Rockerduck e l’ Agenzia per la Ricerca, ovvero come rovinare una bella giornata.
Pens re che era cominciata come una bellissima mattinata. L’Italia qualificata, sole che splende, caffè, giornale e mentre sfoglio le pagine finalmente una buona notizia: Sole 24 ore (27 giugno), pagina 29: Entro Luglio presenteremo il Ddl per l’istituzione dell’Agenzia nazionale di valutazione per la ricerca, parola di Fabio Mussi, ministro della ricerca.
Con il giornale rosa in mano, per un attimo ho parlato come Paperone di fronte ai dollaroni: “O gioia o giubilo!” Finalmente qualcosa di buono, una promessa mantenuta. Un’agenzia per la ricerca indipendente e autorevole dovrebbe- secondo le speranze di tanti uomini di buona volontà – valutare la produttività di università e laboratori e assegnare finanziamenti pubblici in base al merito. La costituzione di un organismo indipendente per la valutazione della ricerca è quello che chiedono da tempo a gran voce gli scienziati, e appare anche nel programma elettorale dell’Ulivo.
Al secondo paragrafo si insinua il dubbio raggelante. Luciano Modica, sottosegretario all’Università, precisa: “L’Agenzia […] si fonderà sull’ottimo lavoro svolto dal Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario e, per la ricerca, sull’esperienza del Comitato di indirizzo per la valutazione e la ricerca“. Quest’ultimo è il famigerato CIVR , organismo autore di un maldestro e strampalati tentativo di valutazione della ricerca, noto ai miei lettori affezionati perchè ne parlai in modo approfondito nel mio primo post. Se il CIVR è il modello su cui si baserà l’agenzia della ricerca, siamo fritti e panati.
Perle gelide di sudore corrono lungo la mia schiena. Che cosa vuol dire esattamente Modica? Che si ispirerà al modello del CIVR oppure, al contrario che l’esperienza del CIVR ha insegnato cosa non bisogna fare? Speriamo che valga la seconda ipotesi, altrimenti finirà che dopo il giubilo alla Paperone, ci mangeremo il cappello come Rockerduck. Pistuà.
Scienziati? Ceto debole. Lo dice il Censis.
Quanto potere hanno gli scienziati nell’immaginario collettivo? Secondo un interessante sondaggio pubblicato questa settimana, <a href='Download file ‘>Oligarchie e ceti deboli, tecnici e "grandi esperti" sono indicati soltanto da un trascurabile 2% degli intervistati fra le categorie di coloro che detengono il potere in Italia. A prevalere nella graduatoria sono, c’era da aspettarselo, le élite economico-finanziarie (38,7%) e le èlite partitiche (35%).
Quello che mi ha colpito è che il rapporto del Censis classifica gli scienziati fra i “ceti deboli”:
più precisamente, gruppi che operano in“mercati” aperti, ad alta contendibilità di “quote” di risorse e di potere […] che esprimono la loro scarsa forza di influenza per difetto di capacità aggregativa e di rappresentanza […]; o per scarsità di rappresentazione anche mediatica (il ceto accademico, intellettuale e artistico); o per
pochezza di risorse a disposizione (i “cervelli” della ricerca scientifica con
una spesa per ricerca e sviluppo in Italia dell’1,1% del Pil, pari alla metà di
quella francese, tedesca, statunitense).
I dati del Censis sono interessanti ma fanno di tutta l’erba un fascio. Il messaggio rischia di suonare come la solita litania "poveri-scienziati-derelitti-e-afflitti-dalla-mancanza-di-fondi- e-ultimi-nella-classifica-di-chi-conta". Ma gli uomini di scienza sono davvero così lontani e distinti dalle elite politica? Bisognerebbe vedere. E’ vero che molti ricercatori che lottano per la sopravivvenza sono classificabili a tutti gli effetti fra i ceti deboli (privi come sono di influenza politica e lontani dai "network", che contano). Ma cosa dire dei tanti baroni-termiti del nostro sistema accademico? Non rappresentano forse parte dell’ elite, non di rado ben collegata al potere economico e politico? E’ difficile sostenere che gli accemidi di potere siano personaggi privi di influenza e connessioni che contano. Pistuà.
Rettore per un pelo
Come per le ultime elezioni politiche, le vittorie per un pugno di voti sono di casa anche all’università. Augusto Marinelli, rettore uscente dell’Università di Firenze, è stato rieletto ieri alla seconda votazione per pochi decimi di voto: quelli necessari a raggiungere il quorum per passare al primo turno. I decimi si spiegano col fatto che i voti del personale tecnico-amministrativo valevano 1/10 rispetto a quelli del personale docente.
