Le Scienze
Successo in vitro di due nuove ricerche sulla grave malattia del sangue.
L’anno si è aperto con due incoraggianti risultati nella lotta all’anemia falciforme, una temibile malattia del sangue ed una delle più frequenti patologie ereditarie. La sua distribuzione geografica è sovrapponibile a quella della talassemia: ad essere più colpite sono le popolazioni originarie dell’Africa Occidentale, del Medio Oriente e del bacino del Mediterraneo, incluse Sicilia e Sardegna.
Due studi pubblicati a gennaio su PNAS, la rivista dell’Accademia Americana delle Scienze, e sull’altrettanto prestigiosa Nature Biotechnology, hanno dimostrato che è possibile correggere il difetto genetico che causa l’anemia falciforme rispettivamente in cellule staminali embrionali e adulte, un primo passo nella lunga strada verso la terapia genica di questa grave malattia.
A causare l’anemia falciforme è l’alterazione di uno dei geni preposti alla produzione dell’emoglobina, la proteina di trasporto dell’ossigeno contenuta nei globuli rossi: le molecole che ne risultano, chiamate emoglobina S, sono simili a quelle sane ma hanno la tendenza ad incollarsi fra loro: di conseguenza, i globuli rossi diventano rigidi ed assumono una caratteristica forma «a falce» invece della forma normale a disco. I globuli falciformi sono estremamente fragili e tendono a bloccarsi all’interno dei vasi sanguigni, provocando anemia, dolorose crisi dovute alle occlusioni dei capillari e, nei casi più gravi, sindrome polmonare e ictus potenzialmente letali. Le condizioni di vita dei malati sono migliorate negli ultimi anni grazie ai farmaci, ma il trapianto di midollo rimane l’unica cura definitiva, e troppo spesso è impossibile trovare un donatore compatibile.
Lo studio pubblicato su PNAS, ad opera di un gruppo dell’Università della California-San Francisco, si è concentrato sulle cellule staminali embrionali di topi affetti da anemia falciforme. Una caratteristica delle staminali embrionali è che possono trasformarsi in qualunque tipo di cellula dell’ organismo; se stimolate a diventare globuli rossi, le staminali dei topi malati diventano, com’è normale, globuli rossi falciformi. E’ andata diversamente, però, quando nelle stesse staminali i ricercatori sono riusciti ad inserire una versione sana del gene dell’emoglobina: un numero non trascurabile di cellule, trasformandosi in globuli rossi, ha infatti iniziato a produrre l’emoglobina giusta, perdendo la caratteristica forma a falce.
Sull’altra costa degli States, i ricercatori dello Sloan-Kettering Institute di New York, autori del secondo studio, hanno optato per cellule staminali adulte del sangue, provenienti da pazienti con anemia falciforme. L’approccio è stato particolarmente elegante: il DNA trasferito non era soltanto in grado di produrre emoglobina sana, ma anche di inattivare il gene alterato presente nelle cellule, grazie ad un meccanismo da poco scoperto e chiamato RNA interference. Gli studiosi newyorchesi sono così riusciti a far produrre emoglobina sana ai globuli rossi e limitare al contempo la quantità di emoglobina S, eliminando alla radice la causa del problema.
Entrambi gli studi si sono limitati a “guarire” cellule in provetta, ed è ancora presto per sapere se potranno sfociare un giorno in una vera cura. La cautela è d’obbligo, considerando la difficoltà di trasferire all’uomo i risultati ottenuti in laboratorio, per quanto promettenti. Anche se difficile, tuttavia, la strada della terapia genica sulle cellule staminali offre la speranza di un’ alternativa al trapianto di midollo e alla dolorosa penuria di donatori compatibili.
Sergio Pistoi, le Scienze Febbraio 2006