti esempi del servizio sono gli stessi del libro Il DNA Incontra FaceB00k non citato nella puntata ma che è stato inserito come nota di approfondimento nel sito.
Infine, la Good News: dopo la messa in onda, il mio parrucchiere ha chiesto asilo politico all’estero e non farà più danni. Sono curioso di avere il vostro parere (sul servizio, non sulla capigliatura).
Potete vedere la puntata in streaming sul sito RAI (fino a domani, credo)
PS: Il pubblico di Twitter ha notato che per l’occasione indossavo il logo di DYAD, una company fittizia e senza scrupoli che clona esseri umani in una serie distopica. Perchè l’ho fatto, mi ha chiesto qualcuno? Perchè mi divertiva l’idea.
Genetica e divulgazione in tour (Again)
Per il quarto anno consecutivo sono in tour per le scuole d’Italia insieme al collega Andrea Vico per parlare di DNA, biotecnologie, social network genomici, terapia genica, CRISPR e dintorni. Puoi seguirmi su:
www.geniabordo.it
www.facebook.com/geniabordotour
twitter, instagram: @geniabordo
Stanco ma felice.
A presto!
Di tutta l’erba un fascio
L’inchiesta di Firenze potrebbe scoperchiare un pentolone di scandali. Come sopravviverai al popolo indignato che grida “Baroni, Baroni!”?
Differentiate or die di Jack Trout è uno dei pochi libri di marketing che mi hanno ispirato. D’accordo, lo ammetto, è uno dei pochi libri di marketing che ho letto e forse è anche datato.
Comunque sia, Differentiate or Die! è quello che ripeto sempre più disperatamente, da anni, agli amici che lavorano nelle università e che magari si lamentano per gli scarsi finanziamenti o la considerazione sociale sempre meno lusinghiera che l’ambiente accademico riscuote.
Come rispondere al popolo indignato che grida “baroni, baroni!” e far capire che non è tutto così?
Alla luce degli ultimi scandali sulla corruzione nelle università leggo e sento molti bravi scienziati accademici che si pongono sinceramente questa domanda.
La risposta è: differenziandosi. Voglio dire, davvero. Non solo a parole.
Il succo di Differentiate or Die, scrivevo una volta nel mio blog è che se non si vuole morire (commercialmente e comunicativamente ) bisogna fare di tutto per differenziare il proprio marchio e la propria voce da quelle che risultano troppo simili, far risaltare agli occhi del pubblico le proprie caratteristiche distintive e positive e far leva su di esse.
Lamentarsi perchè gli altri fanno di tutta l’erba un fascio non serve.
Specialmente nel mezzo di uno scandalo, i media e l’opinione pubblica fanno sempre di tutta l’erba un fascio. Se in mezzo a quell’erba ci sei anche tu, devi fare capire chiaramente che sei una pianta buona e non gramigna, o verrai trattato come quest’ultima. Differentiate or die.
Differenziarsi non si fa solo quando la merda raggiunge il ventilatore, come succede in questi giorni. Si fa quotidianamente, con le parole e le azioni.
Bada bene, amico accademico: non ti sto facendo un pippone morale, ti sto dando un consiglio tecnico gratuito.
Non basta sapere nel tuo intimo che sei diverso dai cattivi, o che il sistema è marcio e provi a fare del tuo meglio. Bisogna che gli altri lo capiscano. Altrimenti prima o poi sei nei guai.
I cattivi maestri
Quello che proprio non dovresti fare — rimango sempre sul piano tecnico e non morale- è accodarti ai tanti opinion leader accademici che in questi giorni, come sempre, fanno quadrato, minimizzano, usano il solito argomento delle mele marce o peggio ancora si lanciano nell’antico e nobile sport dell’arrampicata sugli specchi.
Il prof. Fabio Sabatini su Strade Online arriva perfino a sostenere che:
Il settore scientifico-disciplinare oggetto delle indagini, “Diritto tributario”, è un piccolo feudo governato da dinamiche che nulla hanno a che fare con la ricerca scientifica e profondamente avulso dal resto dell’università.
