Una mente prodigiosa
Preparare un esame, crearsi un metodo di studio, sviluppare la memoria senza imparare a pappagallo.
E perchè dovremmo ricordare se esiste Wikipedia?I consigli pratici e gli aneddoti divertenti di un vero campione della mente: Vanni De Luca, mentalista, mnemonista e performer internazionale con una passione sfrenata per la (vera) scienza.
Se stai ancora studiando (e non si finisce mai di studiare!) questo è il video per te.
Se conosci qualcuno che prepare l’esame di maturità questo è il video che gli devi passare.
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Perché l’alcol disinfetta?
Ti sei mai chiesto perché l’alcol disinfetta? E perché nei gel igienizzanti funziona meglio insieme all’acqua?
E ancora: posso disinfettarmi dall’interno bevendo alcol?
Tutte le risposte al mio ultimo video Youtube. Con alcuni semplici esperimenti.
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https://youtu.be/0s1pDh7pF2M
Il Bacio
Questa non è la prima epidemia devastante che ho vissuto. Da ragazzo ho subito il terrore di fronte ad una nuova e misteriosa malattia chiamata AIDS.
Chi non c’era alla fine degli anni ’80 faticherà a capire la i dubbi e le paure di un’intera generazione di giovani alle prese con quello che allora era un virus emergente: l’HIV.
Proprio mentre l’acqua degli ormoni bolliva e bisogna cominciare a buttare la pasta, proprio mentre ci auguravamo di poter imitare, almeno per un po’, l’amore libero della generazione precedente, ci veniva detto di stare attenti, molto attenti, ma senza che davvero nessuno capisse il perché, A cosa, a chi? Cosa si poteva fare, cosa no?
Come per tutti i nuovi patogeni, le notizie contrastanti e le speculazioni si accavallavano alimentando la confusione. Sulle prime si parlava di un virus che colpiva solo i gay: il primo nome dell’AIDS fu GRID (Gay-related-immune deficiency). Poi venne il momento devastante del contagio tra i tossicodipendenti. Ricordo persone che potevo ritenere autorevoli ripetere a tutti che se non eravamo gay o tossici potevamo fregarcene.
Poi, lo sappiamo, arrivò la realtà a picchiare duro, e mostrare che nessuno era immune dal rischio di una morte orribile, allora senza cure efficaci.
L’AIDS non ci ha mai tenuti chiusi in casa e lontano da tutti ma era ed è un vero bastardo. Per noi non era l’AIDS lontano e relativamente curabile di oggi. Era presente, tangibile, sconosciuto e letale. Un tarlo nei nostri cervelli incasinati che ci avvelenava la vita, proprio quando ce la dovevamo godere, e qualche volta portava via quella di amici o conoscenti.
L’informazione governativa, pessima allora come oggi, mostrava pubblicità di persone con aloni viola di contagio. Spot che hanno fatto la storia, in negativo, della comunicazione. Che ci lasciavano dubbiosi sui comportamenti da adottare e sul grado di distanziamento dagli altri.
Ci si poteva infettare toccando un malato? Boh. Era pericoloso baciare o toccare una ragazza? E se aveva il virus? Si poteva fare petting? Boh.
Ricordo ancora dibattiti televisivi con le opinioni più incredibili, dal negazionismo spinto alle punizioni divine per i peccatori.
Due cose cambiarono il corso degli eventi in quel periodo.
La prima- per me- fu la lezione, una mattina al liceo, di due medici che vennero apposta dall’ospedale per fare il giro delle scuole. Li subissammo di domande senza remore, e loro risposero onestamente, senza paternalismi, in base a quello che in quel momento potevano sapere. Noi eravamo il target, noi eravamo quelli più a rischio e più spaventati, e noi avevamo il diritto di parlare con i medici, e sapere cosa loro sapevano.
Era l’ iniziativa di un giovane infettivologo che negli anni darà un contributo significativo all’ospedale e alla città. Molti dubbi, magari i più stupidi, svanirono.
Iniziarono i ’90 con le notti magiche e i goal di Schillaci e tanti nuovi dati sull’HIV, ma le fake news sull’AIDS ancora imperversavano.
Fu allora che arrivò la svolta per un’ intera generazione dubbiosa e spaventata.
