Lettera aperta all’UGIS
I veri retroscena del caso Topazio
C’era da aspettarselo. Nella vicenda di Sonia Topazio, ex attrice di film erotici oggi finita in mezzo alle polemiche per la sua carriera fulminea ma poco trasparente a capo ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), la stampa si è accanita sull’unico particolare irrilevante, e cioè sul fatto che in relativa gioventù la signora era adusa a mostrare le proprie grazie in riviste e film scollacciati.
Prendersela con il rispettabilissimo passato artistico della Topazio, come se fosse una colpa, o una condizione ostativa al mestiere che fa oggi, è stupido, retrogrado e volgare. Però lo hanno fatto tutti: d’altra parte, come osserva una mia collega su Facebook, se non si punta la discussione sui filmini osè come si fa poi a illustrare l’articolo con le relative foto che portano tanti clic?
Dietro alle foto chiappose, tettose e culose ormai vecchie di venti anni che accompagnano quegli stupidi articoli, si celano domande serie che restano incredibilmente nell’ombra e che non hanno nulla a che vedere con il passato da attrice della signora in questione.
Intervistata dal Fatto Quotidiano, signora Topazio ha pubblicamente confermato la voce che nell’ambiente circolava da tempo, e cioè che , fresca di laurea in lettere e senza alcuna esperienza di comunicazione, sarebbe stata cooptata dall’INGV grazie alla “raccomandazione” (o “segnalazione” come lei la chiama) di un politico.
E’ bene spiegare che in giro c’è un certo numero di giornalisti scientifici, dotati di esperienza in comunicazione istituzionale e curricula di tutto rispetto, che ambiscono inutilmente al ruolo che la ex attrice ha ottenuto sull’unghia. Un ruolo precario e non certo strapagato, va detto, ma comunque di un certo prestigio e rilievo professionale. Che la signora Topazio si è vista assegnare senza che sul suo CV comparisse una sola riga di esperienza lavorativa nel settore.
Prima domanda seria: chi è il politico in questione, e quale tipo di rapporto intercorreva fra lui e la signora Topazio? Ed è legittimo che un politico influenzi in modo “informale” le scelte di un ente di ricerca?
Sull’identità del politico la protagonista ha la bocca cucita, ma da fonti affidabili nel giornalismo scientifico, fin da tempi non sospetti, si sente parlare di un nome grosso. Nessuno senza prove concrete può rischiare di infangare il nome di una persona basandosi solo su voci, per quanto affidabili, e io naturalmente non lo farò.
Il punto è che parliamo di una storia che , se si andasse a fondo, potrebbe coinvolgere qualche personaggio di spicco e addirittura influenzare i labili equilibri politici di questo paese. Ma questo naturalmente è un particolare secondario rispetto all’attrazione offerta dalle foto di nudo ormai polverose, targate Topazio.
A voler essere maligni, si può pensare che, finché la signora Topazio si terrà ben stretto il nome di questo fantomatico personaggio, avrà in mano un biglietto per restare al suo posto. O magari, cessato il polverone, per farsi “segnalare” per qualche lavoro ancora più ambito, magari in cambio del suo silenzio.
I sospetti aumentano quando, intervistata da un altro quotidiano la signora Topazio getta la classica cortina fumogena smentendo la sue stesse dichiarazioni «La storia del politico potrei anche essermela inventata per coprire chi mi ha veramente fatta assumere». Strategie da operetta che funzionano solo con la stampa disgraziata di questo paese.
Ma noi non siamo maligni, e se fra un po’ troveremo la suddetta signora a capo di qualche ufficio ministeriale, o a curare la comunicazione di qualche altro ente, sappiamo che sarà sicuramente grazie alla sua bravura e competenza.
Seconda domanda seria: qual è il ruolo del direttore dell’INGV di allora?