Pur avendo totalizzato meno voti dello sfidante, Valentino Federici, Marinelli ha comunque battuto il concorrente per numero di voti "pesati". In altre parole, il personale docente, ricercatori e professori, si è schierata in maggioranza per il rettore uscente, mentre Federici ha avuto l’ appoggio del personale tecnico-amministrativo. Alla fine della votazione, Marinelli si è ritrovato con 1015,2 voti "pesati": 8 decimi in meno rispetto al quorum. Il regolamento prevede però che i voti "decimali" vengano arrotondati per eccesso, raggiungendo così quota 1016. Il risultato delle votazioni è pubblicato qui.
Federici, il cui programma era improntato al cambiamento, si dichiara comunque soddisfatto "Queste elezioni sono una svolta importante per il nostro Ateneo, dove ha potuto svilupparsi grazie alla mia candidatura un confronto di idee e di soluzioni che ci sarà molto utile per il futuro. È stata una campagna elettorale vera, un voto vero."- scrive nel suo sito web. Forse se ne riparlerà nel 2009.
Il meno che si possa dire è che si è trattato di un’elezione travagliata. Una prima votazione, a inizio giugno, era stata sospesa poco dopo l’inizio perchè ci si accorse che il sistema non era tecnicamente in grado di garantire l’anonimato. Saggiamente, si è poi deciso di ricorrere alle vecchie ma affidabili schede cartacee. Pistuà
Nella foto: i due sfidanti.
I miracoli delle staminali adulte. E della fede.
Fra i tanti commenti deliranti sull’uso o meno delle cellule staminali embrionali, la mia palma d’oro va ad un recente editoriale dell’Avvenire, che con grande scelta di tempo ci regala un paragone calcistico per esaltare le virtù delle cellule staminali adulte. In breve, il pezzo parte dal presupposto che sono ormai 65 le patologie che oggi si curano grazie all’uso delle staminali adulte:" 65 scoperte già all’opera, con benefici tangibili che vanno dalle ossa al sangue, dal fegato agli occhi, dalla pelle al cuore..." scrive l’autore dell’editoriale Francesco Ognibene. La conclusione è (secondo lui) lapalissiana: adulte battono embrionali 65 a zero. Scrive Ognibene: "Se una qualsiasi delle partite mondiali di questi giorni finisse con un cappotto (facciamo un sei a zero, per dire) a favore di una squadra pur forte ma non paragonabile alla rivale, celebrata dai media e superfavorita per risorse investite e star schierate nelle sue file [se non l’avete capito si riferisce alle staminali embrionali, nda], il giorno dopo stampa, tv e opinione pubblica chiederebbero a gran voce almeno le dimissioni dell’allenatore, ingiungendo di cambiare metodo di gioco. Bene: c’è una partita ancora in corso il cui risultato è fissato sul 65 a zero, ma nessuno chiede conto della disfatta alla squadra così pesantemente strapazzata".
Anzitutto, quali sono queste fantomatiche 65 malattie? Avvenire non fornisce la lista, e non è dato di sapere se il suo editorialista l’abbia veramente letta. Lo dico perchè, dopo aver fatto il mio compitino su google, ho trovato la magica lista, che circola da un pò su internet e sui media d’oltreoceano, e le sorprese non mancano. Se scorriamo la lista delle malattie scopriamo che si tratta quasi esclusivamente di patologie che si curano 1) con il trapianto di cellule staminali del sangue (alias trapianto di midollo) 2) con il trapianto di cellule staminali epitaliali (alias trapianto di pelle e di tessuto corneale coltivato in vitro). In altre parole, metodologie il cui successo non è certo in discussione, ma che-almeno nei primi due casi- sono in uso da decenni, seppur con continui miglioramenti. Tra l’altro, la lista riporta abusivamente anche diverse malattie (ad esempio Osteogenesis imperfecta, Sandhoff disease, Hurler’s syndrome, Krabbe leukodystrophy, Osteopetrosis, Cerebral X-linked adrenoleukodystrophy) per le quali non esiste una cura definitiva. La fonte originale delle lista è un sito americano contrario alla ricerca sugli embrioni
Il ragionamento viziato di Avvenire è: 1) dato che molte persone vengono curate con il trapianto di midollo e di pelle (cioè metodi in uso da decenni), e nessuno è stato mai curato con le staminali embrionali, le prime vincono la partita. ERGO 2) Inutile insistere con la ricerca sui poveri embrioni, dato che la superiorià delle staminali adulte è dimostrata. Con lo stesso metodo possiamo sbizzarrirci pericolosamente: Provate così: 1) finora la chemioterapia ha curato migliaia di pazienti, mentre le nuove terapie non hanno curato ancora nessuno. ERGO 2) lasciamo perdere la ricerca sui nuovi farmaci. Oppure, in versione retrò, mettetevi nei panni dei vostri nonni e tornate indietro di qualche decennio: a) la penicillina ha salvato un sacco di persone, mentre i nuovi antibiotici (che ancora sono soltanto un cumulo di altre muffe in un frigo) non hanno curato nessuno. ERGO 2) perchè mai dobbiamo fare ricerca su nuovi antibiotici? E così via.