Lui si chiamava Ferdinando Aiuti, era un immunologo. Stufo di leggere notizie fasulle secondo cui il virus si trasmetteva con un semplice contatto ravvicinato, fece una cosa banale ma esplosiva.
Baciò pubblicamente in bocca una ragazza positiva all’HIV, Rosaria Iardino. La foto del bacio fece il giro del mondo.
Oggi è difficile capire l’impatto enorme che ebbe quel gesto nella percezione pubblica della malattia, intrisa di pregiudizi e aloni viola intorno alla testa degli untori.
Quel gesto era l’antitesi del paternalismo che vediamo oggi: un accademico che, forte dei dati scientifici, ci giocava non solo la faccia, ma l’intera sua esistenza.
Credo che la gente percepì a pelle la forza e l’onestà del messaggio. Da una parte opinionisti da salotto. Dall’altra uno scienziato che metteva il verdetto nella mani della realtà.
Per un pubblico confuso, fu come se qualcuno avesse tolto di mezzo un peso, una spada di Damocle appesa. Il dibattito sull’AIDS non fu più lo stesso.
In queste settimane ho pensato spesso a quel gesto, così attuale.
Nella comunicazione pubblica sul COVID ho visto l’equivalente imbruttito dei vecchi spot dell’AIDS che erano già brutti trent’anni fa.
E come allora, vedo e leggo i negazionisti, le prime donne, quelli che per cui l’epidemia è un complotto o una punizione divina.
Ma stranamente, tra coloro che sostengono che iL virus sia inesistente, inoffensivo, frutto di complotti internazionali, non ho visto ancora nessuno ispirarsi ad Aiuti, limonare con pazienti COVID e vedere cosa succede.
Non ho visto nessun opinionista andare a casa di malati senza mascherina e respirare un po’ di tosse a pieni polmoni, giusto per mettere alla prova le proprie sicurezze scientifiche.
La nuova società dei droplets informativi in libertà non contempla il rischio personale, la prova fisica delle proprie convinzioni.
I programmi con opinionisti non contemplano neanche una domanda sfidante, figuriamoci una tavola apparecchiata con stoviglie usate da pazienti covid da leccare- che è quello che proporrei io a certi ospiti se avessi un programma.
E’ una democrazia senza responsabilità, dove tutti possono parlare ma nessuno è chiamato a dimostrare con i fatti.
Si chiama idiocrazia ed è quello che ci meritiamo.
Uscire dal lockdown con i test rapidi- Nuovo video!
Si può uscire dal lockdown con i test rapidi e il patentino di immunità? Se ne parla molto, ma come funziona? Dall’ Isola degli Immuni vi racconto come funzionano davvero i test sierologici.
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I tamponi spiegati facile
Non hai capito niente sui test #coronavirus? In questo nuovo video scopri come funzionano i tamponi per COVID-19, quando servono e la tecnologia che ci sta dietro.
In preparazione anche un video sui test Sierologici.
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IL PATENTINO DI IMMUNITA’: MIRAGGIO DI UN PAESE DI BUROCRATI
Il “patentino degli immuni” è diventato il nuovo kit miracoloso per uscire dal tunnel. Ora, non voglio fare il guastafeste perché a questa cosa ci stanno credendo in molti, anche gente quotata. Ma come ormai avete capito non sono in lizza per il premio simpatia e preferisco dirvi le cose come stanno, perché poi ci rimanete male.
L’idea è di andare a vedere chi ha sviluppato gli anticorpi contro il coronavirus (il cosiddetto test serologico) e fare in modo che almeno queste persone abbiamo un patentino di immunità e possano tornare a zonzo e al lavoro, per “ripartire”.
Ripartire con cosa? Te lo sei chiesto?
Siamo in totale lockdown, quindi è presumibile che la maggioranza di noi non avrà incontrato il virus e quindi non sarà immune. Il “patentino” servirebbe a fare uscire una minoranza di persone. E comunque molto cautamente, perché al momento non c’è neanche certezza che chi ha gli anticorpi non possa comunque reinfettarsi.
A parte forse alcuni focolai dove il virus ha colpito duramente e dove molti potrebbero essere già immuni, ti è chiaro vero che per la maggior parte del paese si tratterebbe di una situazione statica?
