MicroRNA: i “disturbatori” da Nobel
Cosa sono i microRNA la cui scoperta ha valso il Premio Nobel per la Medicina 2024 a Victor Ambros and Gary Ruvkun?
Anzitutto devi sapere cosa è l’RNA messaggero (mRNA): il cugino più famoso e grande dei microRNA, perché è su quello che questi ultimi agiscono.
Domanda personale: se tu avessi un enorme computer in una stanza e dovessi portare un file in un’altra che faresti?
Esatto: lo trasferisci su una chiavetta. L’mRNA messaggero è l’equivalente chimico della chiavetta per trasportare file genetici (informazione) dai cromosomi al resto della cellula, dove i file vengono tradotti, ad esempio, in proteine. Non a caso si chiama “messaggero”. Questo perché i cromosomi sono come uno di quegli antichi computer di una volta che occupavano un’intera stanza: sono pieni di informazione ma sono sono grandi. Un cromosoma è migliaia di volte più grande della più grande apertura che esiste nel nucleo. Quindi da lì non esce, e infatti ci pensano i messaggeri. Ogni mRNA è una copia fedele del pezzettino di DNA che lo codifica, nel senso che contiene la stessa sequenza di lettere. Fin qui siamo nel programma di Scienze delle medie.
E invece i microRNA che sono? Stesso principio: si tratta di chiavette come sopra, codificate dal DNA che sta nei cromosomi, ma molto più piccole (per questo si chiamano “micro”). Per capirci, un microRNA (abbreviato miRNA) tipicamente è lungo qualche decina lettere, un mRNA migliaia.
In un microRNA non ci sono abbastanza lettere perché la cellula ci costruisca una proteina o qualunque altra cosa. Che ci si fa con queste “bricciche” di informazione genetica? A che servono?
E’ la domanda che a partire dagli anni ’80 si sono fatti Victor Ambros and Gary Ruvkun, i due scienziati americani che li hanno scoperti e oggi sono stati insigniti del Premio Nobel per la Medicina. All’inizio erano solo loro a chiederselo: trovarono per caso uno di questi microRNA la prima volta nel genoma di un verme e diciamo pure che la comunità scientifica non se li ca*ò più di tanto.
Ma non si diedero per vinti e trovarono altri miRNA che erano molto conservati durante l’evoluzione: in pratica i microRNA ce l’avevano tutti, dalle spugne all’Uomo, e quindi a qualcosa dovevano pur servire. La comunità scientifica cominciò a guardarli con più interesse e rispetto e alla fine si è capito qualcosa sul loro funzionamento.
Cosa fanno? La risposta breve è: i microRNA sono i “disturbatori” dei loro cugini più grandi mRNA. Le loro brevi sequenze ricalcano le stesse sequenze che si ritrovano in alcuni mRNA (in gergo: sono complementari ad esse). Quando si parla di RNA e si dice che due sequenze sono “complementari” significa che queste sequenze si “azzeccano” tra loro, formando una doppia elica, mentre l’RNA è a elica singola (anche questo se hai studiato alle medie lo dovresti sapere). E’ una questione chimica, anzi, biochimica.
Quindi, ad esempio: hai un mRNA bello pronto che sta per essere trasformato in una proteina. Ma arriva un microRNA che si azzecca alla sequenza e forma una doppia elica, bloccando tutto. E’ più complicato di così, ma ti dà un’idea di come i microRNA fungano da modulatori dell’attività degli mRNA, e quindi dei geni che li codificano. E’ un altro modo ingegnoso che l’evoluzione ha escogitato per aumentare la complessità del genoma, usando però sempre lo stesso macchinario: quello che produce gli mRNA produce anche i microRNA che all’occorrenza modulano il loro funzionamento.
Perché Nobel per Medicina e non Chimica? Perché si è scoperto che quando i microRNA sono difettosi, sono guai. Questi pidocchini del genoma modulano infatti fenomeni fisologici e patologici importantissimi ,tra cui i tumori.
Ora sai tutto sui microRNA!
No, non è vero. Ora conosci un miliardesimo di quello che potresti sapere (io che faccio il Biologo molecolare da 30 anni ne so forse un millesimo). Ma almeno puoi convincerti che in un minuto si impara tutto perché oggi è così, e poi stasera puoi fare bella figura con gli amici.