Forse bisogna spiegare agli amici di Avvenire un fatto ovvio, e cioè che le 65 terapie vantate come successi dell’impiego di cellule staminali adult siano metodi established, che vantano anni di applicazione clinica, come il trapianto di midollo, e quindi non ha senso paragonarli ai possibili benefici delle cellule staminali embrionali, che ancora vengono studiate in laboratorio.
Se volete saperla tutta, sono un pò stufo della contrapposizione forzata da "adultisti" e "embrionisti". E sono anche contrario all’ hype mediatico che si fa intorno alle possibilità delle cellule embrionali, presentate come la panacea a tutti i mali.
E’ vero, finora nessuno è stato curato con cellule staminali embrionali. E’ giusto che questo la gente lo sappia, se non l’ha capito. Ma Avvenire, e molti cattolici, farebbero più bella figura a non cercare di convincere il pubblico con ragionamenti artificiosi e fasulli come quello appena visto. Perchè non si limitano a enunciare il loro credo? Per loro l’embrione non si tocca e basta, perchè questo dice la loro religione. Almeno questa sarebbe una posizione più rispettabile, anche da parte di chi la pensa altrimenti. Pistuà
Stephen Hawking e il Papa
“Va bene studiare dove e quando è iniziato l’Universo. Ma non bisognerebbe fare luce su quello che accadde, perchè quello fu il momento della creazione e quindi l’opera di Dio”. A pronunciare questo discorso fu Giovanni Paolo II, così almeno sostiene Stephen Hawking, astrofisico e star mondiale della divulgazione scientifica, noto per il suo gustoso spirito, oltre che per gli effetti che su di lui ha avuto la grave malattia che lo affligge, la SLA.
Non sappiamo se quelle furono le parole precise di Wojtila, ma direi che per stile e contenuto non c’è da stupirsi. Secondo Hawking, riporta l’Associated Press, Wojtila avrebbe ammonito con questa frase gli scienziati presenti ad un convengo di cosmologia in Vaticano nel 1981. “Meno male che il Papa non si era accorto della presentazione che avevo appena fatto, che parlava proprio dell’origine dell’Universo, altrimenti avrei fatto la fine di Galileo”, scherza lo scienziato. Anche perchè, come recita la sua biografia, il baldo Hawking, è nato precisamente 300 anni dopo la morte del collega toscano.
Hawking, che parla attraverso un sintetizzatore vocale, non risparmia mai battute esileranti, scheranzo anche sulla propria disabilità. Gli appassionati-come me- ricorderanno anche la sua divertente presenza in una puntata dei Simpson. A chi gli chiede perchè, visto che è inglese, ha scelto un sintetizzatore che parla con l’accento americano, scrive l’AP, risponde che il suo è un vecchio modello di hardware e che ormai si è abituato alla sua voce artificiale. “Volevo un sintetizzatore che parlasse con l’accento francese- scherza lo scienziato” ma mia moglie avrebbe divorziato”. – grazie al mio cugino/lettore Macca per la segnalazione. Pistuà.