Pochi immuni col patentino liberi di girare e la stragrande maggioranza di noi chiusi per mesi in casa. Con l’unica prospettiva di essere “patentati” solo dopo essersi fatti il Covid19.
Peraltro, ammesso che i test serologici siano sufficientemente affidabili -al momento non lo sono, e non lo diventeranno probabilmente da qui a qualche settimana.
A parte liberare dai ceppi qualche “fortunato” patentato, con il rischio, anzi la certezza, di migliaia di false patenti in italia, mi spieghi come fai ripartire con un’azienda, un negozio, un’attività produttiva se hai una minoranza di personale disponibile, scelta a casaccio da un virus?
Metti il carpentiere immune a fare il programmatore, o viceversa? Insegni all’ingegnere come fare la contabilità, e al ragioniere gli fai progettare la scocca dell’auto? Riapri l’attività con un decimo della forza lavoro?
E i milioni di italiani chiusi in casa cosa fanno, intanto? Organizzano pigiama party per infettarsi a vicenda e prendersi la patente?
Possiamo ragionare razionalmente, col cervello, sulle cose che ci vengono dette?
Sia chiaro: i test immunologici sono utilissimi se usati bene, e va anche bene individuare gli immuni, non fosse altro che per capire l’estensione del contagio e avere quei numeri vitali che oggi non abbiamo. Quindi non è affatto un problema dei test: facciamoli eccome.
Ma ti rendi conto, vero, che la patente immunologica NON è una soluzione pratica per uscire dal buco?
Lo capisci che senza iniziative più attive la patente da sola non fa ripartire l’economia, la produzione, e obbliga comunque milioni di persone a stare chiuse in casa per svariati mesi?
Meglio di niente, dirai. E invece no. Perché va bene il patentino, ma se si se parla solo di quello, sarà soltanto l’ennesima auto-distrazione che ci stiamo infliggendo per non voler attuare le vere soluzioni, quelle più difficili che però funzionano.
Quelle che dovremmo preparare ADESSO per uscire, forse, TRA UN MESE.
Come la SORVEGLIANZA ATTIVA, che consiste nello stanare il virus rintracciando i contatti, testandoli e isolando efficacemente i positivi. L’unica soluzione che finora nel mondo ha dato frutti, la cosa di cui tutti parlano ma che nessuno fa.
Perché è fattibile, ma non facile quanto un patentino. Perché richiede un approccio logistico e flessibile, dove il burocrate inutile deve fare un passo indietro e lasciare spazio a chi sa fare. Perché richiede intelligenza, competenze e organizzazione. Non un bollo su un certificato.
Ecco perché in questi giorni sentirete parlare solo di patentini.
Perché il patentino è il nuovo fantasma erotico di un paese burocratizzato, dove il “foglio di carta”, il cartoncino col timbro dell’amministrazione sono sempre l’unica soluzione facile e a portata di mano.
Tutto pur di non faticare e affrontare la complessità di un problema che non ammette risposte semplici e marche da bollo.
Mascherine per tutti: Q&A
Dopo aver pubblicato un video Youtube e un aggiornamento su Instagram, mi rendo conto che ancora la confusione regna sull’argomento. In questi giorni, nella mia bolla la questione “mascherine sì o mascherine no” sta diventando quasi un’ossessione, con pubblicazioni pro e contro sparate a raffica e il rischio di annegare nella bibliografia e non capirci nulla lo stesso.
Qui è dove cerco di mettere insieme le cose in modo comprensibile a tutti.
Per altri dettagli guardatevi i due video.
Ma insomma queste benedette mascherine le dobbiamo portare o no ?
Dipende dal tipo di mascherina e dall’ambiente in cui ci troviamo. Qui parliamo di vita di comunità (cioè la vita sociale di tutti i giorni, che ora è quasi ferma ma che un giorno dovrà riprendere) e NON del mondo sanitario o professionale.
Nella vita di comunità, le mascherine FFP NON servono, nessuno le sa usare correttamente e possono essere controproducenti. Il motivo lo spiego nel video Youtube. Guardatevelo. Le mascherine FFP servono a proteggere chi respira, non chi sta davanti. Sono concepite per essere usate dal personale sanitario in ambienti ad alta concentrazione di particelle virali. Non per andare a fare la spesa. Su questo sono d’accordo tutti, i belli come i brutti. A parte forse qualche commentatore che però non ha alcuna competenza scientifica e sicuramente non ha mai indossato una FFP in vita sua.
