Polvere alla polvere
Reality check: le news servono a informare. Non a intrattenere o a mostrare quanto sei bravo a scrivere.
Se c’è una cosa che mi ha sempre esilarato della stampa italiana è l’ambizione narrativa improvvida di tanti giornalisti di cronaca. Questa tendenza un po’ provinciale è particolarmente fervida nelle testate locali, cosa che me le rende amatissime.
Al Bar Trombetta, ad esempio, sfoglio avidamente le testate locali appoggiate sul bancone frigo dei gelati Stocchi cercando quei cronisti che per raccontare l’incidente tra motorino e bici all’angolo tra il negozio NonsoloSchiacciate e la vetrina di AltamodaGiusy si reincarnano in Hemingway e sparano tre cartelle descrivendo l’orrore dei pezzi di plastica rossi del fanale sparsi sul marciapede dove poco prima giocavano ignari e innocenti bambini. Senza magari dare le informazioni essenziali: chi, dove, quando.
Qualche volta, di nascosto, quei pezzi li ritaglio e me li metto in tasca per rigustarmeli con calma.
Con il rapido deterioramento dei media, che pare ormai paghino i collaboratori in sacchetti di lupini, i pezzi di cronaca che sembrano scritti da Truman Capote, ma nella versione da morto e sotto acido, si moltiplicano anche nelle testate nazionali.
Cercando ad esempio informazioni su una tragedia aerea in una testata nazionale, mi è toccato oggi leggere il classico pezzo di “colore” che si apre ad effetto con “cani al guinzaglio che sono nervosi, e i padroni che li portano a pascolare sull’erba li strattonano via…”, e continua con ripetuti richiami alla polvere, quella dei palazzi distrutti, dei corpi polverizzati (ma si può…) tutto per chiudere con l’immagine delle ricche vittime e dei loro soldi ormai ridotti in polvere. Sic transit gloria mundi. In questo favoloso arco narrativo, anche ammesso che ti piaccia, le informazioni fattuali che servono a capirci qualcosa le devi cercare altrove. Magari in un’altra testata.
In questi pezzi recepisco soprattutto la frustrazione di gente che magari è uscita da lettere moderne o comunicazione con il 110 e lode, ha nel cassetto dieci potenziali bestseller e per campare o fare pratica si ritrova a raccontare della sagra della Nana Arrosto, si sente sminuita e cerca di sfogare il proprio talento creativo. E la cialtroneria dei caporedattori che ti chiamano e ti dicono di andare lì a fare il pezzo “di colore”, che tanto a mandarti lì gli costa quanto un caffè al Ginseng.
Ma vorrei sottolineare invece che la cronaca è un ambito nobilissimo che merita di essere trattato come merita.
Ad esempio ho imparato sul campo che la regola delle news è sempre quella, saggissima, di attenersi alle famose “W” della scuola anglosassone. A meno forse di non essere un talento unico, ma ne nascono davvero pochi.
Io che pure non ho mai avuto mai molta tendenza a colorare, e scrivo di scienza e non cronaca, quando cominciai a lavorare con le testate anglosassoni mi vidi tornare più volte i miei pezzi corretti, con interi paragrafi cancellati perché facevano soltanto colore e non portavano alcuna informazione utile a capire la notizia o il contesto. Insomma, batti batti alla fine ho capito che nelle news l’arco narrativo- che invece è fondamentale ad esempio nel longform- conta quanto un due di picche.
E’ vero, le news così vengono tutte uguali, ma è proprio lì il punto: la news serve a informare, non ad affascinare o intrattenere, e lo deve fare nel minore numero possibile di parole. Se poi hai un’apertura interessante meglio, ma non è fondamentale.
Un concetto radicalmente opposto a quello che si inculca in Italia, dove dalle elementari all’Università, dai corsi di scrittura creativa a (perfino) alcuni master di giornalismo, si spinge in modo ossessivo sullo stile e l’abbellimento, sull'”intortamento” e sul “colore” tralasciando la parte essenziale.
Ho fatto parte di legioni di would-be giornalisti abbeveratisi ai concetti italianissimi di “rimpolpamento” “apertura ad effetto” “chiosa” che purtroppo non servono a confezionare news – o perlomeno vanno usati con estrema parsimonia. Ne sono uscito migliore. Fallo anche tu.
