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Agent of Chaos: come funziona la comunicazione di Trump

A cosa mira la comunicazione del presidente americano, forgiata sui social media.

 

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Cosa c’è davvero dietro alle parole di Donald Trump?
In questo post proverò a decodificare la strategia comunicativa del presidente americano e le sue esternazioni, evitando di esprimere giudizi (per nulla positivi) sul personaggio e tenendomi alla larga dalle  analisi politiche anche se ormai, come si vede, la politica la decidono le piattaforme di comunicazione. Concentriamoci dunque sugli aspetti comunicativi che possiamo sintetizzare come segue:

La dottrina comunicativa di Trump si basa essenzialmente sul caos.

Le sue dichiarazioni sono (o appaiono) estemporanee e ondivaghe, non teme di contraddirsi perché sa che il suo target di riferimento non rileva le contraddizioni logiche e così facendo crea attorno a se un turbine di confusione che disorienta allo stesso modo gli avversari e gli alleati (che nella sua logica appaiono comunque come avversari).

Trump è un prodotto dei social media, in particolare di Twitter e TikTok, e il suo stile comunicativo si è forgiato su queste piattaforme. Assertività estrema, contenuti a valanga, dichiarazioni che si accavallano senza sosta e catalizzano l’attenzione in modo ipnotico. Lo scopo- proprio come nelle piattaforme- è non dare fisicamente il tempo al target di riflettere, pensare, esercitare una analisi critica e quindi agire di conseguenza. Mentre le testate di tutto il mondo fanno l’esegesi della sua ultima esternazione, Trump ne ha già sfornate altre quattro, spesso contraddicendo quelle precedenti.

E’ una strategia ondivaga e distruttiva che demolisce la credibilità dell’intera nazione che si trova a dirigere, ma per lui funziona benissimo.  L’unico obbiettivo che sembra perseguire in modo coerente (già dal primo mandato, senza contare l’assalto al Campidoglio dei suoi) è  infatti il   caos- condizione essenziale per la democratura che sembra voler realizzare. La sua comunicazione, totalmente disintermediata e mutuata dalle piattaforme è funzionale a creare confusione, divisione e distrazione dal fallimento prevedibile dei traguardi reali rispetto alle promesse e agli slogan. 

Un esempio recentissimo (che domani sarà già dimenticato): l’esternazione pesantissima, di  Trump rispetto all’Ucraina (la guerra è colpa di Zelensky!). Si tratta verosimilmente, un modo per distrarre tutti dal sostanziale fallimento dei colloqui con la russia del giorno prima, evento pubblicizzato come decisivo che non ha portato di fatto alcun risultato. il classico decoy, un fuoco di sbarramento il cui shock paralizza chi voglia analizzare e decodificare i risultati reali del giorno prima.

L’idea di base è sempre la stessa: se la dichiarazione di oggi è sempre più forte di quella di ieri, non c’è spazio e tempo per approfondire e ragionare. Ad ogni nuova esternazione, la posta deve salire, e ben preso rischia di arrivare oltre i limiti estremi. La ricerca di un nemico e non può fermarsi, trasformando alleati in avversari. La credibilità politica, economica e diplomatica diventa zero. La narrazione è destinata ad allontanarsi sempre più dalla realtà. Paura e odio sociale sfuggono dal controllo. Nulla di inedito nel mondo della comunicazione se non fosse, per la prima volta, lo stile distintivo e l’unica arma dialettica di un presidente americano. Che con una frase  può distruggere decenni di alleanze, equilibri e relazioni internazionali.  Di nuovo: caos, l’unico obbiettivo che si possa intravedere oggi in Trump.

Enrico Mattei notoriamente si vantava di usare i giornali come taxi, pagando la corsa. Oggi, usare le piattaforme come taxi per creare realtà alternative funziona ancora meglio ma significa pagare un tassametro che arriva a cifre milionarie in pochi giorni. Stare a bordo per anni e non perdere rilevanza significa disporre di budget faraonici, oppure di potere di scambio ai più alti livelli- che è quello che vediamo abbastanza chiaramente con Trump.  Tutte insieme, le sette più grandi piattaforme social e web rappresentano in revenue meno del 2% del totale USA. Pochissimo rispetto ad altri settori, ma abbiamo visto i capi di queste piattaforme fare da vessilli (e a volte vassalli) dello show trumpiano.

Il potere sovradimensionato di queste piattaforme  non si basa sulla forza economica  ma sulla conoscenza e analisi dei target, la capacità di creare e presentare narrazioni alternative alla realtà diverse per ogni utente, con il risultato di far agire di pancia  milioni di persone contro il loro stesso interesse. Quando la tua proposta politica non esiste se non in una realtà parallela, hai bisogno di strumenti per far vivere i tuoi elettori in una realtà del genere e mantenerti  rilevante. In questo, lo stile comunicativo trumpiano non è così diverso da quello dei movimenti populisti europei, e da quello del cremlino, e nell’economia delle piattaforme queste realtà comunicative sono probabilmente più vicine e contigue di quello che si vede da fuori. 

Quali contromisure comunicative si possono attuare rispetto ad una strategia così distruttiva?

Una prima risposta è che il chiasso è sempre a vantaggio di chi lo crea, mentre il silenzio rischia di renderlo irrilevante. 

Un esempio positivo è quello offerto dalla Danimarca che di fronte alle esternazioni di Trump sulla Groenlandia ha scelto, strategicamente, il no-comment invitando i parter europei a fare altrettanto. Dal giorno dopo, Trump ha cambiato argomento, la rilevanza del suo discorso di colpo ha perso trazione e di quella cosa non si è quasi più parlato. Tornerà all’attacco con mezzi più concreti? Anche se fosse, averlo silenziato ed essersi presi  il tempo di reagire sarà stato comunque la migliore opzione. Se era solo una sparata, ancora meglio.

Il deplatforming (letteralmente: togliere il podio da sotto i piedi) è la contromisura d’elezione per chi vive molto di visibilità e poco o niente di risultati. Quando Twitter (ancora non nelle mani di E.M) chiuse l’account di Trump fu un’azione plateale di deplatforming. La rilevanza di Trump crollò a tal punto che fu costretto a creare un suo social (non particolarmente di successo) e infine ad allearsi con il nuovo padrone di Twitter, pardon, X. Creare una piattaforma da zero non è per nulla facile, neanche per lui. 

A medio termine, nel contesto di rapporti meno collaborativi con gli alleati di un tempo, l’Europa potrebbe (secondo me dovrebbe) anche valutare misure draconiane per limitare l’influenza delle piattaforme e dei troll. In caso contrario, milioni di elettori continueranno sempre più a votare e agire contro il loro stesso interesse,  convinti da notizie false e spesso ridicolmente assurde create a tavolino  e diffuse a pagamento sulle piattaforme social.

L’ identificazione obbligatoria degli utenti che aprono un account (non necessariamente i dati sarebbero pubblici) sarebbe un primo passo, anche se parziale. Molto meglio sarebbe imporre alle piattaforme un diverso modello di business, basato sull’iscrizione a pagamento e non sulle inserzioni. Ma quella è un’altra storia. 

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