Noioso bilancio annuale di un autore
- La domanda più spiazzante: “Dal Dna si possono prevedere le dimensioni del pene?”. Studente delle superiori a Cesena (la risposta nel video).
- La presentazione più difficile: Alle 4 di mattina (dopo il dj set di FrankieHi Energy) davanti a un migliaio di amici della notte piuttosto alticci. (Muse opening, Trento).
- La richiesta più inspiegabile: “Ti dispiace se ti facciamo qualche foto senza la maglietta?”. Milano, Photo-shooting per Wired.
- La recensione più bella: tutte, anche quelle negative (se un giorno ce ne saranno).
- Il commento più saggio: “Bel libro, ma dovevi metterci più sesso”. (I miei amici di Arezzo).
- 1 premio prestigioso e molte belle recensioni.
- 7 repliche del Dna show in tutta Italia, da Trento a Napoli.
- >20 presentazioni pubbliche del libro in giro per la penisola.
- Oltre 4000 persone incontrate direttamente (per lo più giovanissimi).
- Copie vendute: mhh. Domanda di riserva?
Ho messo il mio Dna in rete
da Wired Magazine Italia, Novembre 2013
Oggi bastano 99 dollari, un po’ di saliva e una provetta per avere la propria pagella genetica. Il nostro Sergio Pistoi racconta la sua esperienza di social networking genetico
Leggi l’articolo:
Pdf:
https://www.greedybrain.com/Media/DNA%20wired.pdf
Versione Web:
http://daily.wired.it/news/scienza/2013/11/18/mio-dna-facebok-genetica-023485.html
Atto di forza. FDA e 23andMe alla resa dei conti.
“Altrimenti ci arrabbiamo”. Il messaggio alla Bud Spencer era già nell’aria da un pò. E alla fine i federali si sono arrabbiati sul serio. La compagnia di genomica 23andme ha ricevuto ieri una warning letter dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente federale statunitense che vigila su farmaci e diagnostica. E’ un’intimazione a interrompere immediatamente la vendita delle batterie di test genomici che 23andme propone su internet per predire il rischio di numerose malattie. Secondo la FDA questi test rientrano nella definizione di medical devices , e come tali richiedono di essere autorizzati dall’ente. Non solo: l’agenzia federale considera molti di essi ad alto rischio per i consumatori (la classe III a cui si riferisce la lettera), e ha già espresso ripetutamente la volontà di vederci chiaro.
Quando la FDA considera “rischiosi” i test di 23andme si riferisce (in breve) alla possibilità che gli utenti potrebbero essere indotti a prendere decisioni mediche errate o affrettate in base ad essi. La richiesta di stop da parte dell’agenzia, che è una cosa seria, mette benzina sul fuoco riguardo alla questione dei rischi/benefici della genomica di massa. Faccenda che seguo da vicino da quando ho fatto analizzare il mio DNA proprio da 23andme, raccontando la mia esperienza in un libro e in uno spettacolo. Ecco allora qualche considerazione personale:
– Ad essere nel mirino della FDA non è tanto la qualità tecnica dei test, ma piuttosto l’interpretazione del dato grezzo che emerge dal nostro DNA. Ogni esame medico ha un margine di errore tecnico, l’importante è che sia accettabile. E anche se la diagnostica genetica è un’area un po’ grigia, i laboratori di 23andme hanno la certificazione federale CLIA richiesta per effettuare analisi, e la tecnologia che usano per analizzare il DNA è la stessa che si usa nei migliori laboratori. Il grosso problema è a valle: le stime di rischio genetico – anche quando si basano su dati seri e attendibili – sono probabilistiche e dipendono dal modo in cui sono calcolate. Si tratta di stime non validate clinicamente. E non è quasi mai sensato prendere decisioni mediche basandosi unicamente su queste probabilità. Questo la FDA lo sa bene, e anche 23andme, che infatti nei suoi disclaimer avverte i propri clienti al riguardo.
– Il fatto è che pur conoscendo i limiti, 23andme enfatizza in modo esagerato l’utilità medica dei suoi test, e utilizza in modo ambiguo la leva del marketing. Se vediamo gli slogan e i case histories presentati nel sito è facile pensare che nonostante i disclaimer gli utenti potrebbero essere indotti ad un uso errato delle informazioni. E questo non va bene.