© Sergio Pistoi
Bianca Balti, Angelina Jolie: cosa può insegnarci la loro storia.
La vicenda di Bianca Balti, la famosa e amata modella oggi alle prese con un tumore ovarico, dovrebbe forse riaprire un dibattito sulla gestione – soprattutto comunicativa- delle pazienti portatrici di mutazioni BRCA1.
Queste predisposizioni genetiche, come altre, le ho incontrate spesso nel mio lavoro di biologo molecolare e di comunicatore, scrivendone anche nei miei libri. Si tratta di mutazioni rare del DNA, che rappresentano una percentuale molto minoritaria di tutti i casi di tumore, ma che predispongono fortemente a sviluppare un tumore della mammella e/o delle ovaie (e in minore misura del pancreas). Per “fortemente” parliamo di un rischio che arriva al 40 e fino all’80 per cento di sviluppare uno di questi tumori – a seconda del tipo preciso di mutazione e della storia familiare, quando il rischio nelle donne senza la mutazione è di molte volte più basso.
Qualche anno fa Bianca Balti (che si curerà, e a cui va naturalmente l’augurio di una remissione il prima possibile) condivise con il pubblico la scoperta di questa mutazione nel suo DNA, la sua operazione di mastectomia – l’unica soluzione per limitare efficacemente il rischio di tumore al seno in questi casi- e la decisione di rimuovere anche le ovaie.
Una storia che per analogia ricorda quella di Angelina Jolie, l’attrice che anni prima aveva deciso di rimuovere seni e ovaie dopo aver scoperto di avere mutazioni nello stesso gene. Non sappiamo il motivo per cui Balti non abbia rimosso anche le ovaie – come aveva intenzione di fare- ma è una sua decisione e non siamo qui per sindacare o giudicare.
Quello che sappiamo è che, purtroppo, con un rischio di tumore del 40% o più dovuto alla mutazione BRCA1, attendere può essere come tirare una monetina nella lotteria dei tumori. Gli esperti oggi sono piuttosto concordi nel consigliare la rimozione il prima possibile di seni e ovaie alle portatrici di queste mutazioni, considerata anche la possibilità di congelare gli ovociti prima della rimozione e quindi poter comunque procreare.
Fermo restando che la scelta è personale, la mia impressione , almeno rispetto ai casi che conosco, è che questo messaggio non sia comunicato con sufficiente forza o chiarezza.
Credo che tutte le donne con questa mutazione dovrebbero aver molto chiaro il rischio che corrono rimandando queste procedure, e la mia impressione – al di là di questo caso pubblico- è che per varie ragioni questo rischio non venga comunicato o percepito nella maniera corretta.
Andrebbe inoltre preso in considerazione il bias di avversione alla perdita (preferisco irrazionalmente evitare un danno immediato anche se ne rischio uno più grande in futuro) che è sempre in agguato per tutti, specialmente quando si tratta di decisioni difficili come queste, in una situazione di ovvio stress. Quando prevedibili bias cognitivi remano contro, non basta dare l’informazione ma bisognerebbe anche lavorare su quelli: solo così una persona può prendere decisioni davvero consapevoli e razionali.
E ancora a monte della diagnosi: conosco personalmente donne la cui storia familiare è altamente suggestiva di queste mutazioni ma che per vari motivi (paura dell’esito, paralisi decisionale, ma soprattutto scarsa informazione e aiuto da parte dei medici curanti) non eseguono il test, prendendosi un rischio ingiustificato sulla propria vita e confidando nei controlli periodici.
Sia chiaro: i controlli periodici sono importanti ma le mutazioni BRCA sono una brutta bestia. Conosco più di una persona con queste mutazioni che da un controllo negativo si è ritrovata l’anno dopo con un tumore avanzato e tutto lascia pensare che Bianca Balti sia tra esse. Confidare nei controlli in questi casi non è – a mio modesto avviso- una scelta prudente.
Ripeto: non sappiamo perché Balti abbia tardato a operarsi ma il punto è dare un messaggio chiaro a tutte/i in modo che siano consapevoli dei rischi, che per queste mutazioni sono molto alti. Chi ha una storia familiare di tumore mammario e/o ovarico (madri, zie, sorelle) dovrebbe chiedere una consulenza genetica (si fa alla ASL) ed eventualmente sottoporsi al test genetico che si fa con un normale prelievo di sangue (o anche saliva).
