Divulgazione scientifica in 3 minuti
- 3 minuti di tempo
- Nessun audiovisivo (dimenticatevi le slides). Volendo, però, si possono usare strumenti musicali o altre diavolerie
- Obbligo di divertirsi ed essere divertenti
Creare un blog scientifico per il vostro istituto
Con i blog ormai diventati uno strumento affermato di comunicazione, l’idea di crearne uno per la propria istituzione di ricerca, grande o piccola, è allettante. Parliamo in questo caso di un corporate blog, cioè un blog istituzionale, per distinguerlo dai blog individuali. Non è una mera distinzione semantica: mentre un blog individuale ha lo scopo principale di far circolare le proprie idee, un corporate blog (così come tutta la comunicazione istituzionale) ha come obiettivo quello di servire da voce e per gli scopi di un’ organizzazione. Come vedremo, questo ha delle conseguenze pratiche da non sottovalutare.
Poniamo che lavoriate per un centro di ricerca, una fondazione, un istituto, dove esiste già un sito internet. Poniamo che siate un ricercatore con il pallino della divulgazione, oppure qualcuno a cui è stato affidato il compito di gestire il sito. Siamo tutti d’accordo che un blog, magari inglobato in un più classico sito istituzionale, può dare quel tocco di interattività in più, creando un link più diretto ed immediato con i lettori. Un blog può aiutare a coinvolgere il pubblico avvicinandolo al vostro lavoro (se siete un istituto o un laboratorio) e alla vostra causa (se ad esempio siete una charity impegnata in ricerca) e perchè no, ad aumentare la raccolta fondi.
Il linea di principio, quindi, un blog è una buona idea, e rappresenta una buona carta comunicativa, se giocata bene. Ma prima di lanciarsi a capofitto nell’impresa di creare un corporate blog scientifico, è importante valutare alcuni aspetti, per evitare di trasformare una promettente idea si trasformi in una Caporetto mediatica.
Un blog non è come un libro che si scrive ed è finita lì: ogni volta bisogna trovare nuovi argomenti, fornire nuovi stimoli e bisogna raccogliere il feedback dei lettori. Provate a farlo fra un esperimento e l’altro. Ma un blog è come un tamagoci: dimenticalo per un pò e si metterà a frignare; trascuralo ancora di più e esalerà l’ultimo respiro.Come lo spazio intorno alla terra, pieno di pezzi di satellite, il web è ingombro di detriti di blog messi in piedi troppo in fretta e in fretta dimenticati, non aggiornati, non letti, non commentati. Questi rottami non sono soltanto brutti da vedere, ma rischiano di fare perdere credibilità al resto del vostro sito. L’ esempio che segue forse chiarirà quello che intendo.
Mi è capitato di seguire da vicino la parabola del blog (anzi, dei blogs) di una organizzazione piuttosto importante: si trattava di blogs gestiti direttamente da ricercatori, con l’intento di raccontare la scienza “in diretta”, coinvolgere il pubblico, creare un link diretto con i lettori. L’iniziativa ( far parlare scienziati e pubblico) era lodevole, ma non aveva fatto i conti con alcune realtà dolorose.
La prima è molto semplice: i ricercatori hanno troppo da fare per riuscire a seguire un blog come si deve. Dopo i primi entusiastici post, i ricercatori-blogger si sono dovuti dedicare al loro core business: fare ricerca. Come risultato, i loro blog tacciono da mesi. Nessun nuovo post dai laboratori, nessun commento. Altri rottami nel cimitero dei blog abbandonati.
Questo case study, che ho voluto tenere anonimo (l’importante in questo caso è il peccato, non il peccatore) ci fa riflettere su una questione importante, da prendere seriamente in considerazione:
1) E’ una buona idea chiedere ad un ricercatore di diventare blogger per il nostro sito istituzionale?
Da una parte, i ricercatori rappresentano il profilo ideale di blogger: persone interessanti, curiose, che fanno un lavoro tutto da raccontare, alle prese con sfide quotidiane nelle quali coninvolgere i lettori. La scienza raccontata giorno per giorno, da chi la fa, potrebbe fornire materiale per un blog di grande impatto, e con enormi potenzialità.