Tutto sulle varianti
Da dove arrivano le #varianti COVID-19, cosa sono, perché ci preoccupano? I vaccini sono efficaci contro le varianti? lo spiego in modo semplice nel mio ultimo video, in collaborazione con DIPLE, il microscopio portatile per smartphone!
Ho usato il metodo scientifico. E mi sono abbronzato.
Prima di partire per la mia giornata al mare (2h andata e 2h al ritorno) come sempre ho guardato le previsioni. Pessime per la Toscana. Allarme giallo e temporali nelle zone interne, fino a pochi km dalla costa. Ma sul litorale di Baratti la previsione era sole pieno (lo vedete quello spazio bianco davanti all’Elba?).
E allora sono partito, fidandomi delle previsioni. Ho passato una giornata senza una nuvola, mentre pochi chilometri all’interno pioveva a scatafascio.
Culo? No. Scienza e tecnologia applicate bene.
Una semplice previsione meteo oggi è frutto di migliaia, forse milioni di datapoint di boe, anemometri, stazioni meteo sul territorio, satelliti che confluiscono in un modello matematico, insieme alle serie storiche e a chissà quanto altro. Una previsione che magari, dopo, verrà confrontata con il meteo reale per istruire e migliorare il modello. Il tutto supportato dalla conoscenza e dalla ricerca nel campo dei fenomeni meterologici, che a sua volta mette insieme fisica, scienze della terra, oceanografia e molte altre discipline.
OK, lo ammetto, c’era anche un po’ di culo. Perché i modelli sono probabilistici e non ci azzeccano sempre. Come tutte le attività scientifiche, e come tutte le attività umane. Altre volte mi sono ritrovato sotto la pioggia, alla faccia dei modelli.
Ma questi sistemi, se usati bene, sono la cosa che funziona meglio. Quella che a scommetterci i soldi ti darebbero la maggiore probabilità di vincere.
Meglio che ascoltare i reumatismi, meglio che telefonare al chiosco sulla spiaggia e chiedere al vecchio lupo di mare (i veri lupi di mare oggi guardano il meteo, e anche con attenzione, gli altri sparano a caso). Meglio insomma di tante altre cose.
Non esiste la perfezione, esistono gradi più o meno buoni di approssimazione.
Vi dico tutto questo perché a fine giornata mi sono fermato un attimo e ho pensato a quello che facevano i nostri nonni, o anche solo a quello che facevamo qualche lustro fa, con metodi e tecnologie meno evolute di oggi.
Ho pensato a quanto sia fico avere un metodo che ti permette di prevedere con buona approssimazione che non pioverà il giorno dopo, in un posto dove ancora non sei neanche arrivato e che neanche vedi con il binocolo, mentre a pochi chilometri viene giù il finimondo.
Lo diamo per scontato, ma non lo è.
Cosa c’è dentro ai vaccini?
Come funzionano i vaccini? Quali tipi di vaccini esistono? Da Jenner ad oggi, passando da Pasteur, il mio nuovo video passa in rassegna le tecnologie vaccinali e la loro storia. Come sempre in modo accessibile e divertente.
Il video è realizzato grazie al sostegno non condizionato di DIPLE, il microscopio portatile e potente per tutti, che per gli amici di Rockscience ha attivato anche un codice sconto per l’eventuale acquisto del microscopio. Lo trovi nella descrizione del video.
Se ti piace il video e lo trovi utile, metti un like e fallo conoscere! E by teh way…
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Rockon!
Sergio
La fabbrica della sfiducia
Le fiale di Astra Zeneca durano 6 mesi in un normale frigorifero. Ecco perché la sospensione del vaccino non sarebbe (per ora) un dramma. Se non fosse per una gestione totalmente improvvisata
Avrei moltissima reticenza ad accodarmi all’esercito di debunkers e number nibblers che come al solito sono partiti compatti per liquidare tout-court la faccenda della sospensione cautelativa del vaccino Astra Zeneca come una follia priva di fondamento reale, dandosi pacche reciproche di incoraggiamento, e mettendosi dietro alla corazzata delle statistiche da divano.
Questo perché ritengo la farmacovigilanza un sistema serio e complesso e so che la realtà – sempre più articolata rispetto al mondo dei caffè-concerto dei social – potrebbe sempre impattare come il duro palo di un lampione sul cranio di chi corre a testa bassa copiando gli argomenti dei propri influencer di riferimento.
