Dopo la mastectomia preventiva di due anni fa, Angelina Jolie-Pitt racconta oggi sul New York Times la sua seconda, difficile decisione: quella di di farsi rimuovere le ovaie e le tube di Falloppio. Era una mossa prevedibile, considerato il tipo di mutazione e la sua storia familiare (chi ha seguito i miei interventi e il nostro spettacolo sul Dna ricorderà che lo avevo anticipato raccontando il caso della celebre attrice). La rimozione delle ovaie, e la menopausa forzata che ne è scaturita, è stata una scelta ancora più ardua rispetto alla mastectomia e ci è voluto tempo per valutarla, racconta la Jolie. Il rischio di un tumore ovarico nel suo caso arrivava al 50%.
Che ci sia o no la mano di un ghostwriter, l’ op-ed di Jolie sul New York Times, così come il precedente di due anni fa, sono esemplari per la chiarezza, l’umanità e l’equilibrio del racconto. Anche se non lo nominano esplicitamente, entrambi i pezzi insistono sull’ idea di empowerment, particolarmente radicata nella cultura americana. Knowledge is power, sapere è potere, è un concetto spesso legato alla medicina predittiva, e non a caso la Jolie ha scelto proprio questa frase come chiusa del suo articolo. Ironicamente, knowledge is power è lo stesso slogan che, brandito da aziende di genomica diretta al consumatore come 23andme, ha fatto infuriare la Food Drug Administration (FDA) che nel 2013 ha imposto a 23andme lo stop sulla commercializzazione dei test predittivi sulle malattie.
C’è una differenza fra l’empowerment genetico di Angelina Jolie e quello che fa gridare allo scandalo la FDA? Possiamo riassumere un dibattito articolato tracciando un confine pragmatico chiaro a tutti: sapere è potere quando il risultato indica un rischio chiaro e, soprattutto quando serve a prevenire, limitare o curare una malattia. Se vengo a sapere che una serie di varianti genetiche mi aumenta del 20% il rischio di avere il tumore alla prostata non mi serve a niente, e rischia di sprofondarmi inutilmente nell’ansia. Se scopro di avere il 70% di possibilità di contrarre il Parkinson (esistono mutazioni rare che danno questo tipo di rischio) non mi aiuta a evitare il problema, perché oggi non c’è nessuna prevenzione per quella malattia. La maggior parte dei risultati forniti e pubblicizzati dalle aziende di genomica personalizzata sono di questo tipo: abbastanza inutili, perché quasi tutte le malattie che ci colpiscono sono complesse e quindi con un rischio genetico difficile da stabilire. Oppure il rischio è chiaro ma non c’è prevenzione, come per il Parkison.
Quello di Angelina Jolie è invece uno dei rari casi dove, oggi, sapere è potere. La sua mutazione (in un gene che si chiama BRCA-1) e la sua storia familiare indicano un rischio chiaro e inoltre esistono opzioni, difficili quanto vuoi, per limitare il rischio. Per chi come Angelina ha un rischio genetico di tumore che sfiora l’80%, rimuovere i seni e le ovaie è una scelta per riportare alla norma le possibilità di sopravvivenza. E’ l’unico modo per non giocare alla roulette russa. Si tratta di casi rari: se sommiamo la mutazione di Angelina con tutte le altre oggi conosciute, arriviamo a spiegare meno di un caso di tumore alla mammella su 10, lo stesso per quelli alle ovaie. Insomma, la maggior parte delle donne non troverà mai nel proprio DNA un rischio genetico chiaro per queste malattie. Ma per chi ce l’ha, sapere fa la differenza.
Sui limiti dell’empowerment si giocherà il futuro della medicina predittiva, che oggi oscilla pericolosamente fra l’entusiasmo incondizionato e un terrore altrettanto ingiustificato. Tempo fa, una delle migliori genetiste specializzate in tumori mammari mi ha raccontato quanto sia difficile trovare un equilibrio fra i due estremi. Sono tante, troppe le donne con una storia familiare di tumore che per paura o ignoranza (spesso anche del medico curante) non si avvalgono di un test genetico che potrebbe fare la differenza. E ogni volta che nei miei interventi introduco la storia di Angelina Jolie, nei volti delle ragazze di ogni età e nei loro commenti leggo spesso paura, quasi ostilità verso una tecnologia che, invece di risolvere (non è questo che deve fare, la medicina?) aggiunge il dilemma di una scelta difficile.
Eppure dobbiamo abituarci: la medicina offrirà sempre meno soluzioni e sempre più opzioni che starà a noi esercitare o meno. L’empowerment non è qualcun altro che decide per noi.
“Queste scelte sono parte della vita, non cose di cui avere terrore,” dice giustamente Angelina Jolie. Il fatto che sia ricca e famosa non cambia le cose, perché le stesse opzioni mediche sono disponibili a tutte le donne dei paesi industrializzati con una storia familiare simile alla sua. Non tutte dovranno fare la stessa scelta radicale, anche se personalmente e razionalmente la condivido. Si può decidere per interventi meno invasivi, pur sapendo di prendersi un rischio maggiore. Si può scegliere consapevolmente di non disinnescare la roulette russa. Ma tutti devono sapere che esiste la possibilità di una consulenza genetica appropriata. Morire per ignoranza non è un’opzione accettabile.
25-2-2015. Modificato il primo paragrafo: il rischio di tumore ovarico con brca-1 è del 50% non 75%.
© Sergio Pistoi 2015