La “cacciata dei cervelli”? Non ci sono mai stati
Sta facendo il solito giro mediatico la storia di Bulat Sanditov, un ricercatore russo della Bocconi che, sfinito dalle pastoie burocratiche riguardo all’immigrazione, se ne va dall’Italia per lavorare in Olanda. Ne ha parlato per prima Repubblica, ripresa dall’amico blogosferico di innovazione.
Diciamo subito che la storia del ricercatore russo non aggiunge nè toglie nulla a quanto già da tempo le persone sensate vanno ripetendo riguardo alla fuga dei cervelli: il problema non è sforzarsi tornare i “cervelli italiani ” nella penisola. Questa è demagogia. La questione, semmai, è sviluppare un sistema che renda l’Italia un paese appetibile per i ricercatori, non importa che siano italiani o stranieri . Questa è la politica che ispira i paesi tipicamente più avanzati nella ricerca, come gli USA.
Serve anche a poco incolpare la Bossi-Fini, come fa repubblica. Dopo l’11 Settembre, anche negli States avere un visto è diventato un incubo anche per i ricercatori (vedi questo post e questo post ), ma anche nella peggiore delle ipotesi, questo provocherà solo una leggera flessione dei ricercatori stranieri negli States.
E’ meglio guardare le cifre: i ricercatori stranieri in Italia si contano sulle punte delle dita. Sono talmente pochi che su di loro non esiste neppure una statistica. Quando incontro un ricercatore straniero che lavora in italia, mi informo sui motivi che l’hanno spinto/a a venire qui. Quasi sempre c’è di mezzo un marito o una moglie italiana, o l’amore per lo stile di vita made in Italy. Poche volte ( anche se succede) la risposta è “qui ho trovato le condizioni migliori per lavorare”.
Di fronte a questa constatazione, serve a poco tirare fuori una lacrimosa storia personale per suonare il campanello sui cervelli stranieri che fuggono dall’italia. Se parliamo di ricerca scientifica, i cervelli stranieri se ne sono andati da un pezzo. Il dottore Sanditov era già un’eccezione prima di partire.
Foto: repubblica.it
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