Quindi per noi tutti il termine “mascherina” casomai significa: MASCHERINA CHIRURGICA. Che può essere utile. Per evitare confusione le chiamerò con l’abbreviazione MC.
A cosa servono le MC?
Lo scopo di queste mascherine NON è proteggere chi respira, bensì bloccare le goccioline di saliva e quindi evitare di sputazzare sugli altri, ad esempio mentre si parla. La scelta di molti paesi, come la Cina, è far si che tutti indossino una MC quando sono in luoghi frequentati al fine di ottenere una protezione collettiva. Io non sputazzo te, tu non sputazzi me. In teoria è un’ottima idea.
E in pratica? Perché qualche organismo scientifico le consiglia, altri no?
Non c’è dubbio che le MC indossate
da tutti riducano fortemente la possibilità di sputazzarci a vicenda, e il buon
senso suggerisce che siano utili in un’ottica di protezione reciproca. Non sono
difficili da usare, costano poco, si possono indossare comodamente per ore
senza problemi e se usate correttamente (vedi più sotto) hanno poche
controindicazioni.
Dal punto di vista della salute pubblica, la questione è se davvero facciano la
differenza. Qui le opinioni degli esperti non sono sempre concordi,
e c’è un bel po’ di confusione. Non esistono studi scientifici che dimostrino
in modo inequivocabile che la strategia “MC per tutti” faccia davvero la
differenza rispetto alle misure che COMUNQUE vanno prese: distanziamento
sociale, tracciatura e isolamento efficace dei positivi, e molte altre. Qui una
rassegna delle
politiche sulle mascherine nei vari paesi
In
Cina/Corea però le usano e funzionano!
È vero che le usano, ed è probabile che abbiano un impatto positivo. Tuttavia,
questi paesi contemporaneamente adottano altre misure sicuramente efficaci come
quelle citate sopra, quindi non è facile capire quale sia il fattore più
importante del successo. Di sicuro, nessuno pensa di risolvere il problema
soltanto con le MC. Diciamo che secondo alcuni esperti le MC sono da usare
senza dubbio. Altri non negano l’utilità ma pensano che il “tutti con la MC”
potrebbe essere l’equivalente di andare in giro tutti con l’ombrello aperto
anche se non piove. In teoria stiamo più tranquilli, in pratica ci incasiniamo
la vita. Voi volete la scienza e io ve la do, ragazzi. Questi ragionamenti,
quando parliamo del comportamento di milioni di persone, vanno sempre fatti a
mente fredda.
OK, ma qual
è la tua opinione?
La mia personalissima e ininfluente opinione, basata sulla sintesi di quello
che ho letto e del buon senso, è che sarebbe opportuno promuovere l’uso
CONSAPEVOLE delle MC nei luoghi pubblici , almeno nelle fasi successive al
lockdown, quando torneremo gradualmente alla vita di comunità. In un’ottica di
protezione collettiva e solidale e senza scadere nella paranoia. Soprattutto
per evitare di sputazzarci a vicenda in ambienti ristretti, come i trasporti
pubblici e per tutelare le categorie più esposte: persone fragili ma anche
commessi, impiegati e tutti coloro che per lavoro devono avere rapporti con il
pubblico e a cui rischiamo di sputazzare in faccia in continuazione. La maggior
parte di noi starà bene e non sarà contagiosa, ma sappiamo che alcuni
inevitabilmente saranno contagiosi prima di mostrare sintomi evidenti, o in
assenza di sintomi, e se ne andranno in giro in buona fede. Quindi una
protezione collettiva non sembra una cattiva idea.
Che intendi per “uso consapevole”?
Uso consapevole significa che la MC è solo UNO dei tanti sistemi di protezione,
e non sostituisce i comportamenti e le precauzioni che COMUNQUE dovremo tenere
per un bel po’. E tanto meno può sostituire l’attività di contrasto attivo con
tracciatura dei casi e test mirati anche agli asintomatici, strategia che al
momento latita in molte regioni a livello nazionale.
