C’è una tecnologia dovremmo disimparare se potessimo? Se me lo chiedete – ma potrei anche pentirmi della risposta- metterei al primo posto gli smartwatch e l’immobilizer dell’auto, che recentemente mi si è ritorto contro bloccandomi. Comunque questa domanda me l’ha fatta seriamente Monica Panetto per un articolo su Bo. La risposta vi stupirà. O forse no. Buona lettura.
Tecnologia: rinunciarci, ma a che prezzo?
di Monica Panetto
Bo, 8 GENNAIO 2016
Facciamo un gioco. In barba al progresso scientifico dell’ultimo secolo e oltre, pensate a una tecnologia di cui fareste volentieri a meno. Una tecnologia a cui per qualche ragione si dovrebbe rinunciare. Che si dovrebbe “disimparare”.
C’è chi senza esitazione farebbe volentieri a meno del cellulare, per evitare di essere rintracciabile ovunque, perché qualche volta “è bello anche non esserci”. Altri eliminerebbero la catena di montaggio perchè solo in questo modo probabilmente si riuscirebbe realmente a rallentare, a riappropriarsi del proprio tempo. Qualcuno punta il dito contro i videogame: mentre il gioco in gruppo ha un aspetto formativo ed educativo importante, spendere il proprio tempo giocando da soli di fronte a un monitor è un ernorme spreco di intelligenze, di risorse, di denaro specie se pensiamo che sonoi ragazzi che li usano maggiormente e che sono proprio loro ad avere le maggiori potenzialità. Sulla stessa strada alcuni rinuncerebbero volentieri alle piattaforme sociali: si pensa di essere liberi di usare la rete come strumento di condivisione e invece è chi controlla la piattaforma ad avere il controllo degli utenti. I social network rubano tempo e privacy, la comunicazione si appiattisce e si volgarizza, spesso dietro lo schermo delle false identità. Qualcuno infine, strizzando l’occhio alla provocazione, azzarda addirittura la chirurgia estetica così tutti, a una certa età, giocano ad armi pari.
Non tutti però sono sulla stessa linea e nel porre la questione sottolineano in realtà l’importanza dell’uso che della tecnologia si fa. “Disimparare non è mai opportuno – sottolinea Marco Ciardi, docente di Storia della scienza e delle tecniche a Bologna – è sempre bene conoscere. Che cosa va utilizzato, però, dipende da una nostra scelta. Come diceva Bacone, la tecnologia non è né positiva né negativa, dipende dall’uso che ne facciamo (perciò diventa una questione etica). Lo stesso concetto sarà ripreso da Richard Feynman nel Novecento. In sostanza, la conoscenza delle tecniche è bene che sia alla portata di tutti, altrimenti si rischia che pochi sappiano maneggiarle. Però possiamo decidere da che parte andare. Per esempio, in campo ambientale noi dovremmo puntare tutto sul solare e le energie a basso impatto, e rinunciare a carbon fossile e nucleare. Ma non per questo dobbiamo rinunciare al nucleare in altri campi, o addirittura disimparare”. Sulla stessa linea Daniela Lucangeli del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova: la tecnologia in sé è un amplificatore cognitivo, sociale, relazionale e come ogni cosa quando viene amplificata può essere pericolosissima. Secondo la docente ciò che si deve creare è un sistema educativo in grado di gestire la tecnologia come una risorsa, di trasformarla in strumenti di crescita invece che di rischio. Ribadisce che si tratta di una questione di etica della scienza e della ricerca perché al potenziamento degli strumenti tecnologici deve corrispondere un uso più consapevole a livello sociale.
Secondo alcuni, dunque, nessuna tecnologia è da abolire perché anche quelle che hanno applicazioni che giudichiamo inutili o dannose servono, o sono servite, a progredire altrove. A sottolinearlo in questo caso è Sergio Pistoi, giornalista scientifico vincitore nel 2013 del Premio Galileo con Il Dna incontra Facebook. “Sarebbe facile auspicare che sparissero le tecnologie militari, ma si tratta di scoperte che hanno avuto un impatto incredibile in moltissimi campi, pensiamo a internet, al Gps o a molti materiali che usiamo. L’innovazione è un ecosistema complesso, se nel corso della sua storia ne togliessimo un pezzo qualunque magari vedremmo sparire intere fette della nostra tecnologia, un po’ come succede nelle foto di Ritorno al futuro dove Mc Fly scompare perché qualcuno ha alterato il corso degli eventi. No, non toccherei nessuna tecnologia, neanche la più stupida”. Pistoi sottolinea che già troppa gente sulla base di rischi presunti, ideologia o religione cerca di imporre blocchi a tecnologie promettenti, specialmente nel campo biomedico e genetico. È risaputo che ogni scoperta si presta agli usi più intelligenti e a quelli più idioti. Se ci sono abusi, sono quelli che vanno affrontati, caso per caso. Perché c’è il rischio, come sottolinea Telmo Pievani docente di Filosofia delle scienze biologiche all’università di Padova, che l’uso di una tecnologia possa tirare fuori il peggio della nostra già imperfetta specie.
Roberto Defez, ricercatore del Cnr e autore di Il caso Ogm. Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati, esprime la stessa fiducia nei confronti del progresso scientifico. “Amo troppo il genere umano per pensare che ci sia qualcosa di sbagliato e di rimovibile dal suo percorso evolutivo”. Eliminare cose tremende vorrebbe dire far mancare al processo di evoluzione delle specie una parte dei meccanismi che ne consentono la selezione. “Potrei solo fare un auspicio. Mettendo in fila le stragi di Beslan, del Ruanda, di Utoya o dei bambini morti in questi giorni nei naufragi, spero di non perdere la capacità di commuovermi. Niente altro”.
Monica Panetto.
Link all’articolo originale: http://www.unipd.it/ilbo/tecnologia-rinunciarci-che-prezzo