E’ possibile che le agenzie regolatorie di svariati paesi, compreso il nostro, abbiano preso un enorme abbaglio eccedendo di prudenza e ascoltando solo la pancia del popolo, buttando di colpo alle ortiche un sistema consolidato di vigilanza ? Può essere, anche se io ne dubito, e comunque il responso lo avremo solo vivendo.
E’ però interessante il cortocircuito cognitivo che porta un’intera generazione di debunkers – quelli che basano le loro conoscenze sulla lettura pedissequa e spesso di seconda mano di papers e comunicati ufficiali delle istituzioni- a dubitare ora, e in coro, della fondatezza di una decisione presa proprio dalle agenzia regolatorie del farmaco- quelle “fonti autorevoli e scieeentifiche” che per anni hanno invitato il loro pubblico ad ascoltare invece delle solite “feicniuws”.
Lo dico anche perché la mia bacheca Facebook di oggi è inondata di post di debunkers che fino a ieri, quando si trattava di argomentare contro non ben identificati no-vax, brandivano la solidità della farmacovigilanza e oggi la danno praticamente per defunta, sicuri che nei corridoi delle agenzie regolatorie si ascoltino solo i titoli dei TG e le tendenze Twitter. Può essere, per carità. Però ragazzi decidetevi una buona volta su quali sono le fonti autorevoli, suvvia.
Quando il cheerleading fa il giro a 360 gradi. Fine dell’inciso sui debunkers.
Con un approccio più realistico, diciamo che prendere sul serio e investigare qualunque evento avverso fa parte per definizione del sistema di farmacovigilanza, proprio come si ispezionano con la stessa maniacale attenzione il motore di un velivolo ma anche il cavo di un monitor sul sedile di un passeggero dopo che hanno fatto le bizze.
(se non conosci il significato tecnico di “evento avverso” fermati e informati altrimenti non capirai più niente. Io l’ho spiegato ai miei abbonati su Patreon e non lo ripeto qui).
I rari e gravi eventi segnalati con un legame temporale con la vaccinazione sono cio’ che si chiama safety signals: cose che non necessariamente sono dovute all’intervento medico (vaccinazione) ma che vanno comunque investigate.
Sono lucette che si accendono in un quadrante, e qualcuno deve occuparsene. Fin qui non è difficile ed è appurato che, a grosse linee, il tipo di patologia descritta nei casi infausti di cui si parla in questi giorni non sembra più frequente nella popolazione vaccinata rispetto a quella vaccinata. Lo dice EMA.
Di qui un diluvio di post fotocopia che iniziano con “se prendi tot milioni di persone e guardi quante ne muoiono senza vaccino…” ed esempi più o meno divertenti per dire che correlation is is not causation, che nei numeri c’è già tutto, e archiviare la faccenda sotto la voce “allarme basato sul nulla che anche un bambino capirebbe”.
Che poi è il messaggio lanciato l’altro ieri da AIFA: Tutto fumo! Allarme ingiustificato!! Andiamo avanti! Smentito però clamorosamente dalla stessa agenzia il giorno dopo con la sospensione precauzionale di tutti i lotti del vaccino. Che succede?
Non sono un esperto, né voglio fare finta di esserlo, quindi vi dico semplicemente quello che ho capito guardando tutta la faccenda tra un viaggio e l’altro di lavoro.
Un punto non secondario è che dalle prime evidenze questi eventi trombotici sembrano presentare degli elementi inusuali. Sono accompagnati da carenza di piastrine che sarebbe poco comune per questo tipo di evento. Non mi intendo della questione e ripeto solo a pappagallo quello che dicono EMA e altre fonti tra cui il Paul Ehrlich Institute.
E’ sempre e solo un safety signal, non la dimostrazione di legame causale con il vaccino. Ma capite da soli che la situazione è un po’ diversa da dire che il tutto è una semplice follia generata dai media e dal furor di popolo. E’ vero che c’è evento avverso che in prima battuta e statisticamente avverrebbe lo stesso anche senza vaccino. Ma la modalità di questo evento, nei dettagli, risulta a quanto pare inusuale rispetto alla normale statistica.
