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MP3: una bella occasione sprecata. Intervista a Leonardo Chiariglione.

Panorama Ad affermarlo è proprio l'ingegnere italiano che lo ha inventato.

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Ad affermarlo è proprio l’ingegnere italiano che lo ha inventato, Leonardo Chiariglione. Perché viene utilizzato poco e male. Ma in futuro…

(leggi anche “Digital Revolutionary, and interview with Leonardo Chiariglione, Scientific American.com)

Villardora è a pochi chilometri da Torino ma per arrivarci bisogna inerpicarsi per stradine immerse nel verde della Val Susa.

Arrivati in paese, un viottolo scosceso porta a una villa circondata da vigne.Proprio qui, dove il paesaggio sembra uscire dal passato, abita l’uomo che ha portato la rivoluzione digitale nelle case di milioni di persone nel mondo. La sua creatura più famosa, l’Mp3, ha permesso per la prima volta di trasmettere audio su internet con una qualità uguale, se non migliore, a quella di un cd; ma ha anche aperto la strada allo scambio illegale di brani in rete che rischia di mettere in ginocchio l’industria discografica.

Leonardo Chiariglione, 60 anni, sposato, tre figli, è un ingegnere piemontese di indole schiva, più disposto a parlare del lavoro che di se stesso. Forse per questo il suo nome è poco noto. Ex vicepresidente dei Telecom Italia Lab, nel 1988 ha fondato e da allora dirige il Moving picture expert group (Mpeg), il gruppo di esperti internazionali che ha creato non solo l’Mp3 ma tutti gli standard più usati per la trasmissione digitale di audio e video, senza cui non avremmo dvd e la televisione via satellite.

Già nel 1999 il settimanale Time lo ha eletto fra le 50 personalità più innovative nel campo della tecnologia e il suo curriculum comprende molti premi internazionali: anche un Emmy award, l’ambitissimo oscar televisivo americano. I riconoscimenti non sono bastati a far dimenticare all’inventore piemontese la sua delusione per il destino dell’Mp3, involontario motore di una pirateria musicale senza precedenti. E per una rivoluzione digitale che, sostiene, si è realizzata solo a metà.

Che cos’è l’Mp3 e come è nato?

È una tecnologia digitale per registrare dati audio in maniera molto compatta, senza perdita di qualità: per questo si può scambiare facilmente via internet. A fine anni 80 il digitale era un lavoro da pionieri e c’era la necessità di trasmettere musica e video di buona qualità ma con pochi dati, perché la capacità delle linee era bassa. Fu allora che fondai il gruppo Mpeg, per creare formati che rispondessero a queste esigenze. Avevo un’idea precisa: creare uno standard non proprietario, che tutti potessero usare nei loro prodotti, senza guerre tra aziende per imporre i loro formati, come è successo vent’anni fa con Vhs e Betamax. L’Mp3 è frutto di un lavoro di squadra durato anni.

I media digitali sono entrati nella vita di milioni di persone, eppure proprio lei si dice deluso: perché?

Ci aspettavamo una rivoluzione che avrebbe portato nuove esperienze per gli utilizzatori e aperto opportunità di sviluppo per l’industria. A distanza di dieci anni niente di ciò è avvenuto. L’industria discografica ne è l’esempio più eclatante: Mp3 e internet rendono obsoleto il compact disc perché permettono di distribuire musica in rete senza bisogno di supporto fisico. Nonostante ciò, il cd rimane di gran lunga lo standard dell’industria discografica. È vero che ha rappresentato una svolta rispetto agli lp o alle cassette, ma dal punto di vista dell’esperienza poco è cambiato: lo devi comprare, portare a casa e mettere dentro un lettore. Nessuno approfitta interamente dei nuovi mezzi e il mercato dei media digitali crolla. Ci perdono tutti: artisti, produttori e utenti.

Come spiega questa situazione?

L’industria dell’audiovisivo non investe nella distribuzione in rete, ma la avversa, perché non trova il modo per garantirsi contro la pirateria musicale su internet. Sono disgustato dalla cultura del furto che si è creata attorno all’Mp3. Forse siamo stati ingenui, ma quando lo creammo nei primi anni 90 non potevamo prevedere che con un banale pc si sarebbe potuto fare una copia in Mp3 di un disco e metterla in rete illegalmente. Ma se vogliamo venire a capo del problema dobbiamo pure capire che chi scambia musica su internet lo fa non solo perché è gratis, ma anche perché è l’unico modo per godere di un’esperienza digitale senza precedenti. Già oggi si può scaricare musica a pagamento, però ci sono sistemi diversi e incompatibili: il brano che suona sul tuo pc non suonerà su quello di tua moglie, o in auto. Fra un sistema a pagamento limitativo e una completa libertà, gratis, la gente continuerà a preferire la seconda, anche se è illegale.

Come pensa che si possa rilanciare la rivoluzione digitale?

Portare in tribunale i pirati, come stanno facendo i discografici, costa molto e non è una soluzione. L’industria dovrebbe investire in tecnologie per garantire una distribuzione più sicura in rete. Ma significa rivoluzionare l’azienda, e sono pochi i manager che hanno il coraggio di farlo. Ci vorrebbe un sistema adottabile da tutti i produttori e che permettesse di gestire il copyright in maniera più flessibile di adesso. Per farlo a fine 2003 ho fondato il Digital media project, organizzazione non profit con esperti e industrie di vari paesi. Ovviamente non esiste sistema di protezione che non possa essere neutralizzato da un pirata informatico, ma si può crearne uno con protezioni aggiornabili via via che diventano obsolete.

Quale il futuro dei media digitali?

Credo che ci siano centinaia di applicazioni che aspettano solo di essere inventate. Il digitale è la regola nella distribuzione musicale, sta diventandolo anche nel cinema. Quando tutta la nuova musica e i film saranno su internet avremo bisogno di strumenti per trovare velocemente i contenuti che vogliamo. Il formato Mpeg-7 incorpora già algoritmi che descrivono e catalogano i contenuti; e in futuro avremo motori di ricerca in cui inserire musiche e video: il software li analizzerà confrontandoli con milioni di file in rete. Potremo scoprire musica o film di cui non conoscevamo neanche l’esistenza. Tutto ciò avrà un impatto culturale immenso.

Ha guadagnato molto grazie all’Mp3?

Dal punto di vista economico nulla. I fabbricanti che lo incorporano nei loro prodotti devono pagare piccole royalty, ma gli introiti sono suddivisi fra le industrie che detengono i brevetti. Però mi gratifica vedere il mio lavoro concretizzato in oggetti che tutti usano quotidianamente.

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