– Supponiamo che il marketing di 23andme sia ambiguo e ingannevole (secondo me lo è). La FDA ha l’autorità per intervenire? Secondo 23andme, no. L’azienda sostiene infatti di vendere non uno strumento diagnostico (medical device) su cui la FDA avrebbe giurisdizione, bensì un servizio di lettura personalizzata del DNA che non necessita di alcuna autorizzazione. Ovviamente la FDA la pensa diversamente. Al di là dei paraventi legali, la questione resta. E non è banale: se io voglio usare un sito di genomica solo per curiosare nel mio DNA e incrociarlo con i dati disponibili (io l’ho fatto) è giusto che le autorità sanitarie mettano un veto, oppure mi costringano ad andare da un medico (che di solito, statistiche alla mano, non ne sa un granchè di genetica)? Il limite fra la tutela della salute pubblica e il paternalismo è evidentemente molto sottile. Ci torniamo fra poco.
– La lettera della FDA non era affatto inaspettata. I rapporti fra genomica di massa e autorità regolatorie sono sempre stati difficili e molti prevedevano un giro di vite nei confronti di questa tecnologia. Nonostante gli avvertimenti della FDA, l’atteggiamento di 23andMe è stato sprezzante: dopo 14 incontri, centinaia di email e dozzine di lettere ufficiali dal 2008 ad oggi l’azienda non ha aderito alle richieste delle autorità, ha ampliato la propria offerta ai consumatori, e addirittura intrapreso massicce campagne pubblicitarie. Questo è un grave errore che ha fatto infuriare la FDA, costringendola a usare il pugno pesante. Nel momento in cui scrivo, il sito continua a vendere i suoi kit e il mio profilo genetico è sempre lì al suo posto. Il comunicato stampa del sito è laconico. La compagnia della Silicon Valley (che ha Google fra gli investitori) ha deciso di giocare duro e continuare a non riconoscere l’autorità della FDA sul loro prodotto? Anche se avesse ragione, il suo atteggiamento è molto rischioso. Matthew Herper si chiede su Forbes se 23andme non si stia auto-distruggendo con questo comportamento. Probabilmente no, ma se mai fossero in ascolto, consiglierei loro di assumere un buon esperto di regulatory affairs, oltre ai tanti avvocati che già avranno sul libro paga.
– Esiste davvero il rischio che la gente prenda decisioni mediche errate e si faccia del male basandosi sulle informazioni di 23andme o di altre compagnie? Se ci basiamo sull’evidenza la risposta è meno drammatica di quanto paventato dalla FDA e altri. Un recente studio dello Scripps Research Institute (l’unico finora pubblicato) ha seguito più di 2000 clienti di genomica individuale senza riscontrare conseguenze rilevanti dal punto di vista medico o psicologico. Per quello che può servire, anche gli esempi che ho raccolto in giro da molti utilizzatori concordano con questa conclusione. In futuro, altri studi potranno dare risposte diverse. Ma il giudizio sulla genomica di massa non deve basarsi su preconcetti. E questo vale naturalmente anche per la FDA.
– Quanto peserà la decisione della FDA sul futuro della genomica di massa? Come ho già scritto, e come sostengono altri osservatori, vista in prospettiva la questione dei divieti è irrilevante. Anche se le pagelle di 23andme fossero bandite per legge, nessun paese democratico potrà impedirci di leggere semplicemente il nostro genoma. Già oggi posso usare i dati grezzi del mio DNA (un file che ho avuto da 23andme), caricarli su software come Promethease e interpretarli dal mio PC, senza passare dal sito. E fra pochi anni potremo leggere e confrontare in rete il nostro DNA grazie ad apparecchi low cost casalinghi, di cui oggi esistono vari prototipi. Più le tecnologie genetiche si democratizzano e entrano nelle nostre case, meno potranno fare le autorità per intervenire a torto o a ragione, per bloccare il loro uso.
[update 26-11-2013] Senza contare che le applicazioni mediche rappresentano solo un aspetto della genomica di consumo, peraltro minoritario: oltre il 60% degli utenti si indirizza infatti su servizi di genomica che riguardano la genealogia e il social networking genetico.
– E allora, che si fa? I rischi, ci sono, anche se meno drammatici di quanto appare. L’ intervento delle autorità può far sì che aziende come 23andMe si diano una regolata, anche se nel caso di pubblicità ingannevole forse la Federal Trade Commission sarebbe più titolata a intervenire rispetto alla FDA. Ma è evidente che la soluzione non sta nei veti sistematici. E neanche nell’atteggiamento paternalistico secondo cui dovremmo andare sempre dal medico per farci prescrivere un test del DNA (ignorando l’impreparazione di questi ultimi in tema di genetica, che approfondisco nel mio libro).