In un normale processo di vigilanza, un tratto insolito che si ritrova in certi eventi è un’altra lucetta arancione che si accende e dice: “occhio, controllare meglio!”. Altrimenti siamo tutti d’accordo che è inutile avere un sistema di vigilanza.
Ed è questo dettaglio, almeno io credo, che ha fatto propendere le agenzie di alcuni paesi verso la sospensione, seguite poi da AIFA che, purtroppo, ha dovuto rimangiarsi il cappello come Rockerduck.
Quanto è davvero inusuale quello che si osserva? Quanto tutto ciò è eccesso di prudenza è quanto è paranoia? Non lo so e non sta a me dirlo, ovviamente.
Quello che mi sembra evidente è che nella pratica, almeno al momento, lo stop non sarebbe tutto questo dramma. Il danno eventuale lo fanno il panico e sopratutto il modo inefficace con cui tutto l’ambaradan è organizzato, gestito e comunicato.
Qual’è davvero il danno di uno stop?
Sospendere un vaccino in questo momento non è certo una decisione facile, ma la cosa ironica e inquietante è che non sarebbe un disastro se solo venisse fatto in modo ordinato con cognizione di logistica e comunicazione.
Mi verrebbe persino da dire che in un piano che contempla di vaccinare praticamente di tutta la popolazione del pianeta debba già dare per scontato che prima o poi qualche evento avverso, più o meno grave, possa comportare uno stop momentaneo o nei casi peggiori l’abbandono di un prodotto.
Mentre si dà per scontato che la sospensione di Astra Zeneca sia l’ armageddon della campagna vaccinale, non si tiene conto che quel vaccino chiuso nelle sue fiale, ha una shelf life di 6 mesi in un normale frigorifero.
Siccome la disponibilità di dosi, e non la capacità di somministrazione, sono il fattore limitante, fermare e riprendere dopo qualche giorno implica soltanto (si fa per dire) il problema logistico di slittare di qualche giorno le prenotazioni.
Se la logistica fosse davvero sotto controllo, infatti, sapremmo già che dopo una settimana di stop si potrebbe tranquillamente aumentare il ritmo e recuperare il ritardo in pochi giorni tenendo in frigo le dosi di oggi e aggiungendo quelle che nel frattempo arrivano, senza strapparsi i capelli dalla disperazione e tranquillizzando la popolazione.
Nel caso più raro e infausto in cui dai controlli emergesse un rischio inaccettabile legato al vaccino, non si avrebbe comunque altra scelta che togliere il prodotto dalla circolazione, sapendo di aver fatto la cosa giusta e tempestiva senza però generare un cratere di fiducia pubblica.
Allora qual è esattamente il problema, se non un disastro di informazione e gestione?
Gestire gli allarmi
Posto che un piccolo allarme suona, posto che non è probabilmente un delirio come qualcuno dice ma una normale procedura di sicurezza, come andava gestita la faccenda?
Al contrario di molti maghi del web, so che non esistono ricette magiche ma solo approcci più o meno competenti nella pianificazione e gestione logistica e comunicativa.
Non dico di copiare dai best practice di comunicazione del rischio, ma almeno un role-play di quelli che si fanno nei retreat motivazionali sarebbe già un buon inizio per molti che siedono nella stanza dei bottoni della comunicazione pubblica.
Ad esempio: cosa vorresti sentirti dire prima di imbarcarti su un volo dove c’è un sensore della ruota o del riscaldamento che fa le bizze?
Tra la versione: “Gentili passeggeri, per un controllo tecnico il volo avrà un po’ di ritardo, ci scusiamo ma la sicurezza per noi è fondamentale” – (messaggio implicito: ti facciamo aspettare ma quando sali a bordo sai che è tutto a posto perché abbiamo la situazione sotto controllo) e “Ragazzi, tutti a bordo non è che possiamo fermare tutto ogni volta che i sensori suonano ad minchiam. Fidatevi della scienza e dei nostri piloti che sono degli assi” – (messaggio implicito: non abbiamo la situazione sotto controllo ma non rompere i coglioni, pirla) quale ti fa stare più tranquillo?
C’è poi la terza via, quella del “datismo” che molti amano e farebbe più o meno: “raga non ci capiamo ancora un gran che, ma si tratta comunque di eventi rari, rischiate di più andando in macchina in tangenziale. Tutti sulla scaletta e a bordo, OK?”. E’ l’enunciazione di una verità statistica che con me sfonderebbe una porta aperta, salvo la tentazione umana di fare salire prima qualcun altro sulla scaletta, e poi vedere come va a finire prima di imbarcarmi sul volo successivo. Tanto chi mi corre dietro.