E chi non ha una storia familiare di questi tumori? Normalmente non è indicato un test, dal momento che le mutazioni BRCA sono rare nella popolazione e quelle de novo (nuove, non presenti nei familiari) sono ancora più rare. Tuttavia, non è affatto una cattiva idea sottoporsi a consulenza genetica (eventualmente seguita da un test) in caso di tumore mammario prima dei 40 anni. Questo perché la storia familiare non è sempre certa e nel caso di famiglie con poche donne il caso può ingannare.
Secondo Il National Cancer Institute una donna con tumore mammario prima dei 40 anni ha 1 probabilità su 10 di avere mutazioni BRCA1. Per alcune popolazioni come gli Askenaziti la probabilità di mutazioni è anche più alta. Un test genetico oggi costa (o dovrebbe costare) relativamente poco e dovrebbe essere più un ostacolo insormontabile.
Ancora una volta la buona comunicazione è fondamentale, e bisogna comunque ringraziare tutti i personaggi pubblici che condividono le loro storie e contribuiscono al dibattito serio sull’argomento.
Parità di genere tra relatori: il mio DECALOGO
Negli ultimi anni ho avuto il piacere di coinvolgere e ospitare oltre 200 relatori dal mondo della ricerca negli incontri con le scuole (spesso insieme al collega Andrea Vico e il nostro progetto Geni a Bordo). Ben più della metà sono donne, da noi scelte e invitate perché erano le persone più adatte a parlare in quel contesto, per la loro esperienza e capacità e sicuramente non in base ai loro cromosomi. Alcune di loro leggeranno questo post e le ringrazio ancora per tutto quello che hanno portato e trasmesso agli studenti.
Le domande dei ragazzi e delle ragazze sono ovviamente sempre l’ingrediente più saliente di questi incontri. In un’occasione, ad esempio, una studentessa chiese alla relatrice (impegnata nella ricerca farmaceutica) come gestisse con il suo capo il fatto di essere donna.
“Sono io il capo,” rispose lei sorridendo e demolendo in un secondo secoli di pregiudizi che albergano purtroppo anche nella testa delle ragazze.
Ho fatto questo esempio per mostrare la potenza del role-model, quando parte da una testimonianza vera e diretta, e per introdurre senza retorica e moralismi perché in ogni evento pubblico sia utile avere panel il più possibile gender-balanced.
La mia personale opinione, affinata in 25 anni di esperienza, è che:
a) un evento divulgativo o culturale ben fatto abbia anzitutto l’obiettivo di presentare la realtà in modo accurato;
b) l’adeguatezza degli speaker (competenza e capacità di coinvolgere) sia il criterio fondamentale da seguire nella scelta.
Di seguito qualche suggerimento su cosa fare ed evitare quando si è invitati a parlare o si organizza un evento.
1) Un panel di soli uomini è da evitare anzitutto perché proietta quasi sempre un’immagine distorta della realtà. ll messaggio implicito per chi guarda è che non hai trovato (o non ci sono) donne adeguate a trattare pubblicamente il tuo tema. Nella mia esperienza, è molto raro che questa carenza di talenti femminili si verifichi nella realtà.
2) Se siete invitate/i ad un evento (o ne organizzate uno) con un chiaro eccesso di uomini, prima di dare l’OK è importante chiedersi se tale composizione offre un’immagine realistica dell’ eccellenza in quel campo. Davvero non ci sono donne adatte a parlare in quel panel? E’ raro che la risposta sia negativa- e in caso contrario quel settore ha forse un problema di fondo che magari vale la pena discutere. Molto spesso invece si tratta di pregiudizio sessista che viene messo impudentemente in piazza creando una potenziale minaccia per l’immagine di chi lo organizza. Oltre naturalmente al mancato guadagno causato dalla rinuncia alle competenze di una persona che magari avrebbe arricchito la discussione.
3) Mai sottovalutare la potenza del role-model, specialmente in un contesto divulgativo e specialmente con i più giovani. Se ti vengono proposti modelli sempre lontani da quello che sei, ti convinci che quel mondo non ti appartiene. Anche per questo la diversità dei relatori è strategicamente utile a raggiungere lo scopo, oltre che una corretta rappresentazione della realtà.