Parliamo di Enzo Boschi, presidente dell’INGV dal 2000 al 2011, e cioè di colui che, si suppone, abbia materialmente firmato l’incarico della ex attrice. In un paese normale, il prof. Boschi dovrebbe spiegare perché ha deciso di affidare tale incarico proprio alla signora Topazio, nonostante fosse, a quanto pare, priva dei ragionevoli requisiri professionalI. Ed è strano che fra tanti articoli pruriginosi corredati da foto in costume adamitico, nessuno si sia ricordato di questa cosa.
Fra le tante ipotesi, una potrebbe essere che il direttore Boschi abbia ceduto alle pressioni dell’anonimo politico evocato dalla signora Topazio, prendendo a bordo quest’ultima senza guardare troppo al suo CV. D’altra parte lo stesso scienziato ha dichiarato pubblicamente di non essere un cuor di leone, specialmente di fronte ai politici. “Anch’io ho fatto tutto quello che in genere si fa per fare carriera. Ho leccato il sedere quando c’era da leccarlo, ho assecondato, ho chinato la testa: non ho paura a negarlo“, ha dichiarato nel 2008 a La Stampa, aggiungendo: “Sono sempre stato gentile con i potenti perché sapevo che avrebbero potuto aiutarmi, come vedo che fanno i giovani di oggi.[…] anche con i politici bisogna avere sempre buoni rapporti.” Grazie professore. Una vera lezione di vita.
Terza domanda seria: finisce tutto qui?
Allo scoppio del “caso Topazio”, su Facebook si è scatenata una discussione accesa, ma molto utile, con altri colleghi che si occupano di divulgazione scientifica. Il punto è che è troppo facile ridurre la questione alla solita equazione ragazza procace e ambiziosa/politico potente/direttore conciliante, ammesso che questa sia la situazione che si è realmente verificata. Al contrario, il caso è emblematico di una situazione imbarazzante nella quale versano gli uffici stampa di molti enti di ricerca, dove i responsabili sono cooptati in base ad appartenenze, amicizie e parentele politiche. Questo potrebbe spiegare, tra l’altro, le performance comunicative tutt’altro che stellari di molti organismi di ricerca (e non solo pubblici).
Cosa dovremmo imparare da questa vicenda? Senza scadere in attacchi ad personam, non credo che dopo le dichiarazioni che ha pubblicamente reso la signora Topazio sia adatta a ricoprire un ruolo di comunicazione che, tra le altre cose, dovrebbe favorire la diffusione di valori scientifici sani e trasparenti. Non sono neanche sicuro che dovrebbe ancora far parte di una associazione come l’Ugis, che in teoria persegue gli stessi scopi.
Permettetemi di concludere con una sommessa nota personale. Da anni curo la comunicazione di organizzazioni e progetti di ricerca italiani e internazionali. E’ un lavoro che, insieme ad altri, porto avanti con passione ed entusiasmo, e che spero di continuare a fare per molto tempo. Non sono particolarmente gentile coi potenti, non ho leccato il sedere a nessuno e non ho mai avuto né cercato raccomandazioni politiche.
Sentire dire da Sonia Topazio o Enzo Boschi che questi sono gli unici modi per lavorare, voi non ci crederete, ma mi fa davvero incazzare.
Il Trimprob della discordia (ovvero: come odio difendere Report)
Il 13 Maggio Report ha intervistato l’inventore Clarbruno Vedruccio, presentandolo come uno dei tanti “cervelli” nostrani penalizzati dal sistema della ricerca italiano.
La vicenda riguarda il Trimprob, un apparecchio sperimentale per la diagnosi di alcune malattie, inclusi i tumori, inventato da Vedruccio. Perchè, chiedeva in sostanza Report, l’invenzione è stata finanziata e sviluppata da Galileo Avionica (azienda pubblica del gruppo Finmeccanica, leader mondiale in campo tecnologico) per poi essere abbondonata?
Ultimi giorni per il Premio Galeno
Springer-Verlag Italia ha annunciato l’organizzazione del Premio Galeno Italia 2012.