Di contro, ci sono alcuni problemi pratici. Mettetevi nei panni di uno scienziato alle prese con esperimenti lunghissimi, con gli studenti, con congressi, domande di finanziamento con le beghe burocratiche e i grattacapi della accademia e poi ditemi dove piazzereste un blog nella vostra lista delle priorità. I ricercatori non dicono quasi mai di no. Quando chiederete loro di scrivere un blog aspettatevi la loro entusiastica adesione. Ma non aspettatevi che continuino a seguirlo regolarmente per più di qualche settimana.
La seconda questione riguarda soprattutto istituti e organizzazioni medio-grandi e non è necessariamente legata al coinvolgimento dei ricercatori, ma è ugualmente importante:
2) Quello che viene scritto nel blog sarà coerente con la politica comunicativa dell’organizzazione?
In questi tutti i corporate blog, prima o poi, si pone il problema di bilanciare le idee personali con le posizioni dell’organizzazione di cui il blog fa parte. In fondo, la possibilità di un dialogo senza filtri è uno dei motivi per cui i blog sono apprezzati dal pubblico. Ma non va dimenticato che un blog istituzionale diventa, che vi piaccia o no, la voce di un organizzazione. Potrete aggiungere al vostro blog tutti i disclaimer che volete, potrete sostenere all’infinito che ognuno è responsabile di quello che scrive, ma questo non cambierà le cose. Il blog ha il vostro logo e il vostro marchio, è un pezzo della vostra comunicazione istituzionale. Non è un caso che la storia recente pulluli di corporate blog -anche molto seguiti- chiusi in fretta e furia perchè ritenuti non appropriati alla policy dell’organizzazione. Per questo, è norma comune per tutte le organizzazioni creare delle linee guida per i propri blogger. Guardate ad esempio la policy elaborata da Feedster per i propri impiegati.
Mi spiego meglio con un esempio in campo scientifico. Poniamo che nel nostro blog istituzionale, gestito da un ricercatore, appaia un commento animalista, che critica l’uso degli animali da laboratorio. Oppure un commento che solleciti a dire la propria su argomenti scottanti (l’uso di cellule staminali embrionali, l’energia atomica, gli OGM, la trasparenza dei concorsi, l’ultimo provvedimento del ministro tal di tale, il rapporto fra scienza e religione etc…). Commenti del genere sono quasi inevitabili. Come reagirà il nostro blogger? Il blogger è a conoscenza della policy comunicativa adottata dall’organizzazione? Sosterrà le proprie idee sul blog, anche se queste contrastano con la policy dell’organizzazione? E’ in grado di misurare i rischi comunicativi di una propria frase , apparentemente innocente, riguardo a temi sensibili? Non è un problema da poco: un post avventato potrebbe annullare in un attimo mesi di attento e duro lavoro di un intero ufficio stampa.
Andando sul pratico, se volete reclutare come blogger ricercatori (o soggetti esterni), dovreste anche reclutare un coordinatore – qualcuno relativamente ferrato in comunicazione- che, se non altro, sia continuamente aggiornato sulla linea comunicativa dell’organizzazione e la condivida con i bloggers, e che possa monitorare regolarmente i contenuti dei blogs. Nella maggior parte dei casi, non si tratta di censurare, ma di evitare derive di cui gli stessi autori potrebbero non valutare la portata.
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Il mio consiglio
In definitiva, aprire un blog scientifico istituzionale è una buona idea, che va però valutata attentamente. La strada più sicura, a mio parere, è quella di coinvolgere i ricercatori non come autori principali del blog, bensì come co-autori, ad esempio chiedendo loro di commentare o approfondire alcuni argomenti, utilizzandoli per interviste o come soggetti di materiale audio o video. In questo modo avrete da loro la massima collaborazione e otterrete contenuti interessanti, senza procurare a loro e al vostro blog penose settimane di silenzio e senza esporvi al rischio di boomerang comunicativi.
La figura di autore principale, e di coordinatore dei blogs, dovrebbe essere affidata ad un professionista che abbia tempo e competenza da dedicare al progetto. Se c’è già un ufficio stampa o un ufficio comunicazione, è possibile identificare qualcuno al suo interno che se ne occupi. Altrimenti, si può ricorrere alla collaborazione esterna di un comunicatore, meglio se ferrato nella materia da trattare (che ci crediate o meno, non lo dico per fare pubblicità occulta alla mia attività, ma perchè alla prova dei fatti questa risulta la soluzione migliore).
