La Corea investe nella ricerca , l’Italia rosica
Un elevato numero di persone altamente istruite, una società interconnessa e un imponente sistema di innovazione. Miraggi per l’Italia, realtà per la Corea del Sud il cui ministro della ricerca si può permettere di affermare che l’obiettivo generale del suo paese è diventare la settima potenza mondiale a livello scientifico e tecnologico entro il 2025.
Fonte: Cordis
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Ormoni spaziali
Ricordo ancora l’espressione, a metà fra il divertito e l’imbarazzato, della nostra guida. “Qui è successo un pasticcio” ha raccontato. “Un astronauta russo ha assalito una collega canadese con intenti sessuali”. Davanti a noi, nella città delle stelle vicino a Mosca, c’era il modulo spaziale che vedete nella foto.
Li dentro, stile grande fratello spaziale, vennero rinchiusi per 240 giorni, in un esperimento ormai da manuale, astronauti di varie nazioni. Un modo per testare le dinamiche di gruppo in un ambiente ristretto, in vista dei viaggi spaziali. Il risultato fu il primo esempio di sexual harassment cosmico. Il bello è che non si trattava di bavosi capufficio ma di un professionista plurilaureato, selezionato attraversi rigidi test psicologici. Questi sono gli scherzi della psiche umana in condizioni estreme.
Ricordo altresì qualche collega giornalista che sbavava alla vista degli atletici astronauti che si allenavano nel centro spaziale russo.
Dopo le vicende di Lisa Nowak (vedi post precedente) ora anche gli americani, notoriamente restii ad affrontare l’argomento sesso, hanno capito l’esplosività della miscela: spazio ristretto+giovani in forma+ormoni e la NASA ha istituito una commissione di esperti per studiare il problema del sesso spaziale, che si presenterà inevitabilmente quando si deciderà di inviare equipaggi per lunghe missioni. Meglio tardi che mai.
foto: Pistuà
La “cacciata dei cervelli”? Non ci sono mai stati
Sta facendo il solito giro mediatico la storia di Bulat Sanditov, un ricercatore russo della Bocconi che, sfinito dalle pastoie burocratiche riguardo all’immigrazione, se ne va dall’Italia per lavorare in Olanda. Ne ha parlato per prima Repubblica, ripresa dall’amico blogosferico di innovazione.
Diciamo subito che la storia del ricercatore russo non aggiunge nè toglie nulla a quanto già da tempo le persone sensate vanno ripetendo riguardo alla fuga dei cervelli: il problema non è sforzarsi tornare i “cervelli italiani ” nella penisola. Questa è demagogia. La questione, semmai, è sviluppare un sistema che renda l’Italia un paese appetibile per i ricercatori, non importa che siano italiani o stranieri . Questa è la politica che ispira i paesi tipicamente più avanzati nella ricerca, come gli USA.
Serve anche a poco incolpare la Bossi-Fini, come fa repubblica. Dopo l’11 Settembre, anche negli States avere un visto è diventato un incubo anche per i ricercatori (vedi questo post e questo post ), ma anche nella peggiore delle ipotesi, questo provocherà solo una leggera flessione dei ricercatori stranieri negli States.
E’ meglio guardare le cifre: i ricercatori stranieri in Italia si contano sulle punte delle dita. Sono talmente pochi che su di loro non esiste neppure una statistica. Quando incontro un ricercatore straniero che lavora in italia, mi informo sui motivi che l’hanno spinto/a a venire qui. Quasi sempre c’è di mezzo un marito o una moglie italiana, o l’amore per lo stile di vita made in Italy. Poche volte ( anche se succede) la risposta è “qui ho trovato le condizioni migliori per lavorare”.
Di fronte a questa constatazione, serve a poco tirare fuori una lacrimosa storia personale per suonare il campanello sui cervelli stranieri che fuggono dall’italia. Se parliamo di ricerca scientifica, i cervelli stranieri se ne sono andati da un pezzo. Il dottore Sanditov era già un’eccezione prima di partire.
Foto: repubblica.it
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La frusta e la fuga dei cervelli
Noi italiani l’autofustigazione ce l’abbiamo nel sangue. Forse da buoni baciapile siamo convinti che in questo modo i problemi che ci affliggono, e che non vogliamo affrontare, si risolveranno da soli.
L’ultimo esempio di autofustigazione collettiva riguarda il caso di Bulat Sanditov, su cui voglio tornare. Sanditov è un ricercatore russo della Bocconi che, sfinito dalle pastoie burocratiche riguardo all’immigrazione, se ne va dall’Italia per lavorare in Olanda.
L’anno passato scrissi della vicenda di Goverdhan Mehta, emimente chimico indiano e presidente dell’ International Council for Science, che fece scalpore perchè gli USA gli negarono il visto per recarsi in visita alla University of Florida, Gainesville, nell’ambito di una collaborazione. Raccontai anche dei problemi burocratici enormi che affliggono i ricercatori stranieri negli States (vedi “Bin Laden e la Fuga dei Cervelli“).
