Forza Mussi! Ma occhio a non restarci fulminato.
Appena insediato nel dicastero della Ricerca, Fabio Mussi ha già dato segnali concreti ed incoraggianti di discontinuità rispetto alla precedente amministrazione di Letizia Moratti. Come prima mossa, ha ritirato gli ultimi tre decreti Moratti: decreti di importanza relativamente piccola, ma il cui ritiro segna già un chiaro indirizzo politico Fra i decreti ritirati c’è quello, molto contestato, che riguardava l’istituzione dell’ università "Fai da Te" ‘Ranieri’ di Villa San Giovanni.
Anche se per ora solo a parole, trovo incoraggiante l’atteggiamento di Mussi, che dichiara di voler ascoltare la voce di chi lavora nel mondo della ricerca.
Ha dichiarato Mussi a Repubblica: " Visiterò tutte le università, non solo quelle più grandi. Non credo al riformismo dall’alto, occorre andare in giro, guardare le persone negli occhi, rettori, accademici, ricercatori. Entro qualche mese penso di poter presentare un piano più preciso di interventi legislativi e amministrativi ispirati al valore della libertà". Ascoltare, riflettere, agire, cioè tutto il contrario dell’attidudine ottusa e autistica della fu Letizia-Mestizia Moratti.
Anche la sua ultima mossa ha raccolto il plauso mi molti scienziati: quella di annunciare il ritiro dell’adesione italiana alla dichiarazione etica sulle cellule staminali, un documento firmato l’anno scorso da Italia, Austria, Germania, Polonia, Slovacchia, Malta contro la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali.
Se l’Italia ritirasse la firma da quel documento medioevale sarebbe solo un bene. Ma qualcuno dovrebbe dire a Mussi che gli embrioni sono come i fili della ferrovia: chi tocca muore. E già Buttiglione (uno che quando sente le parole "embrioni" e "ricerca" si sveglia come un Furby che sente la parola magica) si è mobilitato insieme a compagni d’armi più o meno improvvisati minacciando la sfiducia al nuovo ministro.
Nei suoi primi giorni Fabio Mussi ha dato segnali positivi. Ma se non sta attento a dove mette i piedi rischia di non arrivare a ferragosto. Non era forse meglio aspettare prima di camminare sul campo minato delle staminali? Pistuà
Il cinque per mille alla ricerca, i Puffi e i capelli di Rita Levi Montalcini
Non sono l ‘unico a notare come nella lista dei beneficiari del cinque per mille alla ricerca, accanto ad enti di indiscusso valore scientifico, ci siano molte associazioni e scuole che stanno alla ricerca scientifica come il sottoscritto sta all’arte figurativa giapponese del 14esimo secolo (ammesso che esista). Letizia Gabaglio, in un interessante pezzo su Le Scienze di Maggio, ad esempio, nota che “il criterio che ha guidato il Ministero [della ricerca, che ha compilato le liste] appare quanto meno bizzarro“.
E’ vero. Fondazioni per le scienze religiose (che già beccano l’8 per mille), scuole d’arte, istituti di studi politici e sociali a sfondo teologico si spartiranno il 5 per mille che i cittadini pensano di destinare alla ricerca. Niente panico. Per evitare questo, armati di penna, non ci resta che fare quello che la norma prevede: INDICARE DIRETTAMENTE IL DESTINATARIO DEL NOSTRO CINQUE PER MILLE, così come ho spiegato nella mia piccola guida.
Sono d’accordo solo in parte con Letizia Gabaglio riguardo alle critiche sul sistema con cui si può decidere direttamente a chi destinare il cinque per mille. Secondo Gabaglio, “La scelta non verrà fatta sulla base dell’eccellenza, ma su quella della notorietà […] E chi ha più risorse umane e finanziarie, ne può investire di più anche in questa caccia al tesoro[…]. Chi sperava in una norma per favorire il finanziamento alla ricerca è servito“.