4) Un buon approccio per un panel ben riuscito è pensare sempre e comunque alla persona migliore che possa parlare in una determinata occasione e non concedere eccessivo spazio agli equilibri istituzionali. Di solito ci si ritrova automaticamente con un panel sufficientemente variegato senza farsi troppe paranoie. Almeno, questo è il mio approccio e finora ha funzionato.
5) Mai invitare una persona non adeguata solo per riempire una quota: è un errore, e se la persona non è adatta non farà che rinforzare stereotipi negativi. Purtroppo lo vedo fare spesso.
6) Cosa fare se sono disponibili sono uomini o solo donne? Non è mai bello da vedere un panel mono-genere (trovo che neanche i panel di sole donne siano motivo di vanto) ma non è sempre un dramma se la tua storia e reputazione giocano a favore .Gli eventi sono soggetti a limitazioni logistiche e può succedere anche agli organizzatori più attenti di riuscire a coinvolgere solo uomini o donne. Ricordo almeno un’occasione in cui ho invitato tre relatrici che erano però impegnate e mi sono ritrovato con un panel molto sbilanciato al maschile. In questi casi sono i precedenti e la reputazione a fare la differenza: se è facile verificare che organizzi gli eventi al meglio, e senza guardare il genere, una deviazione statistica viene interpretata per quello che è. Ecco perché è importante, specialmente per un’istituzione, stabilire un rapporto di fiducia con il pubblico che sia basato su elementi reali e nel tempo, e magari rivolgersi per l’organizzazione a gente capace e di esperienza. E ovviamente preparare tutto in anticipo in modo da avere più tempo per coinvolgere gli ospiti giusti. Non è facile farlo capire a chi di dovere.
7) Se proprio vi ritrovate con un panel mono-genere cercate almeno di affrontare l’elefante nella stanza e chiarire subito, col pubblico, che è stato un caso e non un’abitudine, mostrando così di esservi posti il problema.
8) Una diversity artificiale e geneticamente modificata – quegli eventi dove si invita la gente in base a tutto tranne che alla competenza- rischia di essere ancora peggio di una non-diversity fatta in buona fede, magari per ragioni puramente logistiche. Questa è la mia personale opinione, che magari non piacerà a tutti.
9) Se invito una donna a moderare un panel di soli uomini rimedio al problema? E’ una situazione che si vede spesso. Decisione comprensibile, ma la situazione “donna chiede-uomo risponde” non fa che aggravare gli stereotipi di genere. Inoltre si capisce benissimo che e’ un modo per rattoppare la situazione. Meglio fare un bel panel equilibrato e poi farlo moderare da chi volete.
10) Evitate i luoghi comuni motivazionali tipo “Le donne hanno una marcia in più”. Molte donne hanno sicuramente una marcia in più rispetto a molti uomini, ma il fondamento della non discriminazione è che le differenze individuali contano enormemente più di quelle di genere o gruppo, quindi tenderei a lasciare perdere affermazioni sul valore che mettono un intero genere nello stesso calderone, anche perché sono difficilmente sostenibili da una parte come dall’altra. Una battuta può strappare un applauso ma a mio avviso rischia a sua volta di cadere nello stereotipo. Volevo chiudere con qualche consiglio comunicativo per le relatrici invitate a parlare del loro lavoro basandomi su quello ho visto negli anni. Ma eviterò ogni rischio di mainsplaining e mi limiterò a questo suggerimento sintetico che vale per tutti.
Per qualunque approfondimento o necessità comunicativa, maschile, femminile o non binaria, non esitate a contattarmi.
Vaccini a mRNA contro il CANCRO: tutorial
Nel nuovo video Youtube del mio canale spiego in modo comprensibile quello che devi sapere sui vaccini a mRNA contro i tumori dopo la sperimentazione del vaccino sul melanoma anche in Italia. Funzionano i vaccini contro i tumori? A che punto sono le sperimentazioni, quanto costeranno. Viaggio in una tecnologia da fantascienza e dove si ripongono le speranze per curare molte forme di cancro.
Non dimenticare di mettere un like e iscriviti al canale.