Due i bandi di gara: il primo per l’innovazione del farmaco riservato a molecole o a modalità di somministrazione e rilascio, in commercio da non più di tre anni, sviluppate da aziende farmaceutiche nazionali o multinazionali in Italia, e il secondo per la ricerca clinica o sperimentale condotta da giovani di età non superiore a 35 anni.
I candidati dovranno presentare la documentazione richiesta entro il 31 maggio 2012.
Tutte le informazione relative al premio sono riportate sul sito internet:
www.premiogaleno.com
Addio professore.
Il ricordo di un meeting Telethon, a Milano 12 anni fa. Il professore era ancora un giovanotto e io avevo ancora la mitica cintura con cui chiudevo il bauletto della moto quando era troppo piena. Un grande visionario. Un partigiano. Un gentiluomo affabile e modesto con cui ho avuto l’onore di lavorare.
Addio, professore.
Non solo Steve
Oggi il mio profilo di Facebook (sicuramente anche il vostro) è pieno di foto di Steve Jobs. La prematura morte di Jobs commuove un pò tutti. Anch’io d’istinto ho ripensato (e postato) la sua celebre frase “Stay hungry, stay foolish”, per poi vedermela riproposta da tutti gli altri, e in tutte le salse, sul web, perfino in calce a qualche email. I santini di Jobs sparsi qua e là nel cyberspazio suggeriscono che il compianto genio della Apple -forse suo malgrado- è destinato a diventare un’icona della cultura popolare, una specie di Che Guevara dell’epoca dot.com. Si discuterà sicuramente di questo in futuro. Ma ora non è di Jobs che voglio parlare.
Voglio parlare invece un signore che non ho mai conosciuto (purtroppo) e che difficilmente compare nelle bacheche di Facebook. Come Jobs, anche lui è morto in questi giorni dopo aver lottato a lungo, per tragica coincidenza, con lo stesso terribile male, un tumore pancreatico.
Quell’uomo si chiama Ralph Steinman Molti avranno sentito la sua storia raccontata di sfuggita la scorsa settimana: è lo scienziato premio Nobel per la Medicina morto poche ore prima dell’assegnazione dell’ambito riconoscimento. Insieme ad altri colleghi, il medico di origine canadese ha aperto un nuovo capitolo della biologia, scoprendo il ruolo delle cellule dendritiche, un pilastro del sistema immunitario.
Non ho da fare nessuna analisi massmediatica, nessuna critica più o meno velata ai meccanismi che ci fanno piangere a voce alta un geniale CEO o una rockstar, e allo stesso tempo ci fanno quasi dimenticare un uomo le cui scoperte salveranno vite umane, se non l’hanno già fatto. E’ così e basta. Non ha senso fare una classifica del lutto collettivo. Però nel giorno in cui Jobs monopolizza le nostre bacheche virtuali, nella mia metterò anche la foto di quello “sfortunato” premio Nobel. Un piccolo tributo per un uomo a cui non dobbiamo i nostri cellulari e i nostri computer, ma (forse, lo vedremo) molto di più.
Diventare giornalisti scientifici
Ero un topo di laboratorio.
Laurea in biologia, tirocinio, dottorato in un grande istituto di Parigi, tanta passione e qualche discreta pubblicazione scientifica.
Sembrava l’inizio di una rispettabile carriera accademica, finchè accadde qualcosa…
La conta dei nipoti
Non so quanto sia scientificamente fondato, ma un articolo su PlosOne di Stefano Allesina sta facendo discutere. Il ricercatore (che lavora negli USA) ha contato (e qui semplifico) quante volte gli stessi cognomi si ripetono nella stessa facoltà. Come sottolinea l’autore, il metodo non tiene conto di mogli, amanti e pupilli piazzati dal barone di turno fra le mura universitarie. Applicato all’Italia il risultato è ovviamente imbarazzante.
Ma c’era bisogno di sofisticati algoritmi per sapere che l’accademia italiana è in mano a baroni e termiti (come il resto del paese, d’altronde)?