Beh, io dico sommessamente che se pensate che il cinque per mille risolverà i problemi della ricerca italiana, allora probabilmente credete anche che i Puffi e i capelli di Rita Levi Montalcini siano di questo mondo. Ricordiamoci che i tratta di briciole, e di un provvedimento “spot” (oggi c’è domani non si sa), incompleto, e in più bisogna sperare che non sia l’ennesimo gioco delle tre carte (“dai di qua e togli di là”). Ne ho scritto in tempi non sospetti nel blog.
Secondo me, la grande novità e pregio della norma è proprio quello di lasciare il singolo contribuente libero di scegliere a chi destinare una parte (anche se piccola) delle tasse per finalità di ricerca o di assistenza. E’ vero, chi ha più risorse umane e finanziarie è favorito. Il fatto è che per fare ricerca di eccellenza ci vogliono grandi risorse umane e finanziarie. Secondo il CENSIS, il 75% delle non profit operanti in ricerca in Italia non ha neanche un dipendente e ha un bilancio annuo inferiore ai 50mila euro. Ora, pensare che con queste cifre si possa incidere sulla ricerca scientifica di eccellenza, è, come dicono gli anglosassoni “wishful thinking”. Con 50 mila euro a malaperna si compra neache una centrifughetta da laboratorio, altro che ricerca di eccellenza.
Dare il cinque per mille a chi ha una massa critica più grande, in grado di fare la differenza, secondo me è meglio. Capiamoci, sono contro l’accentramento di soldi e potere. Ma quando sento parole come “ripartizione” (leggi: “finanziamento a pioggia”) e “ricerca” pronunciate insieme mi vengono i capelli più ritti e cotonati dei quelli della Moratti.
Con tutti i difetti che ha il cinque per mille, per una volta che ci lasciano decidere direttamente a chi dare qualche euro, facciamogli vedere che siamo capaci, noi cittadini, a scegliere in modo decente. Leggete la carta della donazione e premiate organizzazioni serie con un progetto chiaro e che giustificano i soldi spesi. E per favore evitate quelle che odorano di incenso. Ci siamo capiti. Pistuà
Cinque per mille alla ricerca: istruzioni per l’uso
Il momento della resa dei conti con il fisco si avvicina. E con esso anche la decisione fatidica: a chi destinare il (pur magro) 5 per mille dell’IRPEF? E come fare? Ecco una piccola guida:
Di cosa si tratta in pratica?
Sarà possibile per tuti i contribuenti decidere di devolvere il 5 per mille dell’IRPEF ad una fondazione, ente, ONLUS etc…COMPRESI enti impegnati nella ricerca scientifica (ONLUS, Università, centri pubblici) indicando il codice fiscale del beneficiario nella dichiarazione dei redditi.
Il 5 per mille sostituisce l’8 per mille?
No. L’8 per mille rimane così com’è. La possibilità di devolvere il 5 per mille è una possibilità in più prevista per quest’anno in via provvisoria. Non sostituisce nè rappresenta un’alternativa al devolvere l’8 per mille. Si possono fare tutte e due le cose insieme.
Come si fa?
Il contribuente può destinare la quota del 5 per mille della sua imposta sul reddito delle persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2005, apponendo la firma in uno dei quattro appositi riquadri che figurano sui modelli di dichiarazione (CUD 2006; 730/1- bis redditi 2005; UNICO persone fisiche 2006). È consentita una sola scelta di destinazione. Nel modello delle dichiarazione troverete quattro riquadri, corrispondenti alle diverse categorie alle quali potete destinare il 5 per mille:
a) sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità
sociale di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460
b) finanziamento della ricerca scientifica e dell’università’;
c) finanziamento della ricerca sanitaria;
d) attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente.
E’ possibile scegliere un’associazione/ente alla quale destinare direttamente il cinque per mille, indicandone il codice fiscale. L’associazione/ente deve essere però incluso in un apposito elenco di possibili beneficiari (che hanno fatto domanda) stilato dal ministero. Gli elenchi definitivi si trovano qui.
A chi andrà il cinque per mille?