Chiudo portandovi un bel esempio di questa strategia: Science Cafè, il blog della UCSF, curato dall’amico e divulgatore Jeff Miller.
Science Tunes #3: Questione di Curriculum
- Come parola, “laurea” suona bene in qualunque lingua. Quando però c’è da scrivere il fatidico curriculum in inglese, rimane il vecchio e italianissimo dilemma di come tradurre il sudato titolo. Buono a sapersi,Bachelor of Science (abbreviato B.S. per gli amici) non è solo l’equivalente anglosassone più simile alla nostra laurea scientifica ma anche il nome di una band drum&bass di San Francisco. Il genere non mi fa impazzire, ma dove lo trovi un altro gruppo con un nome così? Aggiudicato come primo pezzo della playlist.
- A proposito di laurea, viene in mente il ragazzotto di un certo famoso film, appena laureato, tentato e sedotto da una certa signora Robinson. Aggiudicato il vecchio pezzo di Simon & Garfunkel, dalla colonna sonora di quel celebre film, rivisitato ottimamente dall’insolito duetto Carmen Consoli + Elisa. Una chicca musicale che mette d’accordo tutti da Monfalcone a Catania.
- Mentre da noi sono tutti dottori, gli anglosassoni sono più inflessibili: puoi chiamarti dottore solo se hai una laurea in medicina o se hai un dottorato. Poi però, i dottori, quelli col dottorato, li chiamano tutti Ph.D., cioè Phylosophy Doctor, anche se sono esperti in genetica molecolare. C’è una spiegazione plausibile per questo, ma è sicuramente meno appassionante della storia d’amore e delusione raccontata in questa canzone di Jim Diamond, musicista scozzese ed ex leader degli anniottantissimi Ph.D. Se nel 1984 avevate l’età giusta e non avete ballato mai un lento con questa canzone, allora siete veramente dei nerd.
- Ci sono quelli che dei titoli se ne fregano, e fanno bene. E ci sono anche quelli che hanno fatto molta più strada raccontando di come la scuola proprio non la digerivano:
we don’t need no education/we don’t need no tought control
urlavano i Pink Floyd con tanto di coro di bambini. La canzone è celeberrima e non ha bisogno di presentazioni. Aggiudicata anche in una versione grunge firmata Alice in Chains.
- Scelte azzeccate, scelte sbagliate. Ma alla fine dei conti, dopo il liceo cosa si può fare? Aggiudicato, in chiusura, il vecchio Bennato e il suo pirata in vena di autocritica.
Una nuova pelle
Se siete lettori assidui del blog avrete notato un pò di trambusto nell’ultima settimana: nessun nuovo post, l’appuntamento con ScienceTunes saltato, e una email partita erroneamente che vi riproponeva vecchi post.
Tutto ciò è stato conseguenza del duro lavoro di redesign del sito, che è andata avanti nei ritagli di tempo. Ho cambiato piattaforma (da MT a WordPress) ma di questo probabilmente vi importerà poco.
Vi importerà invece sapere che il nuovo blog ha qualche utile funzione “web 2.0” in più, che spero apprezzerete.
- Una lista di post correlati (in fondo ad ogni post)
- La possibilità di rispondere direttamente ad un commento
- La possibilità di iscriversi per seguire via e-mail i nuovi commenti su post specifici
- Bottone “Share This” alla fine di ogni post. Utile se usate Digg o simili, oppure per segnalare l’articolo per email ai vostri amici.
- La possibilità di votare i singoli post (guardate le stelline alla fine di ogni post).
