In paese dove la filantropia ancora si chiama “beneficenza”, Marino Golinelli è stato un raro esempio di mecenatismo moderno
Ho avuto la fortuna di incontrare Marino Golinelli in due occasioni legate a momenti importanti della mia carriera e che ricordo con emozione. La prima volta fu a Milano nel 2000 per la consegna di un prestigioso premio giornalistico per la divulgazione della genetica, di cui la sua Fondazione era sponsor.
Ero all’inizio della mia carriera, arrivai terzo ma ero contento come se avessi vinto. In fondo era il primo riconoscimento che avessi mai avuto per il mio nuovo lavoro.
Quel giorno alla cerimonia intervennero quisquilie come Craig Venter – ancora non famosissimo da noi ma che l’anno successivo avrebbe condiviso i riflettori alla Casa Bianca per l’annuncio della mappa del genoma umano- e Victor McKusick -un pezzo di storia della Genetica, il mitico creatore del database OMIM, una “bibbia” per chiunque abbia a che fare con la genetica. McKusick era già piuttosto anziano e molto schivo e quasi si commosse quando lo presi in disparte e lo ringraziai per la sua opera lontana dai riflettori ma così utile per tantissimi biologi, medici e pazienti.
Insomma era come essere nella versione nerd della serata degli Oscar, e avevo preso pure una statuetta.
Quella volta feci la mia prima conoscenza con Marino Golinelli, con cui era impossibile non finire a parlare del futuro. Lo so, è quello che dicono tutti ma è vero. Mi resi conto quasi subito di parlare con qualcuno per cui il futuro, e di conseguenza lo sviluppo tecnologico, erano quasi una fissazione, un fil rouge che legava conversazioni e pensieri. Si parlò di cosa sarebbe cambiato con la mappatura del genoma, di quanto avrebbe modificato anche le nostre vite quotidiane.
L’altra caratteristica stupefacente di Golinelli, che tutti notavano, era un’età apparente che sembrava sfidare le leggi della biologia. Il Golinelli teoricamente anziano che vidi quel giorno e quello ultranovanenne che incontrai anni dopo conservavano entrambi la lucidità e l’entusiamo del ventenne. Ma anche nel fisico e nel portamento l’uomo che conobbi io dimostrava almeno 20-25 anni in meno rispetto all’anagrafe.
Lo rincontrai anni dopo, quando fui chiamato a parlare ad un evento divulgativo dalla sua Fondazione, a Bologna. Volle invitare tutti a casa sua, un bel palazzo dietro Piazza Maggiore, per un piccolo ricevimento. Mi ritrovai in un ambiente informale ed eccentrico. La casa era, e credo sia tuttora, una specie di galleria vivente di opere che Marino Golinelli e la moglie Paola acquistavano per sostenere giovani e sconosciuti artisti.
Invece di ostentare quadri milionari comprati all’asta- che pure si potevano permettere e magari avevano anche da qualche parte- i Golinelli preferivano mostrare agli ospiti le opere di giovani emergenti che un preparato cicerone (credo fosse il suo curatore di fiducia) ci raccontava girando per le stanze e cercando di farci entrare nella mente dell’artista.
Perfino in bagno mi trovai inquadrato da una telecamera a circuito chiuso che proiettava la mia immagine in falsi colori su uno schermo cyberpunk fissato davanti al water. Era una delle tante opere contemporanee che ornavano la casa, e che naturalmente fu oggetto di divertenti discussioni.
In quell’occasione ricordai a Golinelli il nostro primo incontro. Fu contento di avermi portato fortuna e si parlò, ovviamente, del futuro. In un paese che guarda sempre indietro, con gente di ogni età fissa sullo specchietto retrovisore del passato, mi colpì e commosse ascoltare quell’uomo già oltre i novanta (anche se ne dimostrava molti meno), discutere con passione di sviluppi e realtà a venire che sicuramente non avrebbe visto con i suoi occhi, ma che quasi riusciva a toccare con mano.
Ho ripensato molte volte a quella conversazione e ne ho parlato negli anni a tutti quelli che mi capitavano a tiro. Al momento di partire lo salutai chiedendogli per scherzo, ma neanche tanto, se avesse donato il suo DNA per gli studi sulla longevità, cosa che, ovviamente, era dispostissimo a fare.
Marino Golinelli, imprenditore e mecenate, ci ha lasciati sabato scorso a 101 anni. La biologia- di cui il suo aspetto e spirito sembravano quasi farsi beffe- alla fine ha prevalso, e forse lui sarebbe il primo a restare affascinato da questa cosa.
Spero tanto che i suoi ultimi anni siano stati come quelli in cui l’ho visto io.
In un paese dove la filantropia ancora si chiama pelosamente “beneficenza”, dove tanti paperoni si fanno belli con quattro soldi, poco sforzo e nessuna visione, Golinelli è stato un esempio di mecenatismo moderno e ha lasciato un’impronta e un’eredità tangibili nella società e in quelli che l’hanno conosciuto.
Un abbraccio alla famiglia e agli amici della Fondazione Golinelli.
Photo credit: Fondazione Golinelli