L’agenzia delle entrate, insieme ai ministeri competenti, ha redatto una lista dei possibili beneficiari. La lista comprende gli enti/associazioni che hanno fatto domanda entro febbraio scorso più varie università ed enti pubblici. Se nel riquadro indicate il codice fiscale del beneficiario (fra quelli presenti nella lista) il vostro cinque per mille andrà direttamente al beneficiario da voi indicato. Se non indicate un beneficiario in particolare, ma mettete la firma su uno dei quattro riquadri, il vostro 5 per mille verrà ripartito fra tutti i beneficiari presenti nella lista. Sconsiglio quest’ ultima possibilità, per le ragioni spiegate più sotto.
Dove trovo un elenco dei possibile destinatari del cinque per mille?
Gli elenchi definitivi si trovano qui. La lista degli enti che si occupano di attività di ricerca lo trovate qui.
Mi costa qualcosa?
Devolvere il cinque per mille non costa nulla. Semplicemente, il 5 per mille dell’IRPEF che dovete pagare viene devoluto all’associazione/ente che avete segnalato, invece di andare allo Stato.
Il cinque per mille serve a finanziare la ricerca scientifica?
Non necessariamente.La norma dà la possibilità di devolvere il 5 per mille ad enti ed associazioni non profit, impegnati in diverse attività di pubblica utilità. E’ possibile che nella lista troviate anche la bocciofila o il circolo musicale del vostro paese, tanto per fare un esempio.Per chi vuole destinare il contributo in ricerca, una lista separata elenca i beneficiari del 5 per mille che si occupano in modo specifico di ricerca.
Il fatto di essere sulla lista mi garantisce che l’ente/associazione svolga effettivamente ricerca scientifica?
Dovrebbe, ma in realtà basta scorrere l’elenco per scoprire che non è così. Accanto a enti/associazioni che sostengono ricerca, anche ad altissimi livelli, ce ne sono molti (probabilmente meritori in altri campi) che con la ricerca sembrano avere ben poco da spartire. Evidentemente, le liste sono state compilate (dal ministero della Ricerca) un pò alla leggera, mettendo dentro tutti quelli che ne hanno fatto richiesta, senza troppi controlli.
Ma allora come faccio a sapere che il mio cinque per mille andrà effettivamente alla ricerca scientifica?
La scelta finale è del contribuente, che può decidere di devolvere DIRETTAMENTE il cinque per mille ad una associazione/ente, basta che faccia parte della lista. Perciò, E? IMPORTANTE NON LASCIARE IN BIANCO IL RIQUADRO DEL CODICE FISCALE MA INDICARE IL BENEFICIARIO’ E’ importante informarsi e destinare il cinque per mille soltanto ad un ente/associazione di cui si conoscano bene le finalità e l’impegno nella ricerca. Se non indicate un beneficiario di vostra scelta, il vostro cinque per mille verrà distribuito a "pioggia" a tutte le associazioni/enti della lista, che comprende ahimè anche Fondazioni per le scienze religiose (che già beccano l’8 per mille), scuole d’arte, istituti di studi politici e sociali a sfondo teologico. Nulla di male, ma non c’entrano niente con la ricerca scientifica.
Il mio consiglio è: donate il 5 per mille come se doveste fare un investimento.
Dopo aver lavorato diversi anni nel non-profit impegnato in ricerca posso dare qualche dritta generale. Scegliete un’associazione che abbia bilanci trasparenti (pubblicati su internet, ad esempio), finalità chiare e dimostri di avere raggiunto risultati tangibili. Se si tratta di ricerca scientifica informatevi sui criteri usati per distribuire i fondi (esiste un comitato di esperti di alto livello? Viene utilizzata la peer review?) e sui risultati (es. esiste una lista delle pubblicazioni scientifiche?). All’interno della lista redatta dal ministero ci sono molti enti e associazioni che soddisfano queste caratteristiche. Internet è utilissimo: individuate una vostra lista di possibili destinatari e poi controllate i loro siti internet in cerca delle informazioni che vi servono. Se non trovate nulla, contattateli. Se nel giro di un battibaleno non vi avranno dato le informazioni che cercate, lasciate perdere e passate ad altro. Pistuà
Fabio Mussi ministro di Università e Ricerca
Exit Moratti. Arriva, fresco di giuramento, il nuovo ministro dell’Università e Ricerca. E’ Fabio Mussi (Ds). Dalla biografia del neo-ministro si evince che non si tratta di un tecnico, visto che pare non abbia alcuna esperienza nel campo della ricerca (il fatto che la figlia sia ricercatrice in fisica non vale).