Uso consapevole significa anche che le MC, milioni di esse, dovranno essere
usate e gettate correttamente e non lasciate in giro come cicche di sigaretta a
infettare gli altri. Sembra ovvio, ma in Italia non lo è. Quindi, per me è un
sì, ma se pensi che solo indossando una mascherina potrai continuare a fare
tutte le cazzate che facevi prima, ti sbagli di grosso.
Quindi sei d’accordo con MC per tutti quando finirà il lockdown?
Secondo molti esperti funziona, e
personalmente sono d’accordo se usate consapevolmente. A quel punto la
questione diventa logistica: produrne e distribuirne abbastanza per tutti. Le
MC sono monouso, quindi dovremmo averne almeno una al giorno per ciascuno. Per
60M di italiani, si tratta di 1,8 miliardi di mascherine al mese. È fattibile
per un paese comprarne o produrne in tale quantità? Penso proprio di sì, con una
buona organizzazione. Viene fatto? Per quando ne so io, non abbastanza. Ormai
avete capito che la macchina dell’emergenza italiana non è un fulmine di
guerra, per usare un eufemismo. Potete scommettere che tra un mese continueremo
a parlare di quanto siano introvabili le mascherine.
Ma si danno da fare a cercarle o a produrne a tonnellate? E se
non lo fanno, perché?
Questa è un’ottima domanda e la devi fare alle autorità, Protezione Civile in
primis. Anche perché oltre alle mascherine ci sarebbe da procurare un sacco di
altra roba in vista di un futuro allentamento del lockdown: test a manetta,
termometri contactless, termoscanner. Solo per citarne alcuni.
Vabbè, ma è
meglio una mascherina vecchia, usata, portata male piuttosto che niente!
Questo lo pensano in molti e purtroppo è molto errato. Una mascherina usata
oltre il limite si imbeve di saliva e muco e diventa una bomba biologica pronta
a esplodere. Invece di proteggere gli altri, rappresenta un potenziale
pericolo: spruzzi saliva ovunque anche solo quando parli.
Tra una mascherina piena di fluidi e niente, spesso è meglio niente. La
mascherina vecchia peraltro diventa facilmente terreno di coltura per batteri e
funghi che possono essere pericolosi quanto il virus, e danneggiare chi le
indossa.
Perché allora le MC non le usiamo già tutti adesso, quando
andiamo in giro? Perché nel tuo video suggerisci che non sia una buona idea
durante il lockdown?
Di nuovo, teoria vs. pratica. In teoria, mascherine per tutti e festa finita. In pratica chiediti: quante mascherine ho? Di che tipo? Da quanto uso la stessa mascherina? La so usare? In giro vedo quasi tutti indossare mascherine errate in modo errato (FFP, spesso con valvola), mascherine vecchie, lise, e probabilmente piene di sputo. Vedo gente indossare FFP o MC da soli in auto, o mentre corrono, che non ha senso. Dopo aver pubblicato il video Youtube ho ricevuto molto commenti di gente che usa per professione mascherine di protezione e che mi confermano quanto dico. Piuttosto che le mascherine usate così, meglio niente. E poi finché siamo in lockdown la cosa migliore è uscire il meno possibile, e rispettare le distanze. Se non hai nessuno intorno, la mascherina è superflua. Ma sarà probabilmente utile quando torneremo ad una vita di comunità meno ristretta. Però non ti sto dicendo di NON usare le MC: se ne hai nuove a bizzeffe, o te la regalano all’entrata del supermercato, usala anche ora, ci mancherebbe. Non è una questione di principio. Ma lascia perdere quel panno purulento che ti tieni in faccia da venti giorni, è meglio niente.
Quali sono i rischi di una MC nuova, indossata correttamente?
Dipendono da noi. Tutte le mascherine (le FFP di più ma anche le MC) portano a toccarci più spesso il viso, cosa da evitare. Con le MC basta un po’ di allenamento. L’altro rischio è un falso senso di sicurezza che ti fa avvicinare troppo alla gente, il che va evitato. Anche lì, dipende da te.
Sarebbe giusto rendere le MC obbligatorie nei luoghi pubblici, se è vero che servono?