- Caratteri più grandi e struttura migliorata
Vi ricordo anche la possibilità di ricevere comodamente i nuovi post per email. oppure di abbonarsi al feed.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Scienziati ingrilliti
Giornali e web riportano di una inarrestabile tendenza all’ ingrillimento di politici e personaggi pubblici. Gli ultimi ad ingrillirsi, in ordine di tempo (secondo la stampa) sono stati la star Fiorello e un autorevole commentatore come Giovanni Sartori.Ci vorrebbe un grande cultore del dialetto toscano come il Borzacchini, o al limite Benigni, a commentare questo termine. Dalle nostre parti il termine “grillo” ha un preciso e inequivocabile riferimento anatomico che vi lascio indovinare, e il verbo “ingrillirsi”, anche se non esiste formalmente, evoca senz’altro l’idea di irrefrenabili fissazioni erotiche e virili gonfiori.Per questo, la prima volta che ho sentito parlare del dilagante ingrillimento mi sono un pò preoccupato, prima di capire che il termine si riferiva invece al noto comico genovese Beppe Grillo.Proviamo allora dare una definizione italiana della parola anche se c’è da giurare che -se non lo ha già fatto- la parola entrerà in qualche dizionario, insieme a quel pugno di neologismi che ogni anno stanno lì a giustificare l’ acquisto di una nuova edizione:
L’ingrillimento, inteso in senso peggiorativo, indicherebbe grossomodo la deriva verso una critica sommaria e vagamente populista in una brutta imitazione del Grillo originario (a scanso di equivoci diciamo subito che il povero Grillo non c’entra nulla e che assiste impotente al dilagare del grillismo).
Seguendo questa definizione, ci sono in giro molti scienziati ingrilliti: ad esempio quelli che si stracciano le vesti per la scarsa meritocrazia nei finanziamenti, ma solo quando i soldi li prendono gli altri.
Anche i blog tendono a ingrillirsi, ed è per questo che ne parlo qui. Non c’è da stupirsi: considerato che il blog del comico genovese è uno dei più seguiti del mondo, è abbastanza normale che l’ingrillimento faccia scuola e diventi una sorta di ispirazione. Nella blogosfera, ingrillirsi paga: un post che sollevi la giusta indignazione dei lettori può essere citato e segnalato migliaia di volte.
Sarebbe bello, invece, se un post anti-grillico come questo avesse un paradossale effetto ingrillante: quello di farvi indignare contro i facili grillismi, istigandovi a riempire questa pagina di commenti e a inviarla al maggior numero di amici, proprio come farebbe un vero ingrillito. Dipende da voi.
Darwin è Rock!- Speciale ScienceTune per il Darwin Day
I’m ahead/ I’m a man/ I’m the first mammal to wear pants/I’m at peace with my lust/I can kill cause in God I trust, yeah/Its evolution, baby!
Da sparare a tutto volume nelle cuffie di Ratzi, mentre medita su come fare a diventare preside della Sapienza.
Reperto # 2: evolution for Dummies.
E’ una filastrocca didattica, questa canzone che i californiani Third Eye Blind intitolano a Mr. Darwin himself:
the chromosomes divide/multiply and thrive/
And the strong survive/And the strong survive
Si consiglia di saltare la strofa che segue, dove un fantomatico astronauta fa cross-breeding con una scimmia. D’altra parte questo è alternative rock, non un libro di testo della Garzanti. E tutti i gusti son gusti.
Reperto # 3: l’evoluzione del genio.
Johann Sebastian Bach scrisse le trenta variazioni Goldberg a partire dalla stessa aria iniziale, cosa che già ne fa un piccolo compendio di evoluzione musicale. Come se non bastasse, il destino di queste note si incrocierà, secoli dopo, con quello di un giovane e allora sconosciuto pianista canadese, al secolo Glenn Gould, che nel 1955 scelse le oscure variazioni per il suo disco di esordio, con un successo straordinario. Ancora oggi quelle note, registrate in mono, fanno venire i brividi. Gould chiuse il ciclo poco prima di morire, nel 1981, registrando di nuovo lo stesso spartito. Ascoltate l’incredibile differenza fra le due versioni (quella che sentite è la prima aria) e ditemi se non sembra racchiudere tutta la breve ma intensa esistenza di quell’incredibile pianista.
Reperto # 4: l’estinzione dei classiconi.
ll vecchio Darwin ci ha insegnato che una specie sopravvive finchè non viene soppiantata da altre più adatte all’ambiente. La regola vale stranamente anche per i classiconi degli anni ’80: per quasi un anno (1983?) questo pezzo degli America girò così tanto che sembrava impossibile che dovesse scomparire dalle scene. Poi, un bel giorno, non si è più visto nè sentito, come i dinosauri. Survival, nome e non-omen: da fare ascoltare a chi pensa che le specie siano eterne e immutabili.
Reperto # 5: balle creazioniste.