Intanto prendo come un segnale positivo il fatto che Prodi abbia deciso di dividere nuovamente istruzione e ricerca/università in due dicasteri. L’idea del superministo alla Moratti, un piede sulla scuola e uno sulla ricerca, si è rivelata fallimentare, non solo grazie all’operato della stessa Letiziona, ma anche per il fatto che, diciamocela francamente, è già un bel grattacapo gestire scuola e università/ricerca separatamente, figuriamoci insieme. Ehi, stiamo parlando di ministri, non di Einstein. Insomma, meglio due ministeri. Vedremo un pò che combina il Nostro.
Ecco le note biografiche di Fabio Mussi da Wikipedia:
Fabio Mussi (Piombino, 22 gennaio 1948) Nel 1966 si iscrisse al Partito Comunista Italiano, con cui mosse i primi passi nella politica universitaria. Nel 1973 si laureò in filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, di cui poco dopo divenne membro del Comitato direttivo. Continuava intanto la sua ascesa nel PCI, che lo portò nel 1979 ad entrare nel Comitato centrale del partito. Nello stesso anno fu nominato responsabile delle pagine culturali; vice-direttore di Rinascita; vice-responsabile della sezione stampa e propaganda e in ottobre responsabile del settore.Dal 1980 al 1984 fu segretario regionale del PCI in Calabria, ed al termine del suo mandato entrò nella Direzione nazionale. Confermato in tutti i suoi incarichi, dal 1986 al 1988 fu condirettore de L’Unità. Favorevole alla "svolta della Bolognina", divenne dirigente di prestigio prima del Partito Democratico della Sinistra e poi dei Democratici di Sinistra, di cui guida la corrente schierata più a sinistra, il cosidetto "correntone". L’attività parlamentare di Fabio Mussi iniziò nel 1992, allorchè fu eletto deputato per la circoscrizione Pisa–Livorno–Lucca–Massa-Carrara con 14.213 voti di preferenza. Nel 1994 il suo seggio gli venne confermato con il 52,5% dei voti, mentre nel 1996 venne rieletto con il 61,5% dei consensi. Al termine delle elezioni politiche del 2001, in cui gli venne confermato il seggio alla Camera dei Deputati, venne nominato dai colleghi parlamentari vice-presidente della Camera.Dopo le elezioni politiche del 2006 ha ricevuto un nuovo mandato parlamentare ed è stato il primo presidente, seppur provvisorio, della Camera nella XV legislatura. Il 17 maggio 2006 viene nominato Ministro dell’Università e Ricerca dal Governo Prodi II.
Le donne e la ricerca
Misogini di tutta europa, gioite! Non c’è bisogno di un genetista per concludere che due cromosomi X rappresentano uno svantaggio notevole per chi lavora nel campo della scienza.
L’ ultimo rapporto dell’unione europea su donne e scienza "She Figures 2006" (consultabile in inglese qui) fa il punto sulla situazione delle donne nella scienza al 2004, fornendo dati sulle differenze specifiche tra i sessi nei settori lavorativi, nelle materie di studio e ai vari livelli di istruzione e valutando quanto contribuiscano le donne alla definizione dell’agenda scientifica. (qui trovi anche il comunicato stampa)
Almeno riguardoalla percentuale di donne scienziato l’Italia è nelle media europea, anche se il dato (29%) non fa onore nè a noi nè alla media EU. Soltanto Lettonia, Lituania e Bulgaria sfiorano o superano la parità fra uomo e donna nelle discipline scientifiche. Ultima è la Spagna, con un misero 12% di donne impiegate in ricerca.
