Addio a Paolo Bianco.
Layla, i miracoli non c’entrano.
Layla, la bambina inglese affetta da leucemia la cui storia sta facendo il giro del mondo, è stata trattata con successo grazie a “cellule ingegnerizzate” geneticamente. Un metodo che vale la pena di raccontare, perché – al netto degli inevitabili reportage miracolistici- è un esempio incoraggiante, speriamo a lieto fine, di quello che sarà la medicina molecolare dei prossimi anni.
Cerco di spiegarlo con una metafora che non piace neanche a me, ma aiuta a chiarire le idee. Mettiamo che un organismo malato sia come una macchina rotta. La medicina finora ha fatto passi incoraggianti nella cura di quelle malattie dove la macchina ha perso un pezzo per strada: significa che se c’è un gene che non funziona, in teoria è possibile sostituirlo inserendone una copia buona dall’esterno. Questa forma di riparazione si chiama terapia genica. Detta così sembra facile, ma non lo è, e infatti sono ancora poche le malattie curate in questo modo.
Ma la definizione di terapia genica (lett. curare con il materiale genetico) include anche un’altra possibilità: quella intervenire sui geni della cellula che funzionano, invece di inserirli da fuori. Se uno ci pensa, è il caso che si presenta più spesso: nella macchina rotta è più probabile che si debba modificare, mettere le mani nel motore o nella carrozzeria, piuttosto che aggiungere, magari cambiando una marmitta che si è persa in giro. Per le malattie è lo stesso: nella trasformazione tumorale, ad esempio, sono quasi sempre implicati geni che funzionano male o funzionano troppo (gain of function, in termini tecnici) mentre i loss of function, quelli che smettono di funzionare, per quanto importanti, sono una minoranza o l’eccezione. E comunque, se si vuole prendere davvero il comando di una cellula e fargli fare quello che vogliamo, piuttosto che aggiungere geni da fuori sarebbe meglio imparare a modificare quelli che già si trovano dentro e già fanno il loro sporco lavoro. I genetisti descrivono questa opzione con una metafora più letteraria, o se vogliamo cinematografica, e parlano di gene editing.
Purtroppo l’editing è stato sempre il tallone di Achille della terapia genica. Non si riesce a fare, è difficile. Non funziona. O almeno non funzionava fino a poco tempo fa. E qui entra in gioco la nostra Layla.
Per curare la leucemia di Layla i ricercatori hanno preso delle cellule immunitarie (di donatori) e le hanno sottoposte a gene editing per ottenere il risultato voluto: trasformarle in cellule-killer che attaccano il tumore e che, allo stesso tempo, sono immuni alla chemioterapia e non provocano rigetto. Il sistema usato è ingegnoso e un po’ lungo da spiegare qui, ma la novità è nell’approccio: se i risultati visti per Layla saranno confermati (un solo caso è incoraggiante ma non fa statistica) sarà forse il primo successo clinico di terapia genica che non si limita ad aggiungere geni, ma mette le mani nel motore del DNA praticando il gene editing. Se funziona, sarà anche una terapia facilmente applicabile altri pazienti come Layla, dato che le cellule-killer non provocano reazione immunitaria.
Il gene editing è un cambio di prospettiva straordinario che fino a poco tempo fa sembrava lontano. Layla sta bene ma per parlare di cura ci vogliono tempo, statistiche e molti altri casi. Soprattutto, la sua storia non è un miracolo, come si legge su Facebook e su alcuni articoli più o meno informati. E’ invece l’evoluzione naturale della terapia genica, una scienza giovane e dagli esordi difficili, frutto di decenni di investimenti e ricerca di base. I miracoli, per favore, lasciamoli a chi ci crede.
Il comunicato stampa del Great Ormond Street Hospital
La Ferrari del DNA: il genoma dei Sardi raccontato ai ragazzi
Un anno fa Sardegna Ricerche mi ha offerto l’opportunità di tenere un seminario sulla genomica di consumo davanti ad un folto gruppo di studenti cagliaritani insieme a Francesco Cucca, direttore dell’IRGB-CNR di Cagliari. Quel giorno ruppi le scatole a lui ed Andrea Angius, un altro ricercatore del gruppo, finché non mi portarono a fare un giro nel loro centro.
Volevo vedere i sequenziatori Hseq2000, che io chiamo affettuosamente “le Ferrari del DNA”. Ne hanno tre, costano 500mila euro ciascuno e li usano per studiare il DNA del sardi, uno dei soggetti più interessanti per i genetisti di tutto il mondo.
Di quella visita ho portato a casa la foto che vedete, oltre ad un paio di “vetrini” usati per la lettura del DNA).
In questi giorni il collega Andrea Vico ed io siamo di nuovo in giro per l’Italia in camper a parlare con gli studenti di DNA e biotecnologie. Durante il tour di Geni a bordo abbiamo mostrato quella foto e quei vetrini a (ormai) qualche migliaio di studenti. La descrizione delle macchina e i “vetrini” usati che mi ha dato Angius sono il pretesto perfetto per parlare ai ragazzi della nuova genetica.
Raccontiamo loro che quella macchina, appunto, è la “Ferrari” della genetica: si tratta infatti dell’apparecchio che legge il DNA più velocemente al mondo (il record potrebbe essere già infranto da un’altra macchina mentre leggete queste righe, ma l’effetto divulgativo rimane).
I ragazzi rimangono di stucco scoprendo che il leggi-DNA costa addirittura più di una vera Ferrari, e nonostante ciò in Italia ne abbiamo svariati esemplari. A Cagliari, ne hanno addirittura tre. Mostriamo loro il computer che sta sopra la macchina: il DNA diventa un flusso di dati che i ricercatori scambiano e confrontano su internet, fino ad arrivare alla genomica di consumo e alla possibilità di poter addirittura postare il nostro DNA su Facebook. In diretta su WhatsApp piovono ogni volta domande e commenti degli studenti.
Insomma, da quella visita non ho solo portato a casa un bel ricordo ma anche ottimo materiale per parlare di DNA, Sardegna e anche di eccellenza italiana. Qualche settimana fa il gruppo di Cucca ha pubblicato tre interessanti studi su Nature Genetics proprio partendo dai dati sul genoma sardo che è scaturito da quelle Ferrari del DNA. Sono felice di rivedere quella foto e di portare in giro nelle scuole d’Italia un pezzo così interessante della ricerca italiana.
Fotografa il tuo DNA e vinci!
VUOI VINCERE UNA BELLA SCORTA DI LIBRI? E LA MAGLIETTA DI GENI A BORDO? Posta una foto raccontando il “tuo DNA”, oppure (se sei uno studente geniabordo) ritrai un momento della mattinata passata con noi. Ricorda di taggare la foto con #geniabordo. Fra tutte le foto la giuria di Geni a Bordo voterà due supervincitori. Primo premio: 1 maglietta “geneticamente bastardo” e 10 libri a scelta dal catalogo Marsilio Editori/Sonzogno. Secondo premio: 1 maglietta e 5 libri a scelta dallo stesso catalogo. Posta la foto su Facebook, Instagram o Twitter ma ricordati sempre di aggiungere il tag #geniabordo in modo che possiamo trovarla. La gara è aperta a tutti e si chiude il 24 Ottobre a mezzanotte quindi affrettati!
www.geniabordo.it
http://www.facebook.com/geniabordotour
DNA e Biotecnologie: il futuro è già qui. Al via il Geni a Bordo Tour 2015.
Eccomi con Andrea Vico in posa plastica prima di salire sul Camper della Scienza di Geni a Bordo, un’iniziativa unica nel suo genere, ideata da me e Andrea e realizzata anche quest’anno con la collaborazione di Farmindustria.
Dal 9 al 20 ottobre viaggeremo in camper portando nelle scuole superiori di nove città la nostra conferenza-spettacolo multimediale sul DNA e le biotecnologie. Il 9 ottobre la prima è a Firenze. Oltre 2mila studenti saranno coinvolti in conferenze multimediali, esperimenti e da quest’anno, incontri con i protagonisti del biotech italiano che parleranno con i ragazzi del “mestiere” di ricercatore, un tema di particolare interesse per chi si prepara alla scelta universitaria.
Dopo il successo e le soddisfazioni del primo tour, che si è chiuso nel 2014 con numeri davvero importanti, per quest’anno abbiamo lavorato ad una formula divulgativa più ricca e, speriamo, ancora più coinvolgente. Come sempre, e come ci viene naturale, useremo esempi divertenti e riferimenti culturali pop per trasportare nel quotidiano idee scientifiche complesse. Un video dove Snoop Dogg, il famoso rapper, si sottopone ad un test del Dna, stimola la discussione nelle scuole molto più di molte parole. Mostreremo il mio Dna, che ho fatto decodificare su internet, un’aspetto che suscita sempre interessanti dibattiti. Abbiamo potenziato la nostra pagina Facebook con notizie e curiosità dal mondo della scienza e contest dove i partecipanti potranno vincere libri, magliette e gadget a tema scientifico.
Entro la fine dell’anno terremo anche un webinar (seminario interattivo sul web) a cui gli istituti di tutta Italia potranno partecipare gratuitamente.
Questo l’itinerario del tour.
Geni a Bordo 2015 sul Corriere Salute
Seguiteci su Facebook: www.facebook.com/geniabordotour
Info: www.geniabordo.it
Twitter: #geniabordo
La genetica del gusto: una “pillola di scienza” a Expo 2015
Esiste il gene del sommelier? Cosa c’entra il DNA con il modo in cui apprezziamo i sapori? L’ho raccontato il 13 Luglio scorso a Expo 2015 (invitato dal Padiglione Intesa San Paolo per l’evento Pillole di Scienza) nel modo più semplice: sottoponendo il pubblico ad un rapido test del gusto.
De gustibus non est disputandum , dicevano i latini. E’ vero. I gusti non si discutono. Ma con il DNA forse un po’ si prevedono. Di seguito il video del mio intervento (gli addetti ai lavori riconosceranno fra il pubblico anche noti scienziati che si prestano al divertente test, ne approfitto per ringraziare tutti) :
[se il video non fosse visibile per email, questo è il link diretto di youtube]
Vi consiglio anche di guardare il video integrale dell’evento, con gli altri interessanti interventi di Roberto Natalini (CNR), Marco Costantini (WWF), Nadia Pinardi (Università di Bologna) e Nicoletta Pellegrini (Università di Parma).
La scelta di Jolie e i limiti dell’empowerment genetico
Dopo la mastectomia preventiva di due anni fa, Angelina Jolie-Pitt racconta oggi sul New York Times la sua seconda, difficile decisione: quella di di farsi rimuovere le ovaie e le tube di Falloppio. Era una mossa prevedibile, considerato il tipo di mutazione e la sua storia familiare (chi ha seguito i miei interventi e il nostro spettacolo sul Dna ricorderà che lo avevo anticipato raccontando il caso della celebre attrice). La rimozione delle ovaie, e la menopausa forzata che ne è scaturita, è stata una scelta ancora più ardua rispetto alla mastectomia e ci è voluto tempo per valutarla, racconta la Jolie. Il rischio di un tumore ovarico nel suo caso arrivava al 50%.
Che ci sia o no la mano di un ghostwriter, l’ op-ed di Jolie sul New York Times, così come il precedente di due anni fa, sono esemplari per la chiarezza, l’umanità e l’equilibrio del racconto. Anche se non lo nominano esplicitamente, entrambi i pezzi insistono sull’ idea di empowerment, particolarmente radicata nella cultura americana. Knowledge is power, sapere è potere, è un concetto spesso legato alla medicina predittiva, e non a caso la Jolie ha scelto proprio questa frase come chiusa del suo articolo. Ironicamente, knowledge is power è lo stesso slogan che, brandito da aziende di genomica diretta al consumatore come 23andme, ha fatto infuriare la Food Drug Administration (FDA) che nel 2013 ha imposto a 23andme lo stop sulla commercializzazione dei test predittivi sulle malattie.
C’è una differenza fra l’empowerment genetico di Angelina Jolie e quello che fa gridare allo scandalo la FDA? Possiamo riassumere un dibattito articolato tracciando un confine pragmatico chiaro a tutti: sapere è potere quando il risultato indica un rischio chiaro e, soprattutto quando serve a prevenire, limitare o curare una malattia. Se vengo a sapere che una serie di varianti genetiche mi aumenta del 20% il rischio di avere il tumore alla prostata non mi serve a niente, e rischia di sprofondarmi inutilmente nell’ansia. Se scopro di avere il 70% di possibilità di contrarre il Parkinson (esistono mutazioni rare che danno questo tipo di rischio) non mi aiuta a evitare il problema, perché oggi non c’è nessuna prevenzione per quella malattia. La maggior parte dei risultati forniti e pubblicizzati dalle aziende di genomica personalizzata sono di questo tipo: abbastanza inutili, perché quasi tutte le malattie che ci colpiscono sono complesse e quindi con un rischio genetico difficile da stabilire. Oppure il rischio è chiaro ma non c’è prevenzione, come per il Parkison.
Quello di Angelina Jolie è invece uno dei rari casi dove, oggi, sapere è potere. La sua mutazione (in un gene che si chiama BRCA-1) e la sua storia familiare indicano un rischio chiaro e inoltre esistono opzioni, difficili quanto vuoi, per limitare il rischio. Per chi come Angelina ha un rischio genetico di tumore che sfiora l’80%, rimuovere i seni e le ovaie è una scelta per riportare alla norma le possibilità di sopravvivenza. E’ l’unico modo per non giocare alla roulette russa. Si tratta di casi rari: se sommiamo la mutazione di Angelina con tutte le altre oggi conosciute, arriviamo a spiegare meno di un caso di tumore alla mammella su 10, lo stesso per quelli alle ovaie. Insomma, la maggior parte delle donne non troverà mai nel proprio DNA un rischio genetico chiaro per queste malattie. Ma per chi ce l’ha, sapere fa la differenza.
Sui limiti dell’empowerment si giocherà il futuro della medicina predittiva, che oggi oscilla pericolosamente fra l’entusiasmo incondizionato e un terrore altrettanto ingiustificato. Tempo fa, una delle migliori genetiste specializzate in tumori mammari mi ha raccontato quanto sia difficile trovare un equilibrio fra i due estremi. Sono tante, troppe le donne con una storia familiare di tumore che per paura o ignoranza (spesso anche del medico curante) non si avvalgono di un test genetico che potrebbe fare la differenza. E ogni volta che nei miei interventi introduco la storia di Angelina Jolie, nei volti delle ragazze di ogni età e nei loro commenti leggo spesso paura, quasi ostilità verso una tecnologia che, invece di risolvere (non è questo che deve fare, la medicina?) aggiunge il dilemma di una scelta difficile.
Eppure dobbiamo abituarci: la medicina offrirà sempre meno soluzioni e sempre più opzioni che starà a noi esercitare o meno. L’empowerment non è qualcun altro che decide per noi.
“Queste scelte sono parte della vita, non cose di cui avere terrore,” dice giustamente Angelina Jolie. Il fatto che sia ricca e famosa non cambia le cose, perché le stesse opzioni mediche sono disponibili a tutte le donne dei paesi industrializzati con una storia familiare simile alla sua. Non tutte dovranno fare la stessa scelta radicale, anche se personalmente e razionalmente la condivido. Si può decidere per interventi meno invasivi, pur sapendo di prendersi un rischio maggiore. Si può scegliere consapevolmente di non disinnescare la roulette russa. Ma tutti devono sapere che esiste la possibilità di una consulenza genetica appropriata. Morire per ignoranza non è un’opzione accettabile.
25-2-2015. Modificato il primo paragrafo: il rischio di tumore ovarico con brca-1 è del 50% non 75%.
© Sergio Pistoi 2015
23 and us- intervista a Radio3 Scienza
Radio 3 Scienza 10/02/2015
Tu mi dai un campione di saliva e io ti vendo i dati genetici che contiene: per esempio, le malattie a cui sei predisposto. È quello che offriva la società 23andMe, finché la Food and drug administration non ha posto il veto su questo servizio negli USA. Ora l’azienda americana ha concluso un nuovo affare con il colosso farmaceutico Pfizer: 60 milioni di dollari in cambio dei dati genetici di 800.000 persone, come ci racconta Sergio Pistoi, giornalista scientifico, biologo molecolare e autore di Il DNA incontra Facebook (Marsilio 2012). Ma come si interpretano questi dati e come possono essere utilizzati per promuovere la salute delle persone? Lo chiediamo a Francesca Torricelli, direttrice del settore diagnostica genetica presso l’Azienda ospedaliera universitaria Careggi.
Al microfono Roberta Fulci
(fonte: Radio3Scienza)
Ascolta il podcast!