Tutto ciò impedisce agli States di attrarre ricercatori stranieri? No.
Allora, forse, ci stiamo autofustigando per la cosa sbagliata. Premetto che la bossi-Fini non mi è mai piaciuta, ma è piuttosto ridicolo attribuire ad essa, come fa repubblica, la colpa dell’ emmoragia di talenti dall’Italia. Certo, le grane sull’immigrazione non aiutano. Sarebbe più realistico dire che c’è un problema più ampio: l’Italia non è appetibile a chi voglia lavorare in settori ad alta innovazione (e purtroppo non parliamo solo scienziati). Pistuà
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I sette peccati capitali della comunicazione scientifica
SE LA TUA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA NON FUNZIONA, FORSE HAI COMMESSO UNO DEI
SETTE PECCATI CAPITALI
1
Non hai comunicato un messaggio chiaro / hai voluto comunicare troppi messaggi
2
Non hai seguito la regola della piramide (prima le informazioni essenziali, poi il resto)
3
Hai aggiunto troppi dati superflui (sì, anche quel bellissimo grafico dell’esperimento può essere superfluo…)
4
Hai semplificato troppo (sembra strano, ma succede spesso)
5
Hai dimenticato il lato umano della ricerca (le persone dietro alla scoperta, la tua storia personale o quello che vuoi)
6
Non hai tenuto conto del fattore tempo. Non hai tenuto conto dello spazio limitato (volevi veramente spiegare per filo e per segno il tuo lavoro in un’intervista di due minuti? Hai scritto tre pagine per riempire un trafiletto?)
7
Non sei stato imparziale (se tiri troppo l’acqua al tuo mulino, quelli furbi se ne accorgono…)
Se è così devi subito espiare i tuoi peccati. Puoi iniziare leggendo i miei consigli.
Le regole d’oro della comunicazione scientifica
Non è facile comunicare efficacemente la scienza. In fondo, si tratta un mestiere a se. D’altra parte, nessuno chiederà mai ad uno scienziato di trasformarsi in Piero Angela. Capita spesso, però di trovarsi a dover raccontare il proprio lavoro ai media o al pubblico laico. Ecco una prima lista di consigli per evitare gli errori più comuni. Si tratta di regole ricavate sia dall’esperienza personale di ricercatore (gli errori di cui parlo li ho già fatti quasi tutti) che da quella come giornalista e divulgatore. C’è ovviamente molto di più da dire. Potete utilizzare i commenti per le vostre proposte e/o critiche.
Per chi vuole approfondire ci sono i miei corsi e worskhops.
LE REGOLE D’ORO
1. Identifica uno (massimo due) messaggi-chiave che vuoi fare arrivare.
Lo so, vorreste trasmettere a tutti le tante implicazioni della vostra ricerca, e quasi sempre gli aspetti da approfondire sono tanti. Ma devi concentrartii sul messaggio che ti interessa di più, e che può interessare di più il tuo “pubblico”
2. Chiediti se la tua storia ha un taglio interessante per qualcuno.
Sembra una domanda inutile, quasi offensiva. E’ il tuo lavoro, quello che ti appassiona, quello per cui hai lasciato casa/moglie/marito/gatto al loro destino. Certo che è interessante. Ma lo è anche per chi ti ascolta/legge? Anche se fai ricerca di base , anche se non stai scoprendo la cura del cancro o i viaggi nel tempo, il tuo lavoro ha probabilmente qualche aspetto o prospettiva interessante anche per chi non lavora nel tuo campo. Cercala, non te ne pentirai.
3. Segui la regola d’oro del giornalismo: le informazioni essenziali prima, i dettagli di seguito (regola della piramide invertita).
Hai presente lo schema dell’articolo scientifico: introduzione, materiali e metodi, risultati, conclusione? Ecco, devi fare tutto il contrario. Si fa prima a farlo che a spiegarlo. Nei miei workshops lo facciamo.
4. Utilizza le metafore e le analogie con la vita di tutti i giorni, ma non abusarne.
D’accordo, i mitocondri sono la centrale energetica della cellula, ma attento a non andare troppo lontano con le metafore, altrimenti chi ti ascolta penserà che lavori all’ENEL
5. Identifica la tua audience e mettiti allo stesso livello. Incoraggia la discussione.
Fallo sul serio.
6. Elimina tutti i dati superflui
Mostrare i dati è un deformazione tipica dello scienziato. I tuoi colleghi vogliono vedere i dati (giustamente). Il pubblico si fida di te: lascia stare i dettagli sperimentali e concentrati sui risultati. Non hai bisogno di far vedere le tue deviazioni standard per convincerlo.