Il fenomeno del "glass ceiling" è forse quello più preoccupante. Per glass ceiling (letteralmente: soffitto di vetro) si intende una barriera invisibile ma impenetrabile verso i livelli più alti di carriera, generalmente riferita alle difficoltà delle donne di raggiungere i più alti livelli. Come si vede nel grafico, man mano che si avanza nei gradi di carriera (verso destra, da studente a professore etc…) sale la percentuale di uomini (giallo) mentre scende vertiginosamente quella delle donne (in blu).
Perchè le donne non ce la fanno? E’ una questione di discriminazione, problemi legati al tradizionale ruolo familiare della donna, o altro?
Queste questioni sono al centro di una serie di dibattiti (uno in questi giorni a Vienna) organizzati dalla UE. Maggiori informazioni a questa pagina.
Matusalemme in cattedra
Perchè l’Università italiana è una gerontocrazia
Facciamo un gioco di ruolo. Siete un giovane promettente, diciamo 25 anni, da poco laureato. Le statistiche dicono che l’età media alla quale potete (forse) sperare di viene assunti come ricercatori universitari in Italia è di circa 40 anni. Ammesso che esistano posti (cosa già di per se difficile) e che esista ancora la figura del ricercatore quando avrete 40 anni (cosa ancora più difficile dopo la riforma Moratti). Se non ce la fate ad aspettare potete emigrare. Altrimenti, la vostra pazienza verrà ripagata: avrete il posto quando ormai il vostro picco di creatività si sarà esaurito, ma almeno potete sperare di rimanere un bel pò di anni in cattedra a comandare.
Del problema si è occupato ad esempio un’articolo pubblicato da Le Scienze (S. Zappen e F. Sylos Sabini: Quando l’Università invecchia, Febbraio 2006). Ed ecco emergere la fotografia di una vera e propria gerontocrazia.
Di tutti i paesi esaminati, siamo quello con la più alta percentuale di docenti universitari ultrasessantenni (22,5%) e con la più bassa fetta di quelli sotto i 35 anni (4,6%).
Ancora più preoccupante è il "numero sproporzionato di docenti fra i 55 e i 60 anni rispetto alle classi di età adiacenti".
Ma c’è di peggio: il picco nella distribuzione di fascie di età (vedi la figura) non è fisso ma si sposta verso le età più avanzate man mano che gli attuali docenti invecchiano. Traduzione: nessuno va in pensione, i giovani non entrano e perciò l’età media dei docenti diventa sempre più alta.
Non solo, i più anziani sono anche i meglio pagati, dato che la retribuzione da noi non è basata sui risultati o il merito accademico, ma unicamente sull’anzianità di servizio.
Insomma, abbiamo un università dove a comandare – e a fare muro- sono i gerontocrati. Alla faccia dei tantissimi giovani che dentro ai laboratori ci lavorano e sperano.
Mi è capitato di leggere un interessante e sconsolante rapporto del Forum Nazionale dei Giovani sull’età media dei politici italiani, degna di Jurassic Park.