Dovremo invece imparare a usare questi nuovi strumenti in modo proficuo. Riconoscere che I nostri DNA diventano parte integrante delle scelte individuali e collettive. Capire che potremo farci le cose più utili e anche quelle più idiote, senza cedere alle isterie. In queste cose l’unico vero rischio è che il dibattito si sclerotizzi fra “pro” e “contro” mentre il mondo va avanti per la sua strada.
Image © Ilaria Gradassi/Sergio Pistoi
PS:Wired ha messo “in chiaro” un articolo dove racconto la mia esperienza con 23andme, uscito nel numero di Novembre.
Un autunno caldo caldo
Padova, Milano, Genova, Cagliari e sul web. Se vi trovate vicino ad uno di questi posti vi segnalo i mie prossimi appuntamenti di Ottobre e Novembre. Tutti gli eventi sono gratuiti. Spero di vedervi!
Cos’è la vita? Chiedetelo a Michael.
Cosa si intende per “vita”? Mica facile rispondere.
Se lo sceriffo vuole il tuo DNA
Due recenti decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti stanno facendo discutere. Si tratta di due cause diverse, senza alcuna correlazione giuridica fra loro, ma con un minimo comune denominatore: entrambe sono destinate a influire in qualche modo sul rapporto fra noi e il nostro DNA. La più recente, che non ho tempo di approfondire, riguarda la brevettabilità delle sequenze di DNA, con il caso della Myriad Genetics che meriterebbe un post a sé, non fosse altro che per raccontare l’altalena in borsa delle azioni di Myriad Genetics, di pari passo con le interpretazioni contrastanti della sentenza da parte dei mercati. Vi lascio solo questa immagine:
La decisione su cui mi soffermo risale invece al 3 giugno scorso. In essa, la Suprema Corte (sentenza Maryland vs King) ha stabilito che la polizia può legalmente prelevare e analizzare a scopo identificativo il DNA di chi viene arrestato per crimini gravi. Il DNA entra così a far parte a pieno titolo dell’armamentario identificativo a disposizione di qualunque stazione di polizia (e non solo dell’FBI), insieme alle buone vecchie impronte digitali e foto segnaletiche. Una pratica che fino ad oggi molti consideravano incompatibile con la Costituzione americana.
A riaccendere il dibattito arriva un articolo del New York Times dove si racconta che le polizie locali di tutto il paese da tempo accumulano database di DNA sempre più estesi, molti dei quali provenienti da sospetti di basso profilo. Spacciatori, ladruncoli o rapinatori che hanno accettato il in cambio di uno sconto di pena, pur non essendo accusati di crimini gravi, come prescrive la legge. E’ lecito pensare che chiunque, magari arrestato a torto per un’infrazione, possa vedere il proprio DNA catapultato in una banca dati della polizia. Non è sorprendente che in molti giornali la notizia sia stata assimilata allo scandalo datagate che imperversa oltreoceano, anche se l’accostamento è inaccurato.
Pur essendo un sostenitore della privacy, in particolar modo di quella genetica la vicenda raccontata dal New York Times non mi sconvolge particolarmente. Certo, l’idea di sputare in una provetta affinché il nostro DNA diventi un file nei computer delle questure può non essere piacevole, e si può non essere d’accordo sul principio generale della schedatura individuale. Ma anche le impronte digitali, quelle dell’iride e le foto-tessera che tutti noi depositiamo in prefettura quando chiediamo un passaporto, o lasciamo sui computer delle dogane, vengono già digitalizzate e inserite nei database della polizia. Passando al DNA il concetto non cambia. O almeno, non cambia finché la polizia si limita a raccogliere, come ha fatto finora, dati esclusivamente identificativi, analizzando zone del DNA estremamente variabili da un individuo all’altro, “impronte digitali genetiche” da cui non si ricavano informazioni biologiche e predittive.
Tutt’altro scenario si porrebbe se un giorno le autorità decidessero di utilizzare il nostro DNA per leggere la predisposizione alle malattie mentali, all’alcolismo, al comportamento antisociale, informazioni che si possono già ricavare da un campione genetico, ma in modo ancora troppo vago per essere utile. Questi abusi sono per ora ipotetici e forse per i limiti intrinseci della genetica lo saranno per sempre. Ma è certo che qualunque esame del DNA che vada oltre la mera identificazione non dovrà mai essere effettuato senza il nostro consenso, e la società dovrà vigilare affinché questa sia una regola assoluta.
Se si accetta il principio, è logico che anche lo sceriffo di contea, o la locale stazione dei carabinieri, vogliano attingere alle migliori tecnologie di identificazione, e il DNA è un metodo semplice, sensibile e sempre più economico.