(Capito? I feudi accademici sono lì, ben nascosti nelle aule di diritto tributario. Come un tumore in situ. Esci dal firewall e trovi il paradiso. Chiunque abbia notato che anche altrove la trasparenza non sia proprio di casa, per esempio nelle facoltà scientifiche che ho frequentato io e che magari frequentate anche voi, è un ladro bugiardo complottaro e pure spia).
Nulla di nuovo sotto il sole. E’ la classica reazione corporativa, che il pubblico istintivamente riconosce e che potremmo riassumere in: 1) cerco di minimizzare 2) cerco di operare un distinguo 3) aspetto che passi la tempesta e continuo come prima.
Questo schema magari funziona nel breve termine ma produce un danno cronico di immagine che si aggrava nel tempo. Se sei un accademico, devi capire che il tuo status, l’indubbia bravura e onestà tua e/o di molti tuoi colleghi etc.. non ti metterà al riparo dal processo di erosione della fiducia e credibilità che la tua categoria — e quindi tu come individuo, subirete se non fai qualcosa.
Il problema non sono gli scandali, ma quello che succede dopo.
Io penso che l’università italiana sia meglio di quello che tanti immaginano dal di fuori e peggio di quello che raccontano i professori (pubblicamente, perché in privato ne dicono peste e corna).
Ma chiunque sia entrato anche per sbaglio in una facoltà italiana ha ben chiaro che certi metodi baronali non sono il risultato di qualche collega che sbaglia, come sostengono autorevoli commentatori accademici, ma di un sistema anti-meritocratico che da sempre, anche nel mio piccolo blog, mi sforzo di denunciare.
I giudici faranno il loro lavoro, come si dice, ma chiunque conosca l’accademia italiana sa bene che quello che stanno scoprendo a Firenze è assolutamente rappresentativo di ciò che succede quotidianamente in molti atenei: scambi di favori, concorsi e assegnazioni predeterminate, baronie, candidati che vengono dissuasi a presentarsi e invitati ad attendere il loro “turno”, scarsissima trasparenza nella gestione e nei conti.
Sono abbastanza d’accordo con chi dice che è quasi sempre il sistema accademico, con le sue regole assurde, che ti fa comportare da barone anche se non vorresti. Mettiamo che tu, come tanti bravissimi ricercatori che conosco, critichi il sistema ma ci convivi, ti adegui per fare comunque qualcosa di buono. Io ti capisco e non ti giudico.
Questo però non cambierà di molto la percezione pubblica della tua categoria e del tuo lavoro. Se fai parte di un sistema sbagliato, lo capisci e lo accetti, è normale che la gente faccia di tutta l’erba un fascio e ti ci metta dentro. E’ perfino giusto, se ci pensi. Differentiate or die.
L’elefante nella stanza
Quello che dovresti fare, se vuoi davvero differenziarti, è isolare chiaramente chi opera certi comportamenti, e non accettare di stare nel mucchio della gramigna.
Temo che per un accademico italiano oggi questa cosa equivalga ad avere tre opzioni: contribuire a cambiare radicalmente il sistema, andarsene, oppure essere percepito come parte di esso e alla lunga, morire con esso. Non ci sono vie di mezzo. Differentiate or die.
Il prestigio del sistema accademico è in caduta libera, e non certo per colpa della stampa o della gente.
Se il letto del fiume non viene ripulito dalla gramigna, se gli argini delle buone pratiche non sono mantenuti, se non si punta sulla trasparenza, ogni notizia negativa è un pezzo di credibilità che se ne va per sempre, finché non rimane niente.
Bisogna ammettere chiaramente, dichiarare, urlare che l’accademia italiana ha un problema enorme di trasparenza. E di controllo di gestione.
Forse addirittura superiore a quello, già grave, di altri settori pubblici.
Ignorare questo elefante nella stanza è un errore fatale. Soprattutto se a farlo sono i ricercatori onesti e produttivi. Che per fortuna sono tanti.
PS: sto aspettando invano da quasi due mesi che l’Università della Sapienza, il più grande ateneo italiano ed europeo, mi fornisca chiarimenti riguardo a fondi (pubblici) di un suo dipartimento di chimica che sarebbero stati usati per finanziare un corso di naturopatia e omeopatia. Alla faccia della trasparenza e dei finanziamenti che scarseggiano. Ed è solo un piccolo esempio.