Il paradiso dei gerontocrati è uno dei tanti e giusti appellativi che L’Economist ha dato all’Italia (6 Aprile scorso). Non fa riflettere il parallelo che esiste fra l’età media dei politici e quella dei docenti universitari? Pistuà
(grafici: Le Scienze)
Le termiti della ricerca italiana piangono
La cura delle malattie genetiche:una lunga scalata
Aleyna non sta ferma un attimo, come tutte le bambine della sua età. A vederla saltellare qua e là sembra quasi impossibile che soltanto tre anni fa la sua sorte fosse inesorabilmente segnata. E’ il 2002 e, poco dopo la nascita, la piccola comincia a stare male. La diagnosi è terribile: come un fratellino morto prima di lei, anche Aleyna è affetta da ADA-SCID una rara e grave immunodeficienza genetica che azzera le difese immunitarie, rendendo potenzialmente letale perfino un banale raffreddore.[…]
SU consiglio di uno specialista, i genitori di Alenya volano a Milano, dove i ricercatori del Telethon Institute of Gene Therapy (HSR-TIGET) hanno già sperimentato con successo in due piccoli pazienti la terapia genica della malattia: nelle cellule staminali del sangue, prelevate alla piccola, viene trasferita una versione sana del gene ADA, il cui difetto causa la malattia; dopo pochi giorni, con una blanda chemioterapia i ricercatori ripuliscono il suo midollo osseo dalle cellule malate e lo ripopolano con quelle che contengono il gene appena inserito. Grazie al trattamento, Aleyna ha una nuova vita: oggi è una bambina sana, con un sistema immunitario e una vita perfettamente normali.[…]
La storia a lieto fine di Aleyna e degli altri bambini salvati dall’ADA-SCID è purtroppo l’eccezione e non la regola, se si considera che esistono almeno seimila malattie genetiche, causate da alterazioni nel DNA di un individuo e trasmissibili per via ereditaria, la maggior parte delle quali sono gravi o letali e ad oggi senza una cura.[…]
La ricerca verso la cura di una malattia genetica procede attraverso tappe progressive che possiamo idealmente schematizzare in una scala, dove il primo gradino è rappresentato dall’individuazione del difetto genetico che causa la malattia [FIGURA]. Questa prima tappa ha anche un’importante applicazione sul piano pratico, perché permette di effettuare da subito test diagnostici per l’individuazione precoce dei malati e dei portatori sani. Nel secondo gradino, i ricercatori studiano a fondo i geni-malattia alterati, cercando di comprendere qual è il loro funzionamento normale nell’organismo e i meccanismi che, partendo dalla loro alterazione, portano ai sintomi della malattia. Queste informazioni sono il punto di partenza per ideare strategie in grado di compensare il difetto genetico, come esempio nuovi farmaci o terapie genetiche, la cui efficacia verrà testata in modelli cellulari (gradino 3) o animali (gradino 4). Soltanto le terapie che si dimostrano più efficaci nei modelli animali e potenzialmente sicure nell’uomo sono adatte a passare alla fase clinica (gradino 5), un lungo e delicato processo in cui la cura viene sperimentata su gruppi sempre meno ristretti di pazienti, allo scopo di valutarne la sicurezza ed efficacia.[…]
Grazie ai progressi nella mappatura del genoma, che hanno reso relativamente facile associare i difetti genetici alle malattie, l’interesse dei ricercatori prima confinato all’identificazione dei geni-malattia, si è oggi spostato in alto nella scala, verso lo studio dei meccanismi con cui questi stessi geni sono regolati e funzionano nell’organismo. Questa tendenza è confermata da un monitoraggio che abbiamo effettuato sui progetti finanziati da fondazioni e enti di ricerca internazionali su varie malattie genetiche, e vale anche per la ricerca Telethon: dal 1991 ad oggi la quantità di fondi destinati a studi genetici si è dimezzata, a favore di progetti nei gradini più alti della scala (FIGURA 2). Va detto che se l’immagine della scala ci aiuta a immaginare un processo ideale, la realtà è più complicata: uno stesso progetto di ricerca si può estendere contemporaneamente a più gradini; inoltre, spesso è necessario tornare indietro nella scala per rispondere a nuove domande sui meccanismi della malattia o per perfezionare la strategia di cura. Tenendo conto di questi limiti, la scala è comunque un modello realistico, e rappresenta uno strumento con cui possiamo valutare il progresso della nostra ricerca verso la cura.[…]
(estratto dall’articolo: Dalla ricerca alla cura delle malattie genetiche, di S. Pistoi, L. Monaco e F. Pasinelli, Le Scienze Maggio 2006). Per il testo completo: Le Scienze (in edicola) o contattatemi per il pdf (gratuito, via email).