Eventualmente si, ma solo se le autorità saranno in grado di renderle disponibili a tutti in abbondanza. Altrimenti costringeremo le persone ad andare in giro con MC vecchie e inadeguate, facendo più male che bene.
Perché
vorresti vietare la mascherine FFP con la valvola che si vedono in giro?
Si vede in giro molta gente con mascherine FFP dotate di valvola di esalazione:
queste mascherine “sputano” fuori dalla maschera aria ma anche saliva e sono un
potenziale pericolo per gli altri. Per quanto mi riguarda, andrebbero
semplicemente vietate nella vita di comunità. Gli operatori sanitari utilizzano
la valvola perché rende più sopportabile indossare la mascherina per lunghe ore
(questo già dovrebbe farti capire che le FFP non sono fatte per andare al
supermercato) e adottano precauzioni per non contagiare i pazienti, ad esempio
indossando una mascherina chirurgica sotto la FFP.
Vedere le forze dell’ordine o commessi degli alimentari indossare le FFP con la
valvola di uscita, con il rischio potenziale di contagiare centinaia di
persone, è semplicemente inquietante. Non ce l’ho ovviamente con loro, ma con
chi dovrebbe sapere queste cose e fornire i dispositivi corretti.
Io la
mascherina la lavo, la stiro, la metto sotto gli UV, me la faccio da solo con
la maglietta o il tappetino del cane! Funziona?
Non lo so ragazzi. Nessuno lo sa. E’ vero che a fermare la saliva non ci vuole
una tecnologia marziana, ma i dispositivi sono a norma proprio perché sono
testati per funzionare a dovere. Le soluzioni fatte in casa non garantiscono
nessuno a meno che non siano testate e validate. Quanto durano senza diventare
a loro volta un veicolo di contagio? Quanto tempo passa prima che lascino
passare la saliva all’esterno? Se devo sedermi in metropolitana accanto a
qualcuno che va in giro con un panno in faccia pieno di sputo, preferisco
niente.
Ma io voglio vedere comunque tutti con la mascherina, mi sento più sicuro!
D’accordo, ma di nuovo: vorresti
sederti in metropolitana accanto a qualcuno che va in giro con la mascherina
lavata col metodo della nonna Carolina? O con una valvola che ti sputazza
addosso e sui vestiti? Un conto è il senso di sicurezza, in conto è la
sicurezza vera.
Ma non ci sono mascherine riutilizzabili/lavabili?
Se ne sente parlare e magari questa potrebbe essere una buona soluzione, se
testata e funziona. Anche lì però andrebbero date istruzioni di manutenzione
semplici e per tutti. Se usate o lavate in modo scorretto, non garantirebbero
comunque la sicurezza. Vedi punto sopra.
Ma io voglio proteggere me stesso, e tu non puoi impedirmelo! La gente non ha rispetto e mi starnutirà addosso! Quindi qualunque mascherina va bene! Chissenefrega se ha la valvola o se sputazzo agli altri!
Ecco, questo è il ragionamento che
ci farà perdere la partita. L’unica protezione possibile nella vita di comunità
è quella collettiva basata sull’attenzione reciproca. Pensare di proteggere sé
stessi in un guscio, oltre che egoista, è insensato. L’unica protezione
fattibile per la comunità si ottiene eventualmente con le MC e consiste nel non
sputazzarci a vicenda ed è una tutela collettiva.
Mettiamoci in testa una cosa: quest’epidemia selezionerà le società più
organizzate, ordinate, solidali. Le altre se la vedranno molto, molto male.
Quando usciremo di casa, dovremmo rivedere molti nostri comportamenti e le
nostre priorità se vogliamo avere una chance di battere il Piccolo Bastardo. Ci
vorranno comportamenti ordinati e consapevoli. Non potremo più permetterci di
pensare solo a noi stessi.
Coronavirus: a che serve stare in casa?
Perché serve adottare misure di contenimento severe durante un’epidemia? Te lo spiego con un paio di occhiali da sole e un telo da mare in questo secondo video Youtube dedicato alla divulgazione sul coronavirus.
Questo video è realizzato in collaborazione con il progetto GENERATION: La Biologia Divertente. Segui la pagina Facebook di Generation e metti il like per non perdere notizie, video e spunti interessanti: https://www.facebook.com/generationbiotec
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