La vicenda di Bianca Balti, la famosa e amata modella oggi alle prese con un tumore ovarico, dovrebbe forse riaprire un dibattito sulla gestione – soprattutto comunicativa- delle pazienti portatrici di mutazioni BRCA1.
Queste predisposizioni genetiche, come altre, le ho incontrate spesso nel mio lavoro di biologo molecolare e di comunicatore, scrivendone anche nei miei libri. Si tratta di mutazioni rare del DNA, che rappresentano una percentuale molto minoritaria di tutti i casi di tumore, ma che predispongono fortemente a sviluppare un tumore della mammella e/o delle ovaie (e in minore misura del pancreas). Per “fortemente” parliamo di un rischio che arriva al 40 e fino all’80 per cento di sviluppare uno di questi tumori – a seconda del tipo preciso di mutazione e della storia familiare, quando il rischio nelle donne senza la mutazione è di molte volte più basso.
Qualche anno fa Bianca Balti (che si curerà, e a cui va naturalmente l’augurio di una remissione il prima possibile) condivise con il pubblico la scoperta di questa mutazione nel suo DNA, la sua operazione di mastectomia – l’unica soluzione per limitare efficacemente il rischio di tumore al seno in questi casi- e la decisione di rimuovere anche le ovaie.
Una storia che per analogia ricorda quella di Angelina Jolie, l’attrice che anni prima aveva deciso di rimuovere seni e ovaie dopo aver scoperto di avere mutazioni nello stesso gene. Non sappiamo il motivo per cui Balti non abbia rimosso anche le ovaie – come aveva intenzione di fare- ma è una sua decisione e non siamo qui per sindacare o giudicare.
Quello che sappiamo è che, purtroppo, con un rischio di tumore del 40% o più dovuto alla mutazione BRCA1, attendere può essere come tirare una monetina nella lotteria dei tumori. Gli esperti oggi sono piuttosto concordi nel consigliare la rimozione il prima possibile di seni e ovaie alle portatrici di queste mutazioni, considerata anche la possibilità di congelare gli ovociti prima della rimozione e quindi poter comunque procreare.
Fermo restando che la scelta è personale, la mia impressione , almeno rispetto ai casi che conosco, è che questo messaggio non sia comunicato con sufficiente forza o chiarezza.
Credo che tutte le donne con questa mutazione dovrebbero aver molto chiaro il rischio che corrono rimandando queste procedure, e la mia impressione – al di là di questo caso pubblico- è che per varie ragioni questo rischio non venga comunicato o percepito nella maniera corretta.
Andrebbe inoltre preso in considerazione il bias di avversione alla perdita (preferisco irrazionalmente evitare un danno immediato anche se ne rischio uno più grande in futuro) che è sempre in agguato per tutti, specialmente quando si tratta di decisioni difficili come queste, in una situazione di ovvio stress. Quando prevedibili bias cognitivi remano contro, non basta dare l’informazione ma bisognerebbe anche lavorare su quelli: solo così una persona può prendere decisioni davvero consapevoli e razionali.
E ancora a monte della diagnosi: conosco personalmente donne la cui storia familiare è altamente suggestiva di queste mutazioni ma che per vari motivi (paura dell’esito, paralisi decisionale, ma soprattutto scarsa informazione e aiuto da parte dei medici curanti) non eseguono il test, prendendosi un rischio ingiustificato sulla propria vita e confidando nei controlli periodici.
Sia chiaro: i controlli periodici sono importanti ma le mutazioni BRCA sono una brutta bestia. Conosco più di una persona con queste mutazioni che da un controllo negativo si è ritrovata l’anno dopo con un tumore avanzato e tutto lascia pensare che Bianca Balti sia tra esse. Confidare nei controlli in questi casi non è – a mio modesto avviso- una scelta prudente.
Ripeto: non sappiamo perché Balti abbia tardato a operarsi ma il punto è dare un messaggio chiaro a tutte/i in modo che siano consapevoli dei rischi, che per queste mutazioni sono molto alti. Chi ha una storia familiare di tumore mammario e/o ovarico (madri, zie, sorelle) dovrebbe chiedere una consulenza genetica (si fa alla ASL) ed eventualmente sottoporsi al test genetico che si fa con un normale prelievo di sangue (o anche saliva).
E chi non ha una storia familiare di questi tumori? Normalmente non è indicato un test, dal momento che le mutazioni BRCA sono rare nella popolazione e quelle de novo (nuove, non presenti nei familiari) sono ancora più rare. Tuttavia, non è affatto una cattiva idea sottoporsi a consulenza genetica (eventualmente seguita da un test) in caso di tumore mammario prima dei 40 anni. Questo perché la storia familiare non è sempre certa e nel caso di famiglie con poche donne il caso può ingannare.
Secondo Il National Cancer Institute una donna con tumore mammario prima dei 40 anni ha 1 probabilità su 10 di avere mutazioni BRCA1. Per alcune popolazioni come gli Askenaziti la probabilità di mutazioni è anche più alta. Un test genetico oggi costa (o dovrebbe costare) relativamente poco e dovrebbe essere più un ostacolo insormontabile.
Ancora una volta la buona comunicazione è fondamentale, e bisogna comunque ringraziare tutti i personaggi pubblici che condividono le loro storie e contribuiscono al dibattito serio sull’argomento.