Guarda anche il sito (in inglese) della mia piccola agenzia di comunicazione e fammi sapere cosa ne pensi.
La cavolata delle razze umane: speciale Giorno della Memoria
Le razze umane non esistono: ce lo dice il DNA. Ma è un “incidente” evolutivo, poteva andare diversamente. Come ci comporteremmo se un’altra razza umana esistesse davvero? Siamo fortunati che i Neanderthal non ci siano più? Oppure ci siamo persi un’opportunità per imparare ad abbracciare le differenze, invece di sperare che si possano cancellare? La cavolata delle razze umane. Nel video il mio contributo “genetico” per il Giorno della Memoria, rieditato con qualche nuova sequenza.
Fate girare!
Le mie Serie TV su Radio 3 Scienza
Qual’è la serie TV più bella che avete visto nel 2023? E la più deludente?
Per chiudere bene l’anno ho fatto una chiacchierata con Licia Troisi e un gruppo di 18enni su un tema che da sempre mi appassiona: la scienza (e non) nelle serie TV.
Potete riascoltarlo su Radio 3 Scienza a questo link.
Studio o lavoro? Materie umanistiche o materie scientifiche? Letture preferite? Podcast più ascoltati? Come sarà il futuro? Sono alcune delle domande che Radio3Scienza rivolge a ragazzi e ragazze, diciottenni o poco più, nel corso dell’ultima settimana di programmazione del 2023. Il tema della puntata di Santo Stefano sono i prodotti multimediali: film, serie e podcast preferiti dai giovani. Clonazione, biohacking, analisi del DNA: come mai nei consumi culturali dei ragazzi la genetica sembra spuntare da ogni parte? Rispondono Lucia Ruccia, studentessa del liceo linguistico Edoardo Amaldi di Roma, e Sergio Pistoi, giornalista scientifico e biologo molecolare. Al microfono una conduttrice d’eccezione: l’astrofisica e scrittrice Licia Troisi
Buon inizio anno, grazie a chi mi ha seguito e sostenuto anche nel 2023, e un caro saluto a tutti!
La Flowchart di Natale
Buone Feste e spero di fare cosa gradita allegando questo utile diagramma comportamentale basato su anni di osservazioni prefestive sul campo.
Se tra i propositi del nuovo anno hai messo delle attività di comunicazione dai un’occhiata alla mia rinnovata boutique agency Greedybrain e a quello che possiamo fare in Italiano e Inglese.
Ricorda inoltre che se vuoi fare in regalo davvero intelligente qui trovi il mio libro.
Un caro saluto e se non ci rivediamo prima di Natale tanti auguri …
Sergio
Vattimo e l’arte perduta di litigare
Gianni Vattimo è legato ad uno dei momenti più divertenti e formativi a cui abbia mai assistito e che ancora rimpiango. Negli anni ’90 ebbi infatti la fortuna di assistere al Teatro Colosseo di Torino ad un mitico dibattito tra lui e il fisico Tullio Regge dove già il titolo: Scienza e filosofia: dialogo o scontro?” prometteva scintille.
Era nota infatti l’allergia di Regge nei confronti degli epistemiologi e probabilmente dei filosofi in generale (una sindrome immunologica di cui credo di soffrire anche io) e la lingua affilata di entrambi gli oratori, oltre che la loro enorme cultura, prospettava un incontro al fulmicotone.
Non fummo delusi. Sul tema i due avevano posizioni chiaramente antitetiche che difesero strenuamente. Ma erano anche amici e intellettuali di intelligenza ben oltre la media e quindi fu una serie ineguagliabile di battute, frecciate in punta di Fisica e Filosofia, racconti e semi-sfottò dove Regge – da scienziato- sosteneva la sostanziale inutilità scientifica dell’interlocutore e Vattimo lo perculava tacciandolo di gretta ignoranza.
In un altro contesto, con altre persone, sarebbe stato un bagno di sangue perchè quello che si dicevano ad una mente meno aperta e intelligente poteva anche risultare offensivo. Ma loro si divertivano, e noi con loro, e si imparava perché anche la minima battuta era un concentrato di ragionamenti e nozioni che i due spiegavano e raccontavano, anche se nel frattempo erano intenti a punzecchiarsi a sangue. Mi sembra di ricordare, ma non vorrei sbagliare, che fossero moderati dal mitico Piero Bianucci che naturalmente, buttava benzina in quel magico fuoco.