Se già con me funzionerebbe a singhiozzo, confidare nel dato grezzo come arma finale di convincimento di massa è un capolavoro di ingenuità che non tiene conto di tutto quello che sappiamo su come milioni di persone davvero percepiscono il rischio.
Come fabbricare sfiducia
Ecco perché la vera catastrofe di questi giorni non è nella sospensione di quel vaccino, che sarebbe una cosa gestibile e dai danni limitati: è nella incapacità di pianificare, gestire e comunicare segnali di allarme, e perfino sospensioni di prodotti che in una campagna vaccinale globale sono da considerarsi quasi inevitabili prima o poi.
E’ ovvio che se il giorno prima hai gridato a tutti che quella lucetta arancione era una minchiata, come hanno fatto AIFA e continuano a fare un’armata di debunker che pensano di avere “la scienza” come datore di lavoro, poi hai chiuso lì e se ti fermi davvero per una pausa, come è successo il giorno, perdi completamente la faccia e devasti quel minimo di fiducia che ancora ti veniva accordata.
E’ ovvio che se hai un sistema di prenotazione che arriva direttamente dai favolosi anni ’90, dove non puoi inserire variazioni senza mandare tutto in palle e gettare migliaia di vaccinandi nel limbo, anche slittare di un giorno si trasforma in un dramma.
E’ ovvio che se in un anno non hai fatto nulla per creare canali preferenziali di emergenza e di riferimento per la popolazione, anzi hai fatto di tutto per confonderli, qualunque problema diventa insormontabile.
E’ ovvio che se nella pianificazione non inserisci anche la possibile, prevedibile, variabile che ti mette in crisi (e gli eventi avversi sono una variabile che ti devi aspettare prima o poi) hai lavorato male e in modo dilettantesco.
Cosa imperdonabile se dal tuo lavoro dipende il destino di milioni di persone. Ma direi che a quello ci siamo abituati.
** Aggiornamento 17/03/2021 Il Paul Enrich Institute ha pubblicato una nota dove conferma i sintomi inusuali nei pazienti affetti. Sebbene si tratti comunque di eventi rari anche nelle persone vaccinate, si presentano statisticamente in modo più frequente rispetto ai non vaccinati, confermando il flag.
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I gravi problemi del CTS: li racconto su Nature Italy
E’ uscito oggi un mio articolo su Nature Italy dove ho preso in esame alcuni aspetti critici del CTS. Vi posso dire che il confronto del CTS italiano con gli analoghi organismi di altri paesi a me è apparso piuttosto devastante.
versione inglese (originale)
https://www.nature.com/articles/d43978-021-00015-8
versione italiana (tradotta da Nature):
https://www.nature.com/articles/d43978-021-00016-7
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Due conti su test e scuole
Riaprire le scuole in relativa sicurezza costerebbe meno di 20 euro al mese per studente, se si usassero in modo intelligente i tamponi rapidi.
Ho già parlato in altri post del “covid filter” la strategia di sorveglianza continua: utilizzo di tamponi rapidi ripetuti a intervalli regolari per intercettare e isolare tempestivamente i contagiosi. Non una mia invenzione, ma un principio supportato da studi pubblicati nelle principali riviste scientifiche. (vedi qui e qui) Lo strumento che abbiamo a disposizione è il tampone antigenico, che si può fare in autoprelievo nasale.
L’ipotesi logistica a cui penso è: una volta alla settimana alla prima ora si distribuiscono le “saponette” antigeniche e ogni studente e insegnante seduto al suo posto si passa da solo il tampone dentro le narici e effettua il test in autosomministrazione. La procedura è semplice, l’ho provata direttamente e una classe delle elementari è in grado benissimo di farla, sotto la supervisione di un docente. Funziona anche da esercitazione di scienze. Dopo 10 minuti si leggono i risultati. Gli eventuali positivi vengono isolati e sottoposti a tampone molecolari di verifica.
Il test antigenico è meno sensibile del molecolare- diciamo che è in grado di identificare 7 portatori asintomatici su 10- e per questo inadatto a uso diagnostico una tantum e sul singolo (come ho spiegato in un recente video, non è la soluzione per organizzare ritrovi familiari in sicurezza o per eliminare le altre precauzioni).