7. Tieni conto dello spazio e del tempo a disposizione
Per quanto Einstein potrebbe avere da ridire, un’intervista di tre minuti dura tre minuti. Un seminario di un’ora deve durare un’ora, un pezzo che deve stare su mille battute non si allunga per miracolo. Se il giornale va in stampa domani, non fermeranno le rotative per te. Informati sui limiti di tempo e di spazio e i tempi e rispettali. Se devi apparire alla radio o alla televisione sii conciso e non partire per voli pindarici, altrimenti verrai interrotto.
8. Spiega mostrando, e non mostrare senza spiegare
Una bella immagine vale più di mille parole. Ma non è vero che parla da sola. Fai vedere quello che racconti, ma ricordanti anche di spiegare quello che fai vedere. Sembra lapalissiano, ma se tutti lo facessero non starei a raccomandarlo.
9. Non banalizzare troppo
Sembra strano, ma è così. Nella foga di semplificare i concetti, si rischia di banalizzarli. Se hai identificato un messaggio, semplifica ma fallo passare.
10. Comportati da fonte autorevole e affidabile
Non tirare troppo l’acqua al tuo mulino, sii obbiettivo/a e dai credito ai tuoi colleghi. Se ci sono altre opinioni scientificamente valide oltre alla tua, parlane. Se non sei l’unico ad avere pubblicato quel tale risultato, non fare credere il contrario. Non cedere alla tentazione di fare il tuttologo scientifico (ne conosci qualcuno anche tu eh?), ma non tirarti indietro a priori. Ricorda che se vieni sollecitato a commentare su argomenti di cui non sei esperto, spesso puoi portare comunque il tuo contributo critico di “scienziato”: il tale risultato è stato pubblicato? Il tale centro è conosciuto?
11. Cerca di usare i verbi attivi
“The cells were harvested… the current was measured…” nello stile della letteratura scientifica il verbo attivo praticamente non esiste. Lo stile riflette impersonalità ed imparzialità, caratteristiche positive nella ricerca. Ma quando parli con la gente, sei tu che hai raccolto le cellule e misurato la corrente. Hai mai sentito l’idraulico dire che la valvola del frigorifero è stata cambiata? Usa i verbi attivi e basta.
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Oggi diretta web l’incontro con i ricercatori italiani negli UK
Oggi (22-01) alle 15.10 ora italiana si terrà un incontro IN DIRETTA WEB all’ambasciata italiana a Londra con i ricercatori italiani che lavorano negli UK.
Parteciperanno Luciano Modica, Sottosegretario del Ministero Università e Ricerca Italiano, Giuseppe Silvestri, Rettore dell’Università di Palermo e delegato alla Ricerca della Conferenza dei Rettori Italiana (CRUI), il Luigi Biggeri, Presidente del Comitato di Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU).
Nella mia esperienza, di solito questi incontri istituzionali servono a poco, ma visto che c’è la diretta web è interessante seguire soprattutto cosa hanno da dire i nostri ricercatori che lavorano negli UK.
Vediamolo e ne parliamo. Pistuà
Incontro-Dibattito “Ricercatori e docenti nel Regno Unito: esperienze e prospettive”
LIVE STREAMING a questo link:
IL programma completo qui.
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Armenise Harvard: il bando
Milano-Boston, Gennaio 2007. Si riparte per Boston! Sta decollando in questi giorni l‘ottava edizione del concorso per giornalisti scientifici e già stanno arrivando le richieste di partecipazione.
I vincitori voleranno a Boston in giugno dove, assistiti dai responsabili editoriali della Harvard Medical School, intervisteranno importanti scienziati e visiteranno i loro laboratori. Studieranno criteri e tecniche statunitensi della comunicazione scientifica e avranno incontri con alcune redazioni. Parteciperanno inoltre, a Newport, Rhode Island, al Simposio annuale della Fondazione Armenise-Harvard.
Le Borse di Studio, finanziate dalla Fondazione Giovanni Armenise-Harvard e dall’UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici), copriranno le spese formative presso la Harvard Medical School, compresi i costi di viaggio e soggiorno.
Il concorso è riservato a giornalisti italiani, all’inizio o a metà della loro carriera, che lavorano in Italia, con adeguata conoscenza della lingua inglese, e una precedente esperienza di redazione di articoli scientifici e di copertura di notizie riguardanti la ricerca di base.
Le domande di partecipazione saranno valutate e selezionate da una commissione composta da esponenti della Harvard Medical School e dell’UGIS e infine sottoposte all’approvazione del Comitato dei Garanti della Fondazione Giovanni Armenise-Harvard.
Per informazioni e per ricevere il modulo di partecipazione, rivolgersi a:
Daniela Daveri – Selezione Borse di Studio Fondazione Giovanni Armenise-Harvard e UGIS, Tel. 02.2695 2018 – Fax 02.2692 6818 – e-mail ddaveri@giovannigallazzi.com
Il termine ultimo per l’inoltro del modulo di partecipazione e di tutti gli allegati è il 15 Marzo 2007.
Fonte: ARMENISE-HARVARD FOUNDATION