L’ironia è che mentre ci preoccupiamo di cosa fanno i questurini con il nostro DNA, l’evoluzione rapidissima della genetica sta togliendo alle autorità costituite l’appannaggio di questo tipo di raccolta dati, mettendolo nelle mani di chiunque abbia un computer e un po’ di iniziativa.
Già allo stato attuale non esistono ostacoli tecnici per cui il sottoscritto, o chi legge questo articolo non possa raccogliere e analizzare il DNA di amici e conoscenti. Nel 2008 due redattori di New Scientistdimostrarono come questa impresa sia relativamente facile. Chiunque può ricavare un profilo genetico da chi, magari ignaro dell’esperimento, viene a casa a bere un bicchiere coprendolo inevitabilmente di minuscole tracce di saliva. Oggi bisogna ricorrere a siti internet specializzati e spendere qualche decina di euro a campione, ma gli apparecchi per l’analisi casalinga del DNA, di cui oggi esistono vari prototipi (come questo) sono destinati a cambiare le carte in tavola. Fra non molto un ragazzino sarà in grado di mettere in piedi una collezione (illegale) di profili genetici tale da fare concorrenza a quella di una stazione di polizia di media grandezza, sfuggendo facilmente a qualunque controllo.
Arriverà il giorno in cui, per usare le parole del New Scientist, vivremo perennemente come in una puntata di CSI? Andremo a cena dagli amici portandoci i bicchieri da casa? Avremo paura di stringere la mano al nostro assicuratore? Per diversi motivi che qui tralascio, ma che racconto nel mio libro sulla genomica di consumo, è improbabile che questi scenari catastrofici si verificheranno davvero.
Quello che conta, invece, è essere coscienti dei rischi. C’è un fatto ad esempio che tendiamo a sottovalutare, ma che gli esperti di sicurezza ci insegnano: i principali nemici della nostra privacy dobbiamo cercarli in noi stessi, nella nostra incapacità di gestire il flusso delle informazioni che condividiamo, più che negli altri. Esiste sempre la possibilità che qualcuno ci spii dall’altro, ma il più delle volte siamo noi ad esagerare. Se postiamo qualcosa di compromettente su Facebook e lo facciamo leggere a tutti, siamo noi i colpevoli, non il Grande Fratello.
Questa constatazione vale anche per la nuova frontiera della biotecnologia, il social networking genetico, un nuovo paradigma basato sulla condivisione del nostro DNA, di cui il sito 23andMe è l’esempio più noto. Chi liquida questi fenomeni come una moda passeggera è fuori strada. Si tratta di strumenti nuovi e potenti, che offrono prospettive straordinarie per la ricerca, la medicina e perfino per la vita sociale.
Focalizzarsi unicamente sui rischi e non sfruttare queste opportunità sarebbe sbagliato. Altrettando sconsiderato è buttarsi a capofitto in un social network, per di più genetico, senza riflettere su costi e benefici. Dovremo imparare a usare questi nuovi strumenti in modo proficuo: così come possiamo decidere di tagliare fuori i nostri amici di Facebook dalle cose più private della nostra vita, è possibile tutelare la nostra privacy genetica, condividere “in chiaro” solo le informazioni genetiche che sono utili per noi, e valutare i pro e i contro prima di mettere in rete i nostri cromosomi.
Mentre ci preoccupiamo (giustamente) di cosa fa la polizia con il nostro DNA, non dimentichiamo che il futuro dietro l’angolo è ancora più complicato, rischioso e promettente di quello che vediamo oggi. In una parola, molto più interessante.
Sergio Pistoi
Il DNA incontra Facebook vince il Premio Galileo 2013
Il 9 Maggio scorso il mio libro Il DNA incontra Facebook si è aggiudicato il Premio Galileo per la divulgazione scientifica 2013, considerato il “Campiello” del libro scientifico.
Bella, zio (partigiano).
Eccoli lì puntuali, come ogni 25 aprile. Lo so già come funziona: quei due mi si piazzano alle costole per tutto il giorno e non mi mollano, peggio di due venditori ambulanti di fazzolettini. Vogliono sapere cosa è successo, come va, che si dice, come stanno tutti. Cose così, fra parenti.
Quello più scapestrato, con il ricciolo ribelle, l’aria di uno che se l’è trombate tutte, è zio Spartaco. L’altro più serio è zio Giovanni: posato, la riga dei capelli perfetta, maestro di scuola. In quanto zii-fantasmi, morti da settant’anni sanno bene che non posso ignorarli. Hai voglia a scappare, infilarti di corsa sull’Intercity. Hai voglia a sistemarti nello scompartimento con le cuffiette a palla come faccio ora. Quei due ti si materializzano davanti come gli agenti di Matrix.