Ma applicata alla comunità scolastica, e CONTINUANDO A UTILIZZARE LE STESSE PRECAUZIONI DI OGGI la ripetizione regolare del test a TUTTI una volta alla settimana, sarebbe un ottimo sistema di sorveglianza, perchè filtrerebbe buona parte dei contagiosi e ad ogni ripetizione la possibilità di identificarli aumenta. A regime, (e mantenendo mascherine, distanziamento etc…) si ha un ragionevole grado di sicurezza- diciamo la cosa più vicina al covid-free che possiamo ragionevolmente sperare di ottenere.
Inoltre, fattore importante, i test antigenici tendono ad essere piuttosto specifici, cioè il numero di falsi positivi che generano è più che accettabile. Considerato che i positivi andrebbero comunque ritestati con il molecolare, il rischio di saturare i laboratori con i falsi positivi è quindi basso.Il covid filter aumenterebbe certamente la pressione sui laboratori (è ovvio che più gente testi al primo livello, più positivi andranno verificati con il molecolare) ma i test di verifica confermerebbero quasi sempre la positività, quindi sarebbero utili al controllo epidemico.
Il che vuol dire che i laboratori sarebbero verosimilmente sottoposti a meno carico complessivo, considerato che il covid filter diminuirebbe i contagi incontrollati.
Va infatti considerato che la sorveglianza è una cosa diversa dal tracing, contrariamente a quello che molti scrivono. Il tracing ricerca i contatti di casi già identificati. La sorveglianza invece è un filtro continuo che si applica a tutta la comunità. Non ti dice che puoi andare tranquillamente a zonzo, ma a parità di comportamenti introduce uno strato in più che rende il sistema complessivamente molto più sicuro.
E’ ovvio che la finestra temporale deve essere adeguata. Fare un test a tutti una volta al mese, come è stato proposto in Piemonte, non serve a niente: in un mese ci stanno comodamente due cicli di incubazione. Un test rapido una volta alla settimana potrebbe essere il migliore compromesso tra costi e benefici e diventare un “rito” settimanale più quindi facile da applicare nelle scuole e agganciare agli orari
.Con questo filtro la scuola non sarebbe solo più sicura, ma diventerebbe anche un “setaccio” per identificare precocemente e fermare le catene di contagio nate per esempio in ambiente domestico . Da fattore di pericolo, i ragazzi – che sono quasi sempre portatori asintomatici- diventerebbero delle “sentinelle” contribuendo ad aumentare la sicurezza complessiva di tutto il sistema. Esempio: la mamma torna dal lavoro contagiata ma non lo sa e contagia il figlio. Sono tutti a-pauci-sintomatici ma il figlio è testato regolarmente e fa da “spia” per tutta la casa.
Quanto costerebbe tutto questo? Oggi un kit antigenico si ordina intorno ai 6 euro ma una mega commessa potrebbe spuntare anche la metà del prezzo. Essendo una tecnologia semplice, perfino lo Stato potrebbe promuoverne la produzione in massa.
Diciamo 5 euro a kit, mettendoci dentro anche i costi di handling e trasporto verso le scuole. Un kit alla settimana sono 20 euro a persona al mese. Tutte le scuole superiori italiane (2.650.000 studenti) costerebbero 53milioni al mese.
Tutti gli ordini e gradi incluse le primarie e i docenti costerebbero grossomodo 160milioni al mese.
Cifre sovrastimate, perchè col tempo il costo degli antigenici è destinato a ridursi. Comunque ragionevolissime per un paese in emergenza, considerata l’importanza del tema, l’utilità pubblica del filtro, i soldi che farebbe risparmiare e anche le quantità enormi di denari che vengono sperperate in cavolate (ricordate i banchi, vero?). Comunque, pochi punti percentuali rispetto al budget complessivo dell’istruzione.
Soldi spesi bene che possiamo permetterci.
Perchè non viene fatto?
Coronavirus: Tampone rapido per il Natale in sicurezza? Anche no.
Molte persone pensano di fare un tampone rapido coronavirus per ritrovarsi in sicurezza con i familiari. Funziona? Da biologo molecolare ti spiego cosa rischi e perché dovresti pensarci molto bene.
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