Forum dei DS sulla ricerca
Grazie a Franco Miglietta, lettore incallito del blog, per la segnalazione che riporto da un suo commento:
Oggi, 12 Giugno c’è una riunione aperta dei DS sul tema Università e Ricerca all’Hotel Quirinale a Roma; a cui parteciperanno Mussi, Nicolais, Modica ed altri membri del governo. Il Manifesto dei Ricercatori porterà un volantino con i propri enunciati […]
Il programma del forum lo trovate qui. IL forum è aperto a tutti ma per altri impegni di lavoro non potrò andare a vedere. Naturalmente seguiremo con molto interesse gli sviluppi di questa iniziativa. Pistuà
Nature tenta la peer review aperta
Sul sito di Nature campeggia un annuncio molto interessante. La grande rivista scientifica sperimenta infatti da questo mese un sistema di peer-review “aperta”. In pratica, i manoscritti scientifici sottoposti a Nature per la pubblicazione verranno pubblicati su un blog (la piattaforma è Movable Type, la stessa usata per il nostro sito) e aperti ai commenti di tutta la comunità scientifica. Il sistema, spiega Nature, è per ora soltanto un esperimento e non sostituisce in alcun modo l’iter attuale di peer review (che in breve funziona così: i manoscritti che i ricercatori inviano a Nature per la pubblicazione vengono fatti leggere a revisori esterni -esperti del campo- che rimangono anonimi ed esprimono il loro parere sulla qualità scientifica dei dati e l’opportunità di pubblicarli sulle pagine della rivista). Nature terrà conto anche di questi commenti nel decidere o meno riguardo alla pubblicazione di un manoscritto.
Certo, per ora è solo una prova che forse aiuterà a rendere più trasparente il sistema di peer-review, criticato da più parti. Ma il fatto che Nature, colosso dell’editoria scientifica “classica”, si butti su questo esperimento è significativo. Da tempo l’egemonia delle grandi riviste scientifiche, come Nature, appunto, che fanno pagare a caro prezzo i loro contenuti (non solo ai lettori, ma anche ai ricercatori, che spesso devono pagare “page charges” per vedere i loro articoli stampati, una volta accettati) è insidiata dal basso dal crescere del cosidetto “open access”, sistema di accesso gratuito basato sul web, di cui PLOS è il campione più famoso. Inaugurare un nuovo sistema di peer-review, allargandolo all’intera comunità scientifica e rendendolo più trasparente, potrebbe essere una mossa vincente per riconquistare terreno fra gli scienziati, stufi del sistema tradizionale. Non è ancora chiaro dove Nature andrà a parare esattamente, ma a questo punto sembra chiaro che assisteremo ad un giro di boa importante. Per saperne di più potete leggere le FAQ di Nature al riguardo. Pistuà
Whitetaker chiude i battenti. Evviva!
Sul mio tavolo campeggia il “Final Annual Report” che mi ha inviato la Whitaker, una grande fondazione filantropica di ricerca nata nel 1975 con lo scopo di creare e sostenere una nuova scienza: quella della bioingegneria. Sembra un report come tanti altri, se non fosse che alla fine di questo mese, la Whitaker chiuderà definitivamente e volontariamente i battenti. Una brutta notiza? Tutt’altro. Fu lo stesso fondatore, l’inventore, industriale e filantropo Uncas A. Whitaker, ad aspicare che, entro 40 anni dalla sua morte, la Fondazione – che naque da un suo lascito milionario- avrebbe terminato la propria attività.
IN questo mondo a nessuno piace chiudere baracca e se lo si fa, in genere, è per disperazione, oppure per scappare portandosi via il bottino. Per questo, la Fondazione Whitaker è un caso a parte.
Nel 1991, con grande onestà intellettuale, il board della Whitaker ha deciso di seguire il suggerimento del proprio fondatore decidendo di iniziare la fase di “autodistruzione” (spending out, cioè consumare -in modo utile alla missione- tutte le risorse della Fondazione) . Da notare il fatto che essuna clausola prescriveva lo scioglimento obbligatorio della Fondazione.
“Abbiamo raggiunto il nostro scopo”- ha dichiarato G. Katona, presidente della Fondazione. Il campo della bioingegneria, riservato a pochi pionieri negli anni ’70, è oggi in piena espansione grazie anche e soprattutto agli investimenti della Whitaker.
Whitaker era un uomo pratico e previdente: si racconta che ancora prima che la figlia prendesse la patente, le aveva già insegnato a cambiare la ruote. La sua idea sulla fondazione era semplice e in stile con il suo carattere: se una fondazione continua a perseguire la sua missione all’infinito, significa che probabilmente non è in grado di raggiungerla.
Mentre rileggo la bella storia di Whitetaker e della sua creatura, penso ai tanti enti statali e regionali ormai inutili che nessuno riesce a chiudere e che stanno in piedi soltanto epr autoalimentarsi con denaro pubblico (non parlo di ricerca scientifica, o almeno non solo di quella) . In fondo Whitaker aveva ragione. Avere le idee chiare significa anche avere il coraggio di chiudere i battenti. Pistua.