Alla favola di Adamo ed Eva non crede neanche un sognatore come Max Gazzè. A cascarci ci sono rimasti soltanto quei simpaticoni americani che hanno messo in piedi il museo della creazione. Tra parentesi, il post dove ne parlavo è stato il più letto del blog. Forse dovrei parlare solo di quello…
Reperto # 6: and the winner is…
Il Banco del Mutuo Soccorso dedicò a Darwin un intero, omonimo album, peraltro bellissimo, che meriterebbe l’oscar di questa playlist. Peccato che di quel disco del 1972 non ho trovato nessun pezzo che posso farvi sentire legalmente. Accontentatevi di questa R.I.P., e se volete, dedicatela come augurio al museo di cui sopra.
ScienceTune- Scienza e Musica- #1- Down and out in space
- A rompere il ghiaccio e piegare lo spazio-tempo ci pensa il time warp di Tim Curry con il suo pelvic thrust that really drives you insane. Anche se lo avete già sentito e magari ballato mille volte- vecchi fanatici del Rocky Horror – qui lo ascoltate in una versione alternativa.
- Ormai siamo partiti e siamo soli nello spazio. Il guaio è che abbiamo troppo tempo per immalinconirci e riflettere su “tutta la scienza che non capisco/E’ solo il mio lavoro cinque giorni a settimana”, come sospirava ormai uno zillione di anni-luce orsono il Rocket man di Elton John.
- Un sacco di orbite più eccoci di nuovo sulla Terra ma la malinconia non se ne va, finché ci sarà gente come Chris Martin e i suoi Coldplay a raccontarci di quel Scientist che si lascia dietro tutto per il suo lavoro, anche l’amore, e quando se ne accorgerà sarà troppo tardi. “Nobody say it was easy“, canta Chris, nessuno diceva che sarebbe stato facile, e vorrei anche vedere.
- Tanto bella, quella di prima, che vale la pena ascoltarla anche in versione remake, quello della splendida Aimee Mann, quattro minuti e19 secondi in più per meditare se vale la pena o no rinunciare a tutto per l’amore del sapere.
- Ma il vero viaggio spaziale, quello dell’Apollo 11, ebbe come colonna sonora un altro pezzo malinconico. Le cronache tramandano che la BBC scelse questa Space Oddity e la triste storia del maggiore Tom, alias Bowie, nientemeno che come jingle sonoro per i collegamenti da Cape Canaveral. Era il 1969, uno di quegli anni che, alle cene dove vado io, ci si divide fra chi era già nato e chi no. Si dice che i produttori fecero uscire furbescamente la canzone proprio mentre l’Apollo scaldava i motori. Canzone furba, vecchia e bellissima.
- Meno, molto meno bello il rifacimento in italiano parolato da Mogol, e cantato in italiano dallo stesso Bowie: ragazzo solo, ragazza sola. Una chicca rara e bruttissima, ma all’epoca succedeva anche che Bowie cantasse in italiano i testi di Mogol. E vi risparmio un remake ancora più tremendo dei Giganti.
- Einstein non l’ha dimostrato, ma nello spazio tutti sanno che prima c’è la quaresima e solo dopo il carnevale. Allora, anche se di spaziale hanno solo il titolo. chiudiamo in allegria con la Champagne Supernova dei fratelli Gallagher e lo Space Cowboy di quei jazz-acidissimi di Jamiroquai, in versione live. Così ripassiamo anche un pò di chimica.
- Come nei migliori CD c’è il bonus track finale. I Placebo starebbero meglio in una playlist di farmacologi ( e non solo per il nome del gruppo) ma la loro Space Monkey (dal vivo) va benissimo anche qui.
La settimana prossima, eccezionalmente, festeggeremo il Darwin Day con una selezione moolto evoluta. Suggerimenti?
Arriva ScienceTunes, scienza e musica sul tuo blog preferito
Inizia da oggi ScienceTunes, una nuova sezione di Divulgazione Scientifica.itOgni due settimane, da oggi fino alla fine di internet, una selezione di brani a tema scientifico scelti e raccontati dal vostro blogger, appassionato di scienza e musica.Li potrete ascoltare per intero, legalmente e direttamente dal blog.Rock, jazz, italiana, classica. Tutti i generi, tutti i gruppi, famosi e meno, entrano nelle playlists di divulgazione scientifica.it. Buona musica e un diversivo per chi ama la scienza. Che volete di più? Ascoltate, commentate e proponete i vostri brani.Ascolta la prima selezione: Down and Out in Space.