Reality check: le news servono a informare. Non a intrattenere o a mostrare quanto sei bravo a scrivere.
Se c’è una cosa che mi ha sempre esilarato della stampa italiana è l’ambizione narrativa improvvida di tanti giornalisti di cronaca. Questa tendenza un po’ provinciale è particolarmente fervida nelle testate locali, cosa che me le rende amatissime.
Al Bar Trombetta, ad esempio, sfoglio avidamente le testate locali appoggiate sul bancone frigo dei gelati Stocchi cercando quei cronisti che per raccontare l’incidente tra motorino e bici all’angolo tra il negozio NonsoloSchiacciate e la vetrina di AltamodaGiusy si reincarnano in Hemingway e sparano tre cartelle descrivendo l’orrore dei pezzi di plastica rossi del fanale sparsi sul marciapede dove poco prima giocavano ignari e innocenti bambini. Senza magari dare le informazioni essenziali: chi, dove, quando.
Qualche volta, di nascosto, quei pezzi li ritaglio e me li metto in tasca per rigustarmeli con calma.
Con il rapido deterioramento dei media, che pare ormai paghino i collaboratori in sacchetti di lupini, i pezzi di cronaca che sembrano scritti da Truman Capote, ma nella versione da morto e sotto acido, si moltiplicano anche nelle testate nazionali.
Cercando ad esempio informazioni su una tragedia aerea in una testata nazionale, mi è toccato oggi leggere il classico pezzo di “colore” che si apre ad effetto con “cani al guinzaglio che sono nervosi, e i padroni che li portano a pascolare sull’erba li strattonano via…”, e continua con ripetuti richiami alla polvere, quella dei palazzi distrutti, dei corpi polverizzati (ma si può…) tutto per chiudere con l’immagine delle ricche vittime e dei loro soldi ormai ridotti in polvere. Sic transit gloria mundi. In questo favoloso arco narrativo, anche ammesso che ti piaccia, le informazioni fattuali che servono a capirci qualcosa le devi cercare altrove. Magari in un’altra testata.
In questi pezzi recepisco soprattutto la frustrazione di gente che magari è uscita da lettere moderne o comunicazione con il 110 e lode, ha nel cassetto dieci potenziali bestseller e per campare o fare pratica si ritrova a raccontare della sagra della Nana Arrosto, si sente sminuita e cerca di sfogare il proprio talento creativo. E la cialtroneria dei caporedattori che ti chiamano e ti dicono di andare lì a fare il pezzo “di colore”, che tanto a mandarti lì gli costa quanto un caffè al Ginseng.
Ma vorrei sottolineare invece che la cronaca è un ambito nobilissimo che merita di essere trattato come merita.
Ad esempio ho imparato sul campo che la regola delle news è sempre quella, saggissima, di attenersi alle famose “W” della scuola anglosassone. A meno forse di non essere un talento unico, ma ne nascono davvero pochi.
Io che pure non ho mai avuto mai molta tendenza a colorare, e scrivo di scienza e non cronaca, quando cominciai a lavorare con le testate anglosassoni mi vidi tornare più volte i miei pezzi corretti, con interi paragrafi cancellati perché facevano soltanto colore e non portavano alcuna informazione utile a capire la notizia o il contesto. Insomma, batti batti alla fine ho capito che nelle news l’arco narrativo- che invece è fondamentale ad esempio nel longform- conta quanto un due di picche.
E’ vero, le news così vengono tutte uguali, ma è proprio lì il punto: la news serve a informare, non ad affascinare o intrattenere, e lo deve fare nel minore numero possibile di parole. Se poi hai un’apertura interessante meglio, ma non è fondamentale.
Un concetto radicalmente opposto a quello che si inculca in Italia, dove dalle elementari all’Università, dai corsi di scrittura creativa a (perfino) alcuni master di giornalismo, si spinge in modo ossessivo sullo stile e l’abbellimento, sull'”intortamento” e sul “colore” tralasciando la parte essenziale.
Ho fatto parte di legioni di would-be giornalisti abbeveratisi ai concetti italianissimi di “rimpolpamento” “apertura ad effetto” “chiosa” che purtroppo non servono a confezionare news – o perlomeno vanno usati con estrema parsimonia. Ne sono uscito migliore. Fallo anche tu.