Si potevano facilmente immaginare i due a discutere per ore in una piola torinese, oppure al telefono come pare in effetti facessero d’abitudine.
Per me che iniziavo il lavoro di giornalista scientifico vedere quel dibattito fu un esempio particolarmente illuminante. Si potevano mettere insieme – in modo per nulla paludato- persone che letteralmente litigavano sul palco ma con stile e intelligenza, e ne scaturiva qualcosa di divertente e istruttivo per il pubblico, cosa che avevo sempre creduto ma che non avevo mai ancora visto praticare a quel livello, almeno da noi.
Quell’incontro era una forma di dissing di alto livello. Partiva dai presupposti del talk show ma funzionava al contrario, trasformando la polemica in crescita e non il ragionamento in caciara. Anche chi come me tifava spudoratamente per uno dei due (e avete capito chi era) poteva apprezzare la finezza di ragionamento dell’altro, riderne e allo stesso tempo imparare qualcosa.
E’ un esempio che purtroppo non ho più visto applicare negli anni successivi. Non tanto e non solo per carenza di oratori all’altezza (che volendo si troverebbero, anche se quei due erano al top) ma perché respiriamo tutti un’atmosfera decisamente diversa e più avvelenata. Le piattaforme, la propaganda, la polarizzazione e le bolle social rendono sempre più difficile litigare in modo divertente e costruttivo.
Ve li immaginate oggi due accademici che si danno reciprocamente dell’inutile e dell’ignorante, tirandoci dentro tutta la categoria dei loro colleghi? Tarantino potrebbe piazzare una telecamera e girarci una scena splatter. Forse perfino Regge e Vattimo se oggi discutessero su Twitter si manderebbero a cagare e si bannerebbero a vicenda non parlandosi mai più.
Perfino nella vita reale sembra che abbiamo smesso di litigare bene. C’è il terrore palpabile verso il confronto aspro ma intelligente di visioni che rischia di rovinare una serata, invece di arricchirla.
La battuta polemica, l’esca di un sano dissing viene presa come offesa personale. L’ambiente si gela per la paura che tutto degeneri in un attimo. Il livello di discussione va tenuto sempre entro confini retorici che non scontentino nessuno, entro paletti emotivi streti, insopportabili e incompatibili con la crescita intelligente, che da sempre passa anche da qualche metaforico, amichevole e non malevolo graffio.
Questa forma di terrore, non detto e non scritto, nei confronti del dissing sembra contagiare sempre più anche il nostro lavoro che invece dovrebbe anche prevedere lo scontro utile e ben fatto.
Contagia chi organizza dibattiti scientifici e festivalieri, dove chissà perché si pensa che la polemica, ancorché interessante e civile, non abbia posto. I membri di un panel sono quasi sempre scelti per raccontare pezzi diversi della stessa storia, non per discutere tra loro.
Le poche volte che, invitato a parlare, ho garbatamente offerto un punto di vista vagamente contrastante con qualcuno del mio panel, oppure sono intervenuto in qualche dibattito online, ho percepito le occhiate riprovevoli e terrorizzate dei miei colleghi e ricevuto messaggi del tipo “lascia stare, che poi sembra che non andiamo d’accordo neanche tra noi e il pubblico si confonde”.
Si confonde? Ma se togliamo la polemica ben fatta, se disabituiamo la gente a litigare bene, a difendere e confrontare le idee, rimane solo l’alternativa tra lo sproloquio autoreferenziale e la polemica vuota e velenosa dei talk show. Quello sì che confonde. Ed è quello che sta succedendo.
Insomma, non ho mai seguito particolarmente Vattimo e come avete capito riguardo alla filosofia la penso come il compianto Regge. Ma oggi pagherei oro per rivedere due persone così litigare bene, con tutta la competenza, l’ironia e il tempo che occorre per tirarci fuori qualcosa di utile.
Regge all’aldilà non ci credeva, Vattimo non l’ho capito se ci credeva o no. Ma se c’è qualcosa, suppongo che ora che anche Vattimo se n’è andato